“Quello che (non) so di voi” Laura Visigalli
L’ArteCheMiPiace - Artisti
“Quello che (non) so di voi”
di Giuseppina Irene Groccia |21|Giugno|2022
Con il progetto “Quello che (non) so di voi”, Laura Visigalli ci regala immagini intense che tessono una storia sensibile e delicata.
Attraverso la sperimentazione e la tecnica della doppia esposizione riscrive un racconto che sfida la percezione dello spettatore.
Le fotografie di Laura appaiono immerse in un profondo memoriale, dove la relazione tra reale e sogno sembra perdere il significato temporale.
Da esse emergono fievoli particolari che raccontano una realtà interiore, la fotografia diventa per lei strumento per trascendere la realtà evocando dimensioni e archetipi del sogno e della memoria.
Nelle ripetizioni visive le immagini sembrano piegarsi alla luce e al tempo producendo messaggi altamente lirici dove le persone appaiono rinchiuse in una trama costituita da ricordo e oblio.
Le immagini si susseguono in una piacevole escalation, in cui la memoria individuale e la storia di ogni singolo soggetto si cercano per un confronto.
Laura crea con grande abilità un racconto visivo dove la relazione tra strati, luci e ombre sembra conferire alle immagini una dimensione altamente onirica.
Il risultato è una visione colma di introspezione, che celebra lo spirito audace della sperimentazione e che ci intrappola in un’atmosfera fuori dal tempo.
“Restiamo qui presso – noi, le memorie;
e ci copriamo gli occhi perché abbiamo paura di leggere:
“17 giugno 1884, di 21 anni e 3 giorni”.
E tutte le cose son mutate.
E noi – noi, le memorie, ce ne stiamo qui sole,
perché nessun occhio ci vede, né saprebbe perchè siamo qui”.
Edgar Lee Masters
Abbiamo il piacere di parlarne un pò con lei...
Quando hai sentito in te accendersi la scintilla della passione per la fotografia?
Credo che non ci sia stata una vera e propria scintilla, ma un processo naturale. Sono sempre stata attratta del linguaggio figurativo ed artistico in generale. Ho iniziato con il disegno e continuato con l'architettura. Nel mezzo c'è stato anche il teatro, la danza, i video.
Che tipo di formazione artistica hai avuto? Accademica o autodidatta?
Ho studiato fotografia per un paio d'anni all' Istituto Statale d'Arte di Monza, anche se il mio corso di studi specifico era in design. I primi rudimenti tecnici me li hanno insegnati vari amici fotografi. Il resto l'ho imparato sperimentando e sbagliando. Da qualche anno seguo workshops e lezioni quando mi interessa approfondire un tema.
Cosa ti ispira maggiormente? Come nascono solitamente le tue opere fotografiche?
Apparentemente nascono per caso. A volte da 'esperimenti' visivi. In altri casi si tratta di una vera e propria urgenza. Fotografo con qualsiasi cosa mi capiti tra le mani. E' in secondo momento che riorganizzo il tutto in un processo più intellettuale e razionale. Sono attratta dalla zona d'ombra che risiede in ogni cosa.
Il progetto dal titolo “Quello che (non) so di voi” di cui parliamo in questo articolo è un esempio di sperimentazione dove ti cimenti nella doppia esposizione. Ci spieghi di cosa si tratta?
Ispirandomi al libro di Edgar Lee Masters “Antologia di Spoon River”, dove, dai loro epitaffi i personaggi raccontano per un ultima volta la loro verità, e attraverso ritratti realizzati con la tecnica della doppia esposizione, ho voluto dar voce a quei volti, affinché il buio non sia sceso definitivo ed eterno, ma che vi sia ancora, per loro, possibilità di parola. Questo progetto è anche una ricerca sulla memoria. Ci autodefiniamo attraverso quanto ricordiamo e dimentichiamo collettivamente. Ridefinire chi siamo significa costruire e ricostruire una memoria nuova, che è la somma e la combinazione di ricordo e oblio. L' oblio è la condizione che ci permette di sorprenderci, proporre nuove strade, provare nuove emozioni, di vivere. La memoria è sempre in divenire.
Cosa ti ha spinta ad avviare questo tipo di progetto?
Le vecchie fotografie custodite nell'album di famiglia, o trovate nei mercatini mi hanno sempre affascinato. In particolare quelle che ritraggono parenti che non ho mai conosciuto o sconosciuti che non ci sono più. Fin da bambina mi sono sempre chiesta quali sogni e quali storie si celassero dietro i volti impressi sulla pellicola. Meno di un secondo per catturare una vita. E quello sguardo rimane lì, per l'eternità.
Chi erano queste persone? Sono state felici? Hanno amato? Il progetto è nato dal tentativo di dare una risposta a queste domande.
Che lavoro e che organizzazione di pensiero c’è dietro?
Ho scelto di utilizzare la tecnica della doppia esposizione perché non fa troppe concessioni: o si crea l'alchimia tra i due scatti o non avviene. E' un lavoro difficile, a volte frustante, ma quando accade il miracolo si è ripagati per tutta la fatica. Un po' di bellezza varrà pure qualche rovinosa caduta sul selciato mentre a testa in su si cerca di imprigionare una nuvola che (forse) avvolgerà il volto di Annibale in modo sublime?!
Ho cercato inoltre di fondere un attimo di 'passato' (quello sguardo, quel modo di trattenere il respiro, quella vita che non c'è più) ad un attimo di presente, del mio presente (una nuvola, il sentiero, il mio stesso respiro). Da questo connubio ho tentato di “ricucire” le storie che quegli sguardi immobili nascondono. E nel farlo ho dovuto confrontarmi con il temi del ricordo e dell'oblio, due elementi complementari e contigui essendo la memoria fatta da quanto si ricorda e dimentica.
Dentro la tua poetica c’è molto della tua percezione del mondo spirituale, ma esattamente quanto e perché?
Credo che il mio modo di relazionarmi al mondo dipenda dal fatto che mi sono sempre sentita senza radici. Ho sempre vissuto in un luogo che non mi appartiene e in cui non mi riconosco. Mi muovo nel mondo come un esule alla perenne ricerca di una patria o un' orfana che cerca invano i genitori biologici. Questo senso di perdita è presente nelle mie foto, ad esempio nei volti che occultati dal riflesso dei vetri, o riflessi negli specchi, due elementi che ricorrono spesso nelle mie fotografie. E' la stessa e malinconia che provo quando guardo vecchie fotografie.
Pensi che la fotografia aiuti a tenere traccia del nostro percorso di vita?
Certamente, se siamo onesti con noi stessi.
Quali sono i tuoi autori preferiti, passati e, se ce ne sono, presenti?
I primi due nomi che mi vengono in mente sono Sally Mann e Masao Yamamoto. Del passato adoro Man Ray e in generale i precursori e primi sperimentatori della fotografia contemporanea.
Indipendentemente da quello che faccio io, seguo comunque tutti i generi di fotografia, e ci sono moltissimi autori che stimo.
Pensi che nella fotografia, come nella vita, ci voglia più talento o più studio?
Il talento non te lo costruisci. Ci nasci. Ma senza lo studio (che io intendo in senso lato) e tanto lavoro, costanza e determinazione il solo talento non basta.
Hai attualmente in corso delle mostre o ne hai altre in cantiere?
A Luglio due miei lavori saranno presenti a Roma alla mostra collettiva 'Declinazioni Femminili' Presso la Casa Internazionale Delle Donne.
Progetti artistici in itinere?
Sto lavorando in contemporanea anche ad un progetto ispirato al libro “1984” di George Orwell. Penso che lo svilupperò utilizzando in parte il linguaggio dei fumetti.
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