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Maggio 2023

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Dal paese delle aquile, verso l’Italia – Angela Kosta

   L’ArteCheMiPiace – Libri da leggere




Dal paese delle aquile, verso l’Italia




di Redazione  |30|Maggio|2023|



Era il 20 febbraio 1991 quando L’Albania buttò giù la statua
del dittatore più crudele che sia mai esistito.

Enver Hoxha tenne per più di quarantacinque anni il “suo”
popolo isolato e lontano dagli sguardi esterni del 
mondo. Vivevamo in una gabbia di catene invisibili dove
nulla esisteva oltre i nostri confini. 

La propaganda comunista era all’ ordine del giorno: nelle scuole,
nelle fabbriche, ovunque. L’ occidente era il nemico del dittatore,
perciò, il popolo odiava il cuore dell’Europa. Il regime comunista controllava
e passava a setaccio tutto ciò veniva pubblicato. 

L’arte, cultura, spettacolo,
editoria erano manipolati e manovrati dal meccanismo rigido e la repressione
forzata. 

Il pensiero libero non era permesso a nessuno; il popolo metteva la
maschera della felicità e della prosperità e coloro che si ribellarono, furono
uccisi o internati insieme con la famiglia e tutti i loro parenti. 

Non avevano
il diritto di studiare e facevano solo i lavori pesanti. Le moschee, le chiese ortodosse
e cattoliche furono distrutte. Eravamo un popolo ateo, Dio non esisteva per
nessuno ma non per scelta nostra. 

Quel giorno però, proprio il 20 febbraio
1991, il popolo albanese si ribellò. I confini si spalancarono e la gran parte
della gente, abbandonò la patria. 

Con l’arrivo della “democrazia” che fu solo
un miraggio, tutto sprofondò in miseria totale. Dal bel paese delle aquile, non
rimase niente oltre che le macerie. 

Io arrivai in Italia, nel cuore dell’ Umbria, dove vivo tutt’ora, nel 1995 e così come tanti altri immigrati, lasciai in
lacrime la mia casa, gli studi, i sogni e i miei familiari. 

Parlando la lingua
italiana, non ebbi difficoltà a trovare lavoro e ad integrarmi nella società. 

Iniziai a conoscere e ammirare la letteratura italiana, i grandi poeti,
scrittori, artisti e, nonostante la fatica tra lavoro, casa, famiglia e i due
figli piccoli, trovavo il tempo per scrivere. 

E così, nel 2003 e nel 2004
pubblicai in Albania i primi due libri, realizzando ciò che sognavo sin da quando
ero piccola.

Con l’andare del tempo, iniziai a scrivere il primo manoscritto in
italiano che pubblicai nel 2007. 

Un anno dopo, pubblicai il libro di poesie a
favore di ONLUS (SLA). Altri libri seguirono con il passare degli anni, sia
romanzi che poesie. Nel 2011 pubblicai il romanzo “
Gli occhi della madre”, sei
anni dopo “
Il milionario povero” romanzo, 2018 la raccolta di poesie “Vivere“,
2019 pubblicai il romanzo “Oltre l’oceano” e nel 2020 a favore di ONLUS Associazione
Daniele Chianelli per la ricerca di Leucemia, Linfomi e Tumori, pubblicai la
fiaba “Sara e l’arcobaleno” con i disegni realizzati da una ragazza albanese,
guarita di Leucemia. In tutte le trame dei miei romanzi, ho dato sempre voce
come protagonista principale, alla donna: madre, moglie, figlia. 

Lei conserva
tale potere indicibile, che l’uomo non è capace ad afferrare nemmeno la metà
della sua forza. La donna rigenera in grembo la vita stessa, perciò non si tira
davanti a nulla. Nei libri di poesie invece, esprimo in versi: l’incanto
dell’amore profondo, le meraviglie della natura, l’essenza della vita;
l’attualità sulla guerra, l’olocausto, i dispersi nel mare e, tutto ciò che i miei
occhi visionano e osservano attentamente, li trasformo in riflessioni indomite. 

Oggi ho tanti progetti, alcuni lasciati a metà che, avendo la fede in Dio,
spero di portare al termine più prima possibile.

(Angela Kosta, Maggio 2023)











Angela Kosta è nata nel 1973 in Albania. Sposata e madre di due figli risiede in Italia da parecchi anni.

Nel suo paese d’origine nell’anno 2003-2004 ha pubblicato due libri. 

In Italia nel 2007 ha pubblicato La collana magica. Romanzo; nel 2008 Lacrima lucente, Poesie;  nel 2011 Gli occhi della madre, Thriller; nel 2017 Il milionario povero, Romanzo; nel 2018 Vivere, Poesie; nel 2019 Oltre l’oceano, Romanzo; nel 2020 Sara e l’arcobaleno, Fiaba.

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Borderline arte festival call for artist TIME OUT

 L’ArteCheMiPiace – Segnalazione Eventi


Borderline arte festival call for artist TIME OUT




::: Borderline Arte Festival:

Borderline Arte Festival è un’iniziativa culturale che promuove attività artistiche contemporanee attraverso forme di partecipazione, collaborazione e contaminazione tra realtà diverse. Il Festival organizzato dall’Associazione culturale Borderline, si svolgerà il primo weekend di settembre, coinvolgendo l’intera Città di Varallo, in Valsesia,  nota per la sua ricca tradizione storico artistica, il sito UNESCO del Sacro Monte e le bellezze naturalistiche alpine in cui si inserisce.


L’intero progetto è immaginato come una matassa che si srotola per i luoghi simbolo del territorio, intrecciando passato e presente in un dialogo che dilata i confini temporali, creando un vero e proprio museo diffuso in cui i visitatori possono muoversi coinvolti da installazioni site specific, mostre e performance live.





::: Edizione 2023 .”TIME-OUT” :

Giunto alla quinta edizione, Borderline Arte Festival propone una rassegna d’arte diffusa sul territorio in cui le opere verranno concepite e installate in luoghi specifici proposti nel Comune di Varallo. Il titolo che proponiamo per quest’anno è “Time-Out”, invitando gli artisti a una riflessione sui concetti che questa locuzione richiama.

Borderline Arte Festival è alla ricerca di 5 proposte progettuali per interventi artistici site specific da realizzare entro il primo weekend di settembre 2023.

Puoi trovare le informazioni per partecipare al bando della CALL FOR ARTISTS cliccando qui, oppure scaricando i documenti ai link sottostanti.  

Gli Artisti vincitori realizzeranno l’opera presentata.

Contestualmente, nei giorni del Borderline Arte Festival Varallo, verranno presentate delle mostre e delle performance live.










 



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IL PAESE CI ASPETTA – Il nuovo libro di Angelo Antonio Zampino

 L’ArteCheMiPiace – Segnalazione Eventi Letterari

IL PAESE CI ASPETTA
Il nuovo libro di Angelo Antonio Zampino





di Giuseppina Irene Groccia  |23|Maggio|2023|


Si svolgerà sabato 10 Giugno a partire dalle ore 19:30, presso la Chiesa Beato Giovanni XXIII di Corigliano Calabro, la presentazione della nuova opera editoriale di Angelo Antonio Zampino dal titolo “ Il paese ci aspetta”.


Alla presentazione prenderà parte Don Tonino Longobucco, a cui sarà affidata l’apertura dell’evento. 

Il libro sarà introdotto da Anna Milieni, incaricata a coordinare i vari interventi, tra i quali spiccherà quello del Prof. Giuseppe De Rosis, autore della Prefazione al libroche introdurrà e modererà anche i vari interventi di lettura eseguiti dalle bravissime lettrici del suo gruppo “Amici dell’arte

Nel suo nuovo libro edito da Baraldini Editore, Angelo Antonio Zampino, che sarà presente all’evento, dipana al rallentatore il nastro dei ricordi, riporta al cuore visi, immagini da “Sabato del villaggio” del suo borgo natio, rimasto intatto nel suo io con la sua autentica bellezza geografica, ma soprattutto umana, e difende quel mondo contro ogni offesa, da ogni ferita.

Anche in questa sua nuova opera, così come nella precedente “Racconti di Terre Joniche”, traspare l’immenso amore verso la sua terra e i suoi personaggi, a lui tanto cari.


L’incontro sarà allietato con intermezzi musicali eseguiti da Mimì Zampino sotto la regia del Maestro Francesco Verardi.









 



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L’ incisione e la Grafica d’Arte di Andrea Lelario

  L’ArteCheMiPiace – Artisti

L’ incisione e la Grafica d’Arte 
di Andrea Lelario
di Giuseppina Irene Groccia |22|Maggio|2023|
Andrea Lelario è un mirabile e moderno interprete della tradizione incisoria italiana, la più preziosa tra le arti grafiche. 
Nel suo percorso di ricerca ama misurarsi con diverse tecniche incisorie: acquaforte, puntasecca, bulino e grafite. L’uso consapevole e personalizzato di queste abilità manifesta le sue innovative intuizioni, che sono il frutto della sua più sensibile creatività. La sua indagine si basa su raffinate e ricche volontà interpretative: queste ultime tracciano un cammino specifico, consentendo l’attraversamento dei contenuti che intende perseguire a compimento della sua opera, intensificando il distacco fra l’apparenza e l’essenza celata delle cose. La sua tecnica di produzione è un mezzo espressivo originale basato sullo sdoppiamento oggettivo e temporaneo di una singola idea creativa. 

La riproduzione seriale delle copie, all’unisono con il momento interpretativo delle opere, sublima l’attimo catalizzatore complementare. Le sue opere si configurano con oggetti ed elementi. Questi ultimi sono in grado di rendere meglio comprensibili le composizioni mediante sequenze di immagini, acutamente suggestive ed armoniche. Egli eredita e rielabora le esperienze della tradizione incisoria classica assimilandole con le novità della sua ricerca. Tale risultato è in grado di valorizzare ed esaltare, attraverso la ricerca formale e il virtuosismo tecnico, il tocco pittorico e creativo dei suoi lavori. 

Tutto il suo operato è collegato da un pathos visionario e da una interpretazione manieristica di un chiaro scuro acquisito attraverso la sua grande abilità nel gestire spessore, contorni e tratteggio. L’artista indaga con sguardo attento i valori tonali del segno e indirizza le sue produzioni verso una dimensione surreale popolata da visioni oniriche. Per la validità del suo lavoro, l’artista è stato più volte premiato: dal conferimento di incarichi come Docente Titolare di Cattedra in Tecniche dell’incisione alla Direzione dell’Accademia di Belle Arti di Roma. Attualmente, al suo lavoro di incisore, affianca l’attività di libero docente di Tecniche dell’Incisione e Grafica d’Arte e Litografia presso l’Accademia di Belle Arti di Roma. La sua brillante carriera accademica, rivolta alla formazione di nuove generazioni di artisti, si manifesta in parallelo con la sua gratificante attività artistica. Diverse le opere scelte da importanti collezioni museali. 

La sua poetica vive di esplorazioni. Non sono altro che intense attività di ermeneutica sulle immagini archetipali del suo stesso inconscio: esperienze sensoriali ed esistenziali che forniscono materiale artistico per viaggi immaginari, costituenti la memoria storica dell’autore. È da questa idea-visione che prende forma la raffinata idea del suo taccuino d’artista, una piccola agenda Moleskine contenente 416 disegni realizzati con micropenne 005 e 003. Quattrocento pagine pregne di un flusso ininterrotto di segni, disegni e visioni in una dimensione cronologica che si concreta in dieci anni. Il taccuino Moleskine di Lelario insieme alle altre sue opere è stato recentemente acquisito dal Gabinetto delle Stampe e Disegni degli Uffizi di Firenze.












“Nel taccuino ci sono immagini archetipali del mio inconscio, sensazioni; non c’è un tema specifico, se non un lungo racconto, come una seduta psicoanalitica durata molti anni. Non ho mai pensato di lavorare a qualcosa di pubblico. Il formato piccolo mi ha aiutato a trovare la concentrazione; il bianco e nero la profondità”. 

Andrea Lelario a proposito del suo Taccuino d’artista Moleskine









Contatti dell’artista

Email andrealelario@gmail.com


Andrea Lelario nasce nel 1965 a Roma dove frequenta il corso
di Tecniche dell’Incisione tenuto da Pippo Gambino e Duilio Rossoni presso
l’Accademia di Belle Ari di Roma.

Nel 1990 consegue il diploma in Decorazione con Enzo
Frascione e nello stesso anno vince il Premio “Accademia di Belle Arti di Roma”
istituito dal Direttore Cesare Vivaldi
 

Nel 1991 inizia a insegnare Anatomia artistica presso
l’Accademia di Belle Arti di Roma, prosegue la sua carriera di docente di prima
fascia di Grafica D’Arte – Tecniche dell’Incisione presso le Accademie di Belle
Arti di Palermo, l’Aquila, Carrara, Sassari, Napoli, Macerata, Frosinone e
Viterbo di quest’ultima Accademia è stato vicedirettore negli anni 2005/2006 e
2007/2008.

Dal 1995 al 1997 cura la rassegna di arti visive
Capranic’Art, allestita all’interno di Palazzo Capranica di Roma,
contestualmente progetta un mosaico per la metropolitana di Roma, realizzato
nella stazione di Numidio Quadrato. Nel 1998 vince il premio Giovani Incisori,
istituito dal Museo d’Arte Contemporanea Villa Croce di Genova. Nel 2003 è
invitato alla XIV Quadriennale di Roma, anteprima di Napoli allestita a Palazzo
Reale, mentre nel 2005 ha ricevuto dal ministro Letizia Moratti la nomina di
presidente di commissione per il concorso nazionale AFAM per il settore
disciplinare di Grafica D’Arte. Nel 2007 Rai ArtNews realizza un documentario
Artisti al lavoro sulla sua attività di incisore, e nel 2010 viene invitato
nello studio televisivo dello stesso programma per la realizzazione in diretta
di un’opera, Genos. Nel 2011 partecipa alla 54° Biennale di Venezia. Vince il
LXV premio Michetti nel 2014. Dal 2015 è Tutor didattico/disciplinare di
ArtLab, Master dell’Università di Roma Tor Vergata. Le sue acqueforti sono
state selezionate per le inaugurazioni di diversi anni accademici
dell’Università di Tor Vergata: come omaggio per il presidente del Senato
Pietro Grasso (A.A. 2013/2014), per il presidente della Repubblica Sergio
Mattarella (A.A. 2016/2017) e per il presidente del Parlamento Europeo Antonio
Tajani (A.A. 2017/2018), in questi stessi anni collabora con

William Kentridge ad un progetto di litografie e incisioni.

È stato membro del Consiglio accademico dell’Accademia di
belle arti di Roma dal 2016 al 2019.

Nel 2017 espone gran parte della sua produzione nella mostra
Perentoria figura nella sede dell’Istituto Centrale per la Grafica di Roma.

Nel 2018 realizza l’opera Site-specific per il nuovo
Rettorato di Tor Vergata La memoria e i volti. Lo sguardo dell’Università Tor
Vergata nei ritratti dei rettori, sei matrici in rame incise a puntasecca e
inchiostrate. Dal 2018 partecipa a numerose esposizioni organizzate dalle più
importanti Accademie e Istituzioni artistiche cinesi. Nel 2019 viene eletto
Direttore dell’Accademia di Belle Arti di Roma, carica che ricopre fino al
maggio 2020. A partire dal 2019 è professore emerito della CAFA (Central
Academy of Fine Art di Pechino) e vicepresidente della IAPA, associazione
mondiale degli incisori che organizza una delle più grandi esposizioni biennali
al livello mondiale.

Nel 2020 presiede la giuria del Premio Carnello per
l’incisione che gli dedica un’esposizione personale negli spazi delle ex
cartiere di Isola del Liri.

Nel 2021 è membro del comitato scientifico per la prima
Biennale Internazionale Digital Print Art Exhibition. Le sue opere sono
presenti in collezioni pubbliche e private:

In Italia presso il Gabinetto delle stampe di Bagnacavallo
(RA), l’Istituto Centrale per la Grafica di Roma, nella raccolta delle Stampe
Achille Bertarelli, Palazzo Sforzesco, Milano, il Gabinetto dei Disegni e delle
Stampe degli Uffizi dove gli viene dedicata una sezione di 14 opere.

All’estero presso il Gabinetto delle stampe di Edimburgo e
di Glasgow.

Attualmente è docente di prima fascia di Tecniche
dell’Incisione e Grafica d’Arte e Litografia presso l’Accademia di Belle Arti
di Roma




































 




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SCRIVO T, AMO – Il nuovo libro di Maria Marchese

  L’ArteCheMiPiace – Libri da leggere





SCRIVO T, AMO
Il nuovo libro di Maria Marchese





di Giuseppina Irene Groccia  |19|Maggio|2023|




Con “La mia Sherazade”, nel 2020 Maria Marchese dà inizio ad
un’inedita stagione poetica; dopo “Le scarpe rosse – Tra tumultuoso mare e
placide acque
”, del 2017, e “Fragilità poetiche”, del 2022, il suo verso
poetico si rivolge, spontaneo, verso una sfera amorosa, le cui pregnanze sono
intrise di un erotismo sfacciatamente elegante.

La penna di Maria Marchese racchiude entrambe le
definizioni: è spirituale, perché le sue parole, i suoi versi si innalzano
alti, fino a raggiungere vette divine, spirituali, che fanno sognare, che ci
accompagnano, in un viaggio pieno di sensazioni e scenari idilliaci.

Entra nella pelle, vi si infila, ti accarezza , ti
avvinghia, ti cattura, ti seduce la sua piuma. Talentuosa e creativa, tanto
nelle sue poesie come nei testi critici, con le figure retoriche, che conosce
alla perfezione, tutto ciò che tocca diventa poesia, storia.




 

“Scrivo t,amo” – prefazione a cura dello storico e
critico d’arte Valeriano Venneri


La raccolta poetica, nel tempo, matura ben oltre le intenzioni;
gli impegni dell’autrice comasca, che è altresì curatrice e critica d’arte, ne
procrastinano la pubblicazione, mente la sua mano continua, invero, a intessere
le preziose trame. Così, nel Giugno 2023, viene pubblicato “Scrivo t,amo”… Il
titolo stesso, fregiato da un accento scivolato, rappresenta, di per sé, un
incipit interessante: ti amo per come ne sono capace, ti amo con le mie
fragilità, perversioni, virtù…

“Scrivo t,amo” custodisce un immaginario plastico, in cui
amore e eros digradano l’uno nell’altro: da questa osmosi ha genesi un senso
sesto.

Mentre la penna minia profili e interstizi, la china rende
ebbri i cinque sensi, laddove pelle, mente e anima giocano, creando colorati e
pieni viluppi poetici. In essi, le parole seducono profumi, immagini, sapori,
suoni, lineamenti fisici, avvincendoli addentro una raffinata architettura
scrittoria. Quest’ultima lumeggia evocazioni plurisensoriali di un erotismo che
celebra la sacralità della coppia. I versi, infatti, ammagliano il suolo fisico
e il sentimento.

“Scrivo t,amo” raccoglie 58 poesie, 6 delle quali tradotte
in lingua straniera da docenti, artisti e critici d’arte: Arjan Kallco, autore,
poeta e docente dell’Università di Korca, Khira Jalil, autrice, poetessa,
artista e critica d’arte marocchina, Maribel De Alba Fernández, artista
spagnola.

La raccolta si presenta con una copertina minimale e
elegante, la cui foto principale ritrae la poetessa, con indosso l’opera in
seta dell’artista di Assisi Nino (Nino Palazzo). All’interno, invece, due
copertine fregiano la silloge, annichilendo il concetto di fine; giunti al centro
dell’opera, infatti, poesie inedite digradano numericamente, per ricongiungere
il lettore ad un ennesimo inizio. 

Anche questo aspetto merita di essere indagato:
l’autrice, infatti, è una continua metamorphose. Lo stretto legame con
l’universo artistico e i suoi protagonisti e un carattere performativo la
vedono esperirsi, da tempo, con vesti mutevoli, che la mostrano coinvolta in
esperienze artistiche polisemantiche.


Una sola poesia è in comune e viene ripetuta due volte: il
libro culmina con una lirica scritta a 4 mani con Angelo Orazio Pregoni,
autore, poeta, naso, profumiere, intellettuale e artista sinestetico.


Due prefatori d’eccellenza introducono la raccolta: il prof.
Valeriano Venneri, storico e critico d’arte, e Tano Simonato, chef stellato
milanese, proprietario del rinomato ristorante “Tano passami l’olio”, nella
città di Milano.




L’eleganza, la movenza, l’essere suadente, nell’atto di
portare il cibo alla bocca, sono già, di per sé, gesti erotici. Il pasto è un
preludio d’amore: il cibo rilassa, il vino disinibisce, si ‘gusta’ l’altro.

Se associamo l’atto del nutrirsi di cibo all’amore, ci
nutriremo, anche, d’amore e di afrodisiaco.


Qualcuno ti aspetta per mangiare insieme. Sta tutto lì
il segreto


La penna della Marchese cattura, attraverso il verso
poetico, un immaginario erotico vivo e pulsante, che conturba i sensi e il
senso, ubriacando il lettore di un erotismo sottile, intriso di sapori, odori,
suoni, pelle, carne…

Sono poesie eleganti, quelle di Maria Marchese, che si
insinua, quale poetessa dalla cifra scrittoria raffinata, con voluttuosa
leggiadria, nella mente del lettore.

E perché no… anche con i suoi tacchi a spillo.


(“Scrivo t,amo” – dalla prefazione dello chef stellato
milanese Tano Simonato)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 









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“Smile, un Mondo a colori” di Milena Quercioli a cura di Alessio Musella

    L’ArteCheMiPiace – Segnalazione Eventi






Milano, Galleria Spazio Solferino Smile, un Mondo a colori di Milena Quercioli a cura di Alessio Musella


Inaugurazione Lunedi 22 Maggio ore 18,30.


La passione per l’arte e per la street art accompagna l’artista da sempre.

Fin da piccola amava disegnare ma è da adolescente che si è appassionata alla street art, ai graffiti e ai murales. 

Comprava tutte le riviste del settore per prendere ispirazione e creare, reinterpretando i disegni sulla sua Smemoranda. 

Erano gli anni 80, la street art stava sbarcando anche in Italia e la sua città, Milano, era la capitale italiana di quel nuovo movimento artistico e culturale….


Per Milena entrare nell’Universo Arte è stato un passaggio naturale ma la spinta decisiva è stata la malattia di sua madre, il vederla lottare e sorridere ogni giorno nonostante tutto e le sue parole le hanno dato la spinta decisiva per trasformare la sua passione in professione. 

L’arte per l’artista milanese è stata terapeutica, ha riversato nel dipingere i suoi sentimenti portando sempre con se i preziosi insegnamenti della mamma, primo fra tutti “credi sempre nei tuoi sogni e cerca sempre il sorriso nel cuore”

L’arte scuote l’anima ci fa riflettere, sognare, reagire ricordare gioire agire …vivere, porta con sè lacrime e sorrisi.



Il filo conduttore di “Smile, un Mondo a colori” è il non-grigio, attraverso i colori arriva infatti la ricerca della positività per superare le difficoltà e ritrovare dentro di sè il sorriso, nonostante tutto, nonostante tutti.

Nei dipinti di Milena ritroviamo il nostro essere bambini, la purezza e quel sorriso che cancella la sofferenza per ricordare solo le cose belle…


Presso Galleria Spazio Solferino, dal 22 al 28 si svolgerà la personale dell’artista Milena Quercioli “Smile, un Mondo a colori”


Insieme al  curatore Alessio Musella , sarà presente il critico d’arte  Federico Caloi.




Special Guest della serata sarà Jo Squillo, Fondatrice dell’associazione Wall of Dolls, grazie alla sua presenza sarà possibile puntare il focus sulla violenza contro le donne, argomento, purtroppo sempre all’ordine del giorno.

Partner dell’evento la Onlus Bon’t Worry della quale Milena Quercioli è socia onoraria e la F.I.P.I. 


Inaugurazione ore 18,30

Milano – Via Solferino 25, ingresso da via Marsala


L’immagine di copertina è stata curata e realizzata dall’artista Francesca Falli.



Media Partner 

www.exiturbanmagazine.it

www.artandinvestments.com 


Un ringraziamento speciale a 9-5-8- Santero per il supporto
















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La nuova Raccolta di ContempoArte si propone come una vetrina, dove ogni artista selezionato ha libertà di manifestare la sua idea, il suo sentire e il suo pensiero attraverso una sua singola opera. Il risultato è un incontro corale, nonostante le apparenti variazioni stilistiche, uno sguardo, un’interrogazione su come si interpreti il concetto che scardina l’importanza del reale per addentrarsi più profondamente a un sentire dell’anima o della mente.
Questa nuova Edizione, è animata dall’intento di favorire il confronto e il dialogo tra artisti eterogenei e di diversa nazionalità e dal desiderio di narrare linguaggi multidisciplinari contribuendo allo sviluppo del sapere diffuso attraverso i valori dell’arte e della cultura contemporanea. 
I ventinove artisti interpreti di questa raccolta hanno dato vita ad una narrazione che si caratterizza per la coesistenza di linguaggi rappresentati da tecniche e stili differenti.  L’esigenza comunicativa che accomuna le loro voci, li rende sensibili interpreti di un’eclatante creatività, individuata nelle libere astrazioni segniche e nella capillare diffusione del messaggio artistico che riescono ad esprimere con spontaneità ed eleganza ai fruitori.
Un racconto visuale, tanto ricco di sfaccettature, che permette di approfondire il percorso creativo dei vari artisti, pregno di sperimentazione e di un insieme di esperienze e ricerche.

Artisti di questa Raccolta:
Dirk De Keyzer, Andrea Lelario, Ingebjorg Støyva, Monica Cossu, Cleidimar Isabel De Oliveira, Andrea Virdis, Yinon Gal-on, Felipe Cardeña, Marcin Laskowski, Nilo Domanico, Carlo Ferrara, Luca Barlocci, Alessandro Andreuccetti, Mario Cucchi, Gianfranco Calió, La Chigi, Giuliano Cotelessa, Patrizia Crupi, Cinzia Aino, Martina Di Ferdinando, Ercolino Ferraina, Giuseppina Irene Groccia, Francisco Soriano, Alejandro Montini, Adele Quaranta, Tonia Erbino, Pio Peruzzini, Marinella Pucci, Claudia del Giudice

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Ingebjørg Støyva – Un magico fraseggio tra gesto pittorico e colore

 L’ArteCheMiPiace – Artisti


Un magico fraseggio tra gesto pittorico e colore

Ingebjørg Støyva


di Giuseppina Irene Groccia |14|Maggio|2023|




Tema unico, ma estremamente ricco e vario, della pittura di Ingebjørg Støyva è la cultura figurativa, o più in particolare l’affascinante rapporto meditativo e intimistico che si instaura  con i suoi soggetti.

Nelle sue opere è solita agire tramite il linguaggio figurativo, ottenendo così un dialogo aperto attraverso composizioni intrise di poesia e valenze metafisiche.



La sua pittura è caratterizzata da una meticolosa ricerca, ottenuta non con un semplice sguardo ma con una attenta visione unita alla profonda osservazione del particolare. Gli elementi che attraversano la trama delle tele di Ingebjørg Støyva si rifanno ai maestri del passato pur mantenendo un personale stilema espressivo. 



La veridicità che le caratterizza è uno straordinario gioco di un’arte postmoderna di sicura appartenenza al mondo contemporaneo.

Ingebjørg Støyva è un’artista in continua crescita, nell’attenta analisi del suo lavoro spicca il suo contributo verso una ricerca artistica supportata da molti riconoscimenti ottenuti sin dagli albori della sua attività.



Il suo percorso è basato su una felice soluzione stilistica, che abbraccia una pittura volta a considerare l’idea di un aspetto trascendentale e catartico dell’arte. Non c’è dubbio che la figura femminile sia al centro dell’interesse dell’artista, sentimento e segno si mescolano per creare opere uniche, capaci di dialogare con il fruitore che le contempla e rendergli emozioni profonde che rimandano alla spiccata sensibilità dell’artista.





In un magico fraseggio tra gesto pittorico e colore avviene un incontro fortuito e fortunato che va a comporre una specie di narrativa esaltante ed emozionale, ottenuta con una perizia esecutiva in grado di suggerire una lettura critica di ciò che ci circonda insieme ad una sincera riflessione esistenziale.






























Contatti dell’artista 


Email ingebjorg.stoyva@outlook.com










Ingebjørg Støyva è cresciuta in un piccolo villaggio sul Sognefjord, con suo padre, suo fratello e sua nonna. Nella sua prima adolescenza ha scoperto il suo interesse per l’arte e l’amore per i colori. La pittura le ha permesso di comunicare in modo diverso e di raccontare storie senza dover necessariamente ricorrere ad un racconto orale.

Nel suo percorso di ricerca impiega varie tecniche illustrative come mezzo espressivo per trasmettere le sue emozioni. Possiamo definirla pittrice narrativa, in quanto preferisce, nell’ esporre uno stato d’animo o una storia,  l’atto di suggerire piuttosto che quello dell’ affermare. Il suo desiderio è quello di arrivare all’anima e che gli elementi del suo lavoro siano in qualche modo emotivamente riconoscibili…


















 




©L’ArteCheMiPiace – Blog Arte e Cultura di Giuseppina Irene Groccia 








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The Face. AVEDON BIS NEWTON

  L’ArteCheMiPiace – Favourites


The Face. AVEDON BIS NEWTON






di Giuseppina Irene Groccia |10|Maggio|2023|








Che si tratti del Tate di Londra, del Metropolitan Museum of Art di New York o del Centre Pompidou in Francia, tutti questi musei d’arte dispongono di più sedi, così anche lo storico museo viennese Albertina ha a disposizione una nuova sede dedicata all’arte moderna e contemporanea. Si tratta dell’Albertina Modern.















Inaugurata a marzo 2020, questa seconda sede vanta una collezione di 60.000 opere di 5000 artisti. Uno spazio espositivo che occupa circa 2.500 metri quadri nella Künstlerhaus completamente ristrutturata, e che consente a questa istituzione museale, situata nei pressi della centralissima Ringstrasse a Vienna, di mostrare una gamma più ampia di opere provenienti dalle proprie imponenti collezioni.




La mostra fotografica The Face. AVEDON BIS NEWTON ha trasformato questo imponente edifico costruito in stile storicista, in un luogo di partecipazione e condivisione con opere di forte impatto emozionale. Questo è uno dei motivi per cui non potevo perdermi questa interessante mostra durante il mio ultimo viaggio a Vienna. L’evento espositivo mi ha consentito di approfondire esperienze
e percorsi attraverso gli scatti di grandi fotografi internazionali, tra i più
influenti del panorama mondiale.







L’esposizione ha proposto opere della fotografia di ritratto contemporanea, una selezione proveniente dalla ricca collezione dell’Albertina Museum. Le fotografie sono state scattate tra gli anni ’50 e 2000 e mostrano una disamina sfaccettata del genere tradizionale del ritratto.






Il percorso espositivo ha presentato toccanti studi di ritratto di personaggi famosi, caratterizzati dalla resa mirata dei loro lineamenti del viso.

Una ricca e ampia selezione di ritratti fotografici con protagonisti artisti e personaggi famosi, icone dell’arte, della musica, del cinema e della letteratura, che hanno lasciato un grande segno nel mondo.







Artisti del calibro di Dwight D. Eisenhower, Alberto Giacometti, Elton John, Michael Jackson, Keith Richards, Clint Eastwood, Keith Haring, Andy Warhol, Lou Reed, Humprey Bogart, Sophia Loren, Charles Bukowski, Bert Lahr, Francis Bacon, Isak Dinesen, Marilyn Monroe, Marcel Duchamp, John Ford, Marc Chagall, Roy Lichetnstein, William S. Burroughs, Alex Katz, e altri hanno trovato posto con il loro volto e forse anche con la loro anima  in una esposizione al pubblico che è una dichiarazione di intenti che narra dietro ogni viso lo spirito e il valore soggettivo di ogni celebrità  immortalata.





Si, perché un ritratto è anche questo, un modo per entrare dentro l’essenza interiore delle persone rivelandone spesso la psicologia. Un’immagine che racchiude tutta una storia, come un libro che è rappresentato da un’unica immagine, la sua copertina, ma che rivela al suo interno una storia infinita.




La selezione presentata comprendeva opere tra le altre di Nancy Lee Katz, Richard Avedon, Irving Penn, Gottfried Helnwein, Chuck Close, Helmut Newton, Jim Dine e Franz Hubmann.


La definizione di un ritratto può essere discussa già nella prima stanza. Perché Richard Avedon non solo ha fatto grandi scatti di volti che trasmettono immediatezza e intimità, ma ha mostrato in modo impressionante, attraverso il piede del ballerino Rudolf Nureyev, come anche le singole parti del corpo possono rappresentare una persona.



Richard Avedon, Rudolph Nureyev 1967


Richard Avedon 


Oltre alle foto di moda, pubblicitarie e di reportage, Richard Avedon crea un corpus completo di ritratti dedicati a persone di varie classi sociali.  Negli anni ’50 ha sviluppato il suo approccio tipico di catturare i volti in primo piano davanti a uno sfondo neutro.  Il linguaggio pittorico ridotto e l’illuminazione uniforme e forte, gli consentono di concentrarsi sulle espressioni facciali e sui gesti, che appaiono in primo piano.  Nel corso della sua mostra al Minneapolis Institute of Art nel 1970, ha presentato il portfolio di Minneapolis, che includeva foto del poeta Ezra Pound e fotografie dell’attrice Marilyn Monroe, oltre a raffigurazioni di politici e presidenti come Dwight D. Eisenhower, molte delle quali riproposte in questa importante mostra collettiva THE FACE.







Richard Avedon, Bert Lahr 1958


Durante una carriera che ha attraversato quasi sessant’anni, il reportage, il ritratto e il lavoro di moda di Richard Avedon hanno sciolto le linee tra i generi fotografici e hanno coperto un’enorme ampiezza di soggetti. Catturando gli ideali americani di moda, ritrattistica e bellezza nel ventesimo e all’inizio del XXI secolo, ha contribuito a cementare lo status della fotografia come legittima forma d’arte contemporanea. Mentre il ritratto dei suoi coetanei tende a concentrarsi su momenti composti e isolati, la forte illuminazione di Avedon attira lo spettatore al potere dell’espressione del soggetto, che spesso suggerisce strati nascosti alle loro personalità.



Richard Avedon, Francis Bacon 1979

Nato nel 1923 a New York, Avedon era interessato alla fotografia fin dalla tenera età: si unì al club fotografico della Young Men’s Hebrew Association quando aveva dodici anni. Nel 1942, durante la seconda guerra mondiale, servì come compagno di seconda classe del fotografo nella marina mercantile degli Stati Uniti, e poco dopo iniziò a lavorare professionalmente, producendo immagini per Harper’s Bazaar dopo aver studiato con il direttore artistico della rivista Alexey Brodovitch.




Richard Avedon, Isak Dinesen 1958

A partire dal 1944 Avedon trasformò l’arte della fotografia attraverso i suoi indelebili contributi alle principali riviste di moda e contemporanee, tra cui Harper’s Bazaar, Vogue, Life, Look e altre riviste popolari. Ha fotografato icone e modelle pop, musicisti e scrittori, soldati e attivisti politici, nonché membri della sua famiglia. Affascinato dal potere della fotografia di suggerire personalità, le immagini di Avedon registrano pose, acconciature e abbigliamento come elementi vitali di un’immagine, piegando le regole della composizione fotografica, sia per strada che in studio, a un particolare scopo stilistico e narrativo.


Richard Avedon, Marilyn Monroe 1957

Dopo aver pubblicato il numero di aprile 1965 di Harper’s Bazaar, Avedon ha lasciato la rivista e si è unito a Vogue, sotto la direzione artistica di Alexander Liberman, dove ha lavorato per più di vent’anni. Nel 1992, è diventato il primo fotografo dello staff del New Yorker e la sua ritrattistica ha contribuito a ridefinire l’estetica della rivista. In tutto, Avedon ha anche gestito uno studio commerciale di successo e il suo lavoro con Calvin Klein, Revlon, Versace e molte altre aziende gli ha dato la libertà di perseguire progetti ambiziosi, tra cui una serie di ritratti che documenta il movimento americano per i diritti civili e la guerra del Vietnam.


Richard Avedon, Marcel Duchamp 1958

Avedon collaborò con Truman Capote al suo primo libro di fotografie, Observations, nel 1959 e continuò a pubblicare Nothing Personal con James Baldwin nel 1964. Nel 1962, la Smithsonian Institution esestì la prima retrospettiva museale di Avedon, e seguirono numerose altre mostre museali, tra cui due al Metropolitan Museum of Art (1978 e 2002). Dal 1979 al 1984 Avedon ha lavorato a lungo su commissione dell’Amon Carter Museum of American Art di Fort Worth, in Texas, producendo infine la mostra e il libro del 1985 In the American West: Photographs di Richard Avedon, un progetto di ritratto esteso in cui mirava a esaminare la trama della vita vissuta dai lavoratori comuni. La serie lo ha visto visitare carnevali, miniere di carbone, rodei, prigioni e macelli per trovare soggetti, ed è da sempre considerato il suo magnum opus. Ha continuato a pubblicare per tutta la vita.


Richard Avedon, John Ford 1972





Franz Hubmann

Franz Hubmann è considerato uno dei più importanti fotoreporter del dopoguerra in Austria.  I ritratti d’artista che crea dagli anni ’50 costituiscono una parte centrale del suo lavoro.  Di particolare importanza sono le registrazioni che Hubmann fece a Parigi nel 1957.  Lì fotografa molti dei protagonisti ancora in vita che hanno rivoluzionato il mondo dell’arte all’inizio del XX secolo dal punto di vista di un fotoreporter.  Fa visita agli artisti nei loro studi senza preavviso per poterli fotografare nel loro ambiente di lavoro quotidiano.  Vengono create inquadrature spontanee più dialogiche rispetto, ad esempio, a quelle di Nancy Lee Katz.  Le fotografie di ritratto di Hubmann colpiscono per la loro grande immediatezza e la cattura di momenti significativi, rinunciando allo stesso tempo alla messa in scena e agli esperimenti estetico-formali.


Franz Hubmann, fotografo e fotoreporter austriaco nato nel 1914 a Ebreichsdorf, Bassa Austria. Ha vissuto e lavorato come fotografo freelance e autore a Vienna.


Franz Hubmann, Andy Warhol 1981

Hubmann ha iniziato la sua carriera come tecnico tessile. Tra il 1836-38 diresse una fabbrica di cappelli. Solo dopo la seconda guerra mondiale decise di trasformare il suo hobby in una professione. Nel 1946, già padre di 32 anni, Hubmann iniziò un apprendistato di tre anni alla Graphische Lehr- und Versuchsanstalt di Vienna.

Franz Hubmann, Marc Chagall 1957

Nel 1951 entrò in contatto con Karl Pawek, editore di Magazines Austria International, come direttore del Dipartimento di Promozione del Turismo dell’Austria. Con lui iniziò una collaborazione di lunga data. Nel 1954 fondarono “Magnum – la rivista della vita moderna“. L’obiettivo della rivista era quello di guidare le persone con cautela verso il nuovo mondo della modernità. Le serie di foto di Hubmann, come “Café Hawelka“, sono state la sua grande svolta come fotografo e fotoreporter. Fino a quando la rivista è stata interrotta, nel 1964, lui ne è stato il fotografo principale.



Franz Hubmann, Marc Chagall 1957


Nel corso dei decenni ha pubblicato circa 80 libri fotografici, in particolare su temi storici e folcloristici. Inoltre, ha prodotto negli anni 1960 e nei primi anni 1970, diciassette film televisivi per l’ORF, compresa la serie in 5 parti The High School of PhotographyÈ morto nel 2007.

Franz Hubmann, Alberto Giacometti 1957




Irving Penn


Bianco e nero e teatralità studiata. Questi sono due dei tratti principali del lavoro di Irving Penn (1917 – 2009), l'”Everest della fotografia” secondo Bruce Weber e uno di quegli uomini che con le sue istantanee ha contribuito a costruire l’immaginario collettivo del XX secolo.

Laureato in design industriale, pittore di vocazione e newyorkese di adozione, Penn ha iniziato a lavorare per Vogue USA negli anni quaranta. L’intestazione ha segnato la sua consacrazione come fotografo e la migliore vetrina da cui mostrare le sue fotografie alle tendenze dell’Alta Moda parigina, le sue nature morte e i suoi ritratti di alcuni dei personaggi più celebri della storia recente. Truman Capote, Marlene Dietrich, Marcel Duchamp o Salvador Dalí abitano nelle nostre teste con la posa e l’inquadratura con cui Penn li ha catturati. “Una buona fotografia è quella che racconta qualcosa, tocca il cuore, e cambia lo spettatore dopo averla vista” raccontava.

Irving Penn, Sophia Loren 1959

Autentico precursore della fotografia intesa come arte e documento, ha mescolato avanguardia e moda aprendo la strada ad altre figure come Richard Avedon o Mario Testino e ha viaggiato in tutto il mondo facendo fotografie, dalla Spagna alla Guinea Equatoriale. Sposato con la modella Lisa Fonssagrives e fratello del regista Arthur Penn, Irving è rimasto fedele a Vogue USA, con cui ha collaborato fino alla fine dei suoi giorni.





Nancy Lee Katz



Nancy Lee Katz è stata una fotografa ritrattista con sede a New York che ha documentato molto nell’ambito del mondo dell’arte, della fotografia e della musica. Ha anche lavorato come montatrice cinematografica. 

Nel corso della sua vita, la fotografa newyorkese Nancy Lee Katz ha perseguito il progetto di fotografare gli artisti nel loro ambiente di lavoro.  Katz donava a ogni persona ritratta una stampa, ma non esponeva queste opere e non le pubblicava in altro modo.  Questo ricco patrimonio di ritratti d’artista venne alla luce solo dopo la sua morte.  Definito il suo “pantheon” personale, le sue fotografie trasmettono una vivida impressione della scena artistica di New York, che ha catturato tra il 1986 e il 2011. Nancy presenta i suoi modelli nel contesto delle loro opere e quindi nel loro ruolo di artisti, non come amici o privati.



Nancy Lee Katz, Roy Lichtenstein 1986


Non ha mai desiderato vendere la
sua arte o esporla in esposizione o pubblicazioni, con l’unica eccezione di una
donazione alla Bibliothèque Nationale de France in segno di gratitudine per
aver avuto la loro disponibilità nell’utilizzare le loro strutture per una sua
ricerca riguardante fotografie del XIX secolo.


Nancy Lee Katz, Alex Katz 1993

Poco prima della sua morte decise di fare una selezione di tutte le sue opere, scegliendo quelle più rappresentative offrendole a diversi musei di tutto il mondo.

È così che a partire da agosto 2021, gruppi di fotografie di questa artista precedentemente sconosciuta sono entrati a far parte delle collezioni di Art Institute of Chicago, Albertina Museum Vienna, Bibliothèque Nationale de France, Boston Museum of Fine Arts, Collection of the Supreme Court, Israel Museum, Los Angeles County Museum of Art, Museum of Fine Arts Houston, National Gallery.





Helmut Newton



A partire dagli anni ’60, Helmut Newton è diventato uno dei ritrattisti e fotografi di moda di maggior successo.  Espande il genere classico affrontando il voyeurismo, l’erotismo, il potere e la violenza.  Al centro di questo c’è l’inversione delle dinamiche di potere tra fotografo e modello.  

Nei Big Nudes, progetto che comprende anche lo scatto di Verina (nella foto sotto), mostra le donne nude, ma in una pose esplicitamente sicure di sé.  Inoltre, li presenta in misura più grande del reale, conferendo loro una presenza dominante.  I suoi scatti sfuggono alle interpretazioni semplicistiche e creano un’ambivalenza che si polarizza con successo fino ai giorni d’ oggi.




Helmut Newton, Verina Nizza, 1993


Sessista o femminista? Questa domanda circola da sempre intorno al fotografo Helmut Newton. Ma una cosa è certa, Newton è uno dei fotografi più affascinanti e allo stesso tempo provocatori del nostro tempo. Nato nel 1920 in una famiglia ebraica, il berlinese trovò presto la sua passione per la fotografia e abbandonò il liceo all’età di 16 anni per fare un apprendistato con l’altrettanto rinomata fotografa berlinese Yva. Nel 1938, Newton fugge via a  Singapore in Australia, dove nel 1945 apre il suo primo studio fotografico a Melbourne.  Lì incontrò anche sua moglie June, che condivideva con lui la passione per la fotografia ed era fotograficamente attiva anche lei sotto lo pseudonimo di Alice Springs. Ha avuto una grande influenza su Newton e spesso lo ha accompagnato nelle riprese. Da quel momento in poi, la carriera di Helmut Newton ha preso velocità e si è sviluppata principalmente attraverso le sue fotografie di moda per riviste come Queen, Vogue o Elle. Solo più tardi negli anni ’80 Newton si rivolse alla fotografia di nudo, che è rimasta iconica e attuale 



Ancora oggi, le sue opere fotografiche mettono alla prova i confini sociali e stimolano la riflessione. Queste fotografie, che spesso mostrano le donne in rappresentazioni feticista, possono trarre in inganno e far apparire a prima vista una donna in cui l’effetto oggettivante è amplificato. Tuttavia, le immagini di Newton sono più complese, esse hanno offerto idee irraggiungibili di glamour, giocando con le idee di desiderio umano, lussuria, genere e potere. 



Helmut Newton, Woman Entering The Ennis-Brown House 1990


Newton mise in scena desideri e sogni, opere teatrali e inventò travestimenti fuorvianti; le sue donne sono donne, non femmine.

La cosa complicata delle immagini di Newton è che rappresentavano le donne attraverso lo sguardo maschile, eppure bisogna riconoscere l’erotismo autonomo delle sue protagoniste femminili. Le immagini venivano apprezzate per le loro fantasie stimolanti, che alludevano a lotte di potere sessualmente cariche tra prede e predatore, che Newton immaginava e abilmente costruiva. È questa l’eredità che è rimasta: una fantasia molto potente capace di scuotere ancora oggi i confini immaginari.




Chuck Close 



Partendo dal presupposto che una singola fotografia non può catturare adeguatamente la personalità di un modello, Chuck Close combina cinque scatti del suo viso in un panorama multiprospettico in Self-Portrait/Five Part La testa dell’artista si presenta come una scultura con una visuale quasi a tutto tondo.  Come in altri suoi lavori, anche qui si occupa di processi di riproduzione.  Ancora una volta usa i dagherrotipi, che converte in dati digitali, che a loro volta possono essere letti da un telaio elettronico.


Un leggendario ritrattista e maestro del fotorealismo, Chuck Close (1940 – 2021), è stato uno degli artisti più influenti della sua generazione, riconosciuto per il suo dettaglio meticoloso e la sua tecnica innovativa, che ha avuto un profondo impatto sia sulla cultura americana che sulla comunità artistica internazionale.


Un artista di un’era di progressi tecnologici, Close ha continuato a offuscare polemicamente la linea tra belle arti e fotografia. Piuttosto che fare affidamento su una spinta espressiva o su una tradizione accademica, ha costruito la sua arte sulle sue regole e rituali. Come artista con una profonda base accademica, ha portato il concetto di realismo fotografico nella pittura in primo piano e ha ulteriormente reso popolare l’uso dell’arte come riflesso del potere dell’individualità.


Chuck Close, Self Portrait/ Five Part 2009 

In un viaggio artistico che è durato più di 50 anni, Close ha rivoluzionato la scena artistica, trasformando i canoni del ritratto accademico e sperimentando in diverse forme, dalla fotografia Polaroid alla pittura ad olio, al mosaico e all’arazzo. Ha creato ritratti da griglie tonali di impronte digitali, punti puntini, pennellate, polpa di carta e innumerevoli altri mezzi.




















Alla fine degli anni 70, Close fu uno dei primi artisti a usare la fotocamera per scattare fotografie come base per ritratti, dipinti e come opere in sé, Close ha creato la sua tecnica, il suo strumento iconico, posizionando una griglia nella fotografia e poi trasferendo una griglia proporzionale in grande scala sulla tela. In un mosaico formato da forme e colori, le  tessere musive offrono una lettura in dissolvenza della trama del ritratto.


 


Nell’era del selfie, l’arte del ritratto, a prima vista, sembra giocare il ruolo di filtrare la realtà fotografica. Ma per Close, la storia è molto più profonda: l’arte è diventata un modo per comunicare il suo dolore, sia fisico che emotivo, così come uno strumento per celebrare la sua vittoria di fronte alle circostanze che hanno cercato di impedirgli di vivere il suo sogno. Oltre alla paralisi parziale che lo ha portato a usare una sedia a rotelle dal 1988, l’artista ha sofferto di un deficit percettivo, la prosopagnosia (cecità facciale), che lo ha portato in primo luogo ai ritratti. Il suo desiderio era quello di  memorizzare immagini di amici e familiari, immortalando le persone e i volti che contavano di più per lui. La sua memoria fotografica insieme al suo infinito spirito di sperimentazione gli ha permesso di cambiare i  volti in ritratti bidimensionali. Infatti, Close ha sempre creduto di essere cresciuto come artista non nonostante le sue condizioni neurologiche, ma a causa di esse.





Gottfried Helnwein 




Per la sua serie Faces, realizzata tra il 1982 e il 1994, Gottfried Helnwein ha fotografato personaggi famosi con l’obiettivo di catturarne i tratti caratteristici.  Combina un approccio intuitivo alla rappresentazione spontanea con una rigorosa formalizzazione.  Nelle riprese ravvicinate, mette a fuoco i volti che si stagliano sullo sfondo uniforme.  Nei suoi formati più grandi, elabora le singole caratteristiche del viso con grande precisione e nitidezza e utilizza un’illuminazione drammatica per la modellazione mirata delle singole parti.


Gottfried Helnwein è un artista multidisciplinare nato a Vienna nel 1948, profondamente segnato dalla ricostruzione culturale post-seconda guerra e preoccupato di ritrarre i cambiamenti sociali e politici contemporanei.


Gottfried Helnwein, Elton John 1992 

Il suo lavoro è provocatorio, controverso e così prolifico e vario che comprende disegno, pittura, scultura, fotografia, pittura murale e design di costumi e scenografia teatrale, sia di balletto che di opera.


Gottfried Helnwein, Michael Jackson 1988

Nella sua Serie Faces ognuno dei volti di celebrità  mostrati rivela qualcosa della personalità a cui appartiene. Helnwein riesce a rintracciare in loro le qualità specifiche, i cliché legati ai loro nomi o addirittura, le caratteristiche associate alle loro professioni, e a renderle visibili. 




Gottfried Helnwein, William S. Burroughs 1990 


Le fotografie mostrano così chiaramente lo scopo di Helnwein da lasciare che i suoi soggetti raccontino di se stessi, il loro lavoro, il significato che questo ha lasciato su di loro, i loro problemi, tutti hanno lasciato il regno dell’analogia per diventare immagini di Helnwein. Improvvisamente è irrilevante se sono stati dipinti o fotografati. Inoltre, si sa che potrebbe dipingerli altrettanto bene in modo simile.




La visione di Gottfried Helnwein della realtà è sempre stata analitica e critica. Non per niente la sua arte conosce solo seguaci o avversari, ma nessuna indifferenza. Allo stesso modo, nella serie “Faces” ha anche affrontato i rappresentanti di spicco della nostra società, che provengono prevalentemente dal campo culturale, letterario, artistico, musicale e cinematografico. 




Gottfried Helnwein, Charles Bukowski 1991


Le sue immagini smascherano, anche se non sono voyeuriste. Ma, ovviamente, è sempre riuscito a convincere le personalità ritratte a rivelare qualcosa di se stessi.







Jim Dine



Oltre alla pittura, al disegno, alle stampe e alla scultura, Jim Dine sceglie anche la fotografia come mezzo per la sua pratica artistica.  Apprezza la spontaneità del processo fotografico per il suo impegno ossessivo con l’autoritratto.  L’interesse di Dine per le diverse sfaccettature del proprio io si esprime sotto forma di molteplici ritratti, per i quali combina più volte la propria immagine in diverse varianti o si fotografa con persone a lui vicine, come sua moglie, la fotografa Diana Michener.


Jim Dine è un eclettico artista americano dedito, dagli anni ’60, alla pittura, alla scultura e alla grafica e che, solo dalla seconda metà degli anni ’90, ha iniziato ad utilizzare il medium fotografico per la propria ricerca.

La sua irruzione negli anni ’50 e ’60 nel mondo newyorkese dell’arte con i suoi happening e assemblaggi è stata acclamata in tutti i media. Anche se sono normalmente associate al movimento pop art degli anni ’60, le creazioni di Dine rispondono a un’eterna ricerca di se stesso e a un’introspezione nell’essenza umana. In più di quarant’anni di incessante attività ha creato un’impressionante produzione di pittura, scultura, grafica, libri d’artista e fotografia.



Durante la sua carriera arte e fotografia non hanno potuto ignorarsi e hanno cominciato a camminare l’una di fianco all’altra influenzandosi a vicenda. Il suo virtuosismo e il suo spirito di innovazione hanno creato innumerevoli opere di indiscutibile potere e bellezza. Il suo immaginario è popolato da figure iconiche di grande forza suggestiva. 

Tutto questo è anche evidente nei libri d’artista che Jim Dine ha creato nel corso della sua vita. Essi completano le arti visive, la poesia e l’amore per la letteratura. La doppia sensibilità per l’immagine e le parole conferiscono al suo lavoro in tutti i campi una qualità poetica che luccica con particolare luminosità nei suoi libri d’artista. Per Dine il termine libro d’artista descrive quella classe speciale di libri con opere grafiche originali che vanno oltre la semplice illustrazione e che costituiscono manifestazioni di importanza equiparabile o superiore a quella del testo stesso dell’autore.


In contrasto con i suoi precedenti dipinti concettuali e in stile Pop, il lavoro più recente di Dine è stato prevalentemente fotografico. Dine crede che la fotografia abbia una forza che altri media non hanno, dicendo: “È stato abbastanza illuminante per me tutto ciò che si può esprimere con la fotografia che non ho voluto trasmettere con la scultura e la pittura.”















La mostra ha presentato anche progetti che esplorano l’identità delle persone comuni attraverso il loro rapporto con i loro spazi di vita privati ​​e l’ambiente topografico.  I ritratti intimi vengono creati in dialogo con le persone a se vicine.  Questi sono giustapposti a opere in cui mondi di vita sfaccettati sono visti da una sobria distanza.  

Alcuni fotografi catturano singoli personaggi in iconici e singoli scatti oppure in studio, in momenti straordinari.  Al contrario, le registrazioni seriali, che vengono create su un periodo di tempo più lungo attraverso l’esame continuo dei ritratti, consentono una visione più differenziata del ritratto.

Le fotografie in mostra hanno trattato temi come l’identità culturale, le relazioni personali e i diversi ambiti dell’esperienza, nonché questioni relative alle origini degli individui e a se stessi.








Lucia Papčová



Nella Serie “Nonni”, Lucia Papčová affronta il rapporto tra i suoi nonni.  Il lavoro seriale mette in luce il legame affettivo della coppia e amplia così il concetto convenzionale del ritratto.  Le precise osservazioni di Papčová si concentrano su visioni parzialmente frammentarie dei corpi da insolite angolazioni.

Gli sposi appaiono fragili e vulnerabili a causa della loro nudità, a volte intimamente mostrata, e del processo di invecchiamento reso visibile dalla visione ravvicinata.  Le registrazioni mute possono essere lette come un memento mori quando Papčová mette in scena la nonna in camicia bianca sdraiata sul letto come se fosse senza vita.



Diverse foto, appese in una disposizione predeterminata, forniscono intuizioni toccanti sulla vita di queste due persone anziane. Gli scatti di diverse dimensioni creano un gioco di vicinanza e distanza, che apparentemente riflettono anche il rapporto tra i due.



“La mia strategia è registrare, osservare. Quindi trovare un modo per creare le condizioni per una situazione che si svilupperà per sua volontà, per sua natura e mantenendo il carattere delle persone e dei luoghi coinvolti. La mia posizione artistica è più quella di un grilletto che di un regista. Scoprire il modo giusto per innescare è il lavoro più difficile. Poi osservo e cerco di dare alla registrazione la forma giusta per presentare ciò che ho visto.

 

Mi ci sono voluti molto tempo e molti incontri per trovare il modo di lavorare con le persone coinvolte in una tragica causa politica iniziata 40 anni fa e ancora irrisolta a causa di strutture sopravvissute alla rivoluzione dell’89 e che hanno cambiato solo nomi e strategie per confondere il pubblico. Le installazioni video risultanti mancano di qualsiasi affermazione diretta sulla problematica: lo scopo era mostrare qualcosa di molto più sottile e astratto.

 

Mi ci vuole molto tempo per trovare le condizioni in un paesaggio che mi forniscano una convergenza di luce, umidità, spazio e punto di vista per creare un’immagine così sottile che non c’era quasi nulla da vedere lì dentro. Sono convinto che questa sottigliezza fornisca una certa profondità, che può essere scoperta dopo che lo spettatore accetta di essere coinvolto, di fissare e di aspettare ciò che vedrà.

 

La registrazione è un lavoro con qualcosa che non si comprende appieno. È il mondo con tutte le incertezze, i processi e le dimensioni che non possiamo veramente coprire. Questa cooperazione con l’esterno e le sue dinamiche è il mio principale interesse.

 

Invito lo spettatore a entrare, a co-creare, a fissare, senza distrazioni, qualcosa che non è destinato a essere finito.”


Lucia Papčová


Lucia Papčová ha conseguito la laurea presso l’Accademia di Belle Arti e Design di Bratislava. Ha continuato i suoi studi di Master all’Akademie der Bildenden Kunste di Vienna. Concludendo infine il suo percorso di studi con un dottorato all’Accademia di Belle Arti e Design di Bratislava. Durante i suoi studi di primo grado, ha ricevuto un premio significativo, l’ Essl Art Award CEE VIG. Impegnata fino al 2019 in diversi programmi di Residenze artistiche è attualmente rappresentata nella collezione del Museo Essl, Austria e in collezioni private in Slovacchia, Portogallo, Germania e Stati Uniti.


Manfred Willman


Nato a Graz, in Austria, nel 1952 – è considerato uno dei più importanti artisti fotografici d’Europa.

Strettamente biografica la serie dal titolo “Für Christine”, realizzata fra il 1984 e il 1988 e presentata in questa occasione. Le immagini mostrano diversi momenti della vita del fotografo insieme alla sua compagna Christine Frisinghelli.  

Qui, il volto della donna si combina con sfondi e motivi già presenti nell’opera di Willmann, di modo che la valenza biografica risulti doppia: sia per autocitazioni artistiche, sia per l’elemento affettivo della propria vita privata. Per questa ragione il carattere intimo che sempre contraddistingue l’opera del fotografo, aumenta la sua portata, in particolare negli interni domestici; immagini abilmente costruite ma capaci di comunicare complicità.

Il suo lavoro è caratterizzato da lampi abbaglianti, l’uso di primi piani e il capovolgimento di un presunto idillio nel suo opposto.  Attraverso il suo sguardo spietatamente soggettivo e la combinazione di ritratti con scatti di oggetti quotidiani, visualizza un’atmosfera intima costante. Due fotografie scattate casualmente una dopo l’altra vengono selezionate dalla striscia negativa come dittici.  Il bordo negativo visibile nel lavoro finale serve come prova di questa pratica autoriflessiva.

Manfred Willman si appropria dei metodi e delle forme della fotografia documentaria per creare un lavoro concettuale vividamente colorato. Per sottolineare l’apparente mancanza di reportage nelle sue immagini, Willman raffigura persone che svolgono i compiti più banali – lavorare, pulire, mangiare, giocare – così come animali vivi e morti. 

Si alterna liberamente tra paesaggi, ritratti, nature morte e scatti di dettaglio. A parte un potente flash che tira fuori le sue figure dallo sfondo portandole in rilievo, Willman non manipola affatto le sue immagini. Concentrandosi sulle minuzie poco spettacolari, crede che il suo lavoro operi all’interno di un registro simbolico; le figure scompaiono e le fotografie riemergono come un’impronta di un momento condiviso tra fotografo, soggetto e luce.

Come Direttore di “Fotogalerie im Forum fotografia contemporanea”, dal 1979 al 1996 ha organizzato in collaborazione con Christine Frisinghelli simposi annuali sulla fotografia. Dal 1980 al 2010 è stato fondatore ed editore di “CAMERA AUSTRIA International” che si è imposta come una delle principali riviste fotografiche in Europa. 

Dal 1981 in poi, le visite regolari nella regione della Stiria sud-occidentale della sua patria hanno dato origine al ciclo “Das Land“. Nel 1994 è stato insignito del Cultural Award dalla German Photographic Association (DGPh); nel 2009 ha ricevuto l‘Austrian State Award for Photography. Le sue opere sono ampiamente esposte, anche nel Museum of Modern Art di New York.





Leo Kandl 


Nella serie “Weinhaus”,  Leo Kandl fotografa l’ambiente sociale delle taverne e delle locande viennesi a buon mercato.  Usa un linguaggio visivo diretto e momentaneo, in cui si affida a sezioni di immagini flash e frammentate.  

Ultimo ma non meno importante, il documentarismo soggettivo di Kandl risulta dalla vicinanza spaziale al ritratto, il che indica che il fotografo è integrato nell’ambiente che sta catturando e che la sua visione non è quella di un estraneo.  Allo stesso tempo, le fotografie di Kandl rappresentano una rottura con i rapporti viennesi convenzionali, sproporzionatamente più tradizionali, che spesso servono cliché turistici.

Nato nel 1944 a Mistelbach, nel 1963 ha iniziato a studiare pittura all’Accademia di Belle Arti di Vienna con Gustav Hessing (nella stessa master class di Peter Dressler); laurea in educazione visiva nel 1969; attività di docente per l’educazione visiva fino al 1995. Vive e lavora a Vienna. 

Per lui, la fotografia è un mezzo di esplorazione dell’apparentemente banale, insignificante, poiché si tratta di sociogrammi visivi di una «condizione umana»; Leo Kandl è uno dei pionieri viennesi della cosiddetta «fotografia d’autore»: innumerevoli mostre e partecipazioni alle mostre e pubblicazioni. 


Con il suo lavoro, è rappresentato in tutte le collezioni fotografiche austriache rilevanti così come in importanti collezioni internazionali; numerosi premi, tra cui il «Otto Breicha-Prize for Photo Art» del Rupertinum Salzburg così come il «Würdigungspreis für Fotografie des BM für Unterricht und Kultur» (1994) e il «Würdigungspreis für Fotografie des Landes Nieder”





Paul Kranzler


La realtà quotidiana della vita e gli ambienti sociali sono temi centrali nelle fotografie di Paul Kranzler. 



Nella sua serie fotografica Tom, a cui ha lavorato tra il 2004 e il 2006, Paul Kranzler sviluppa un ritratto del giovane Thomas, soprannominato Tom. Per quasi tre anni, Kranzler ha accompagnato Tom, ottenendone l’amicizia nel corso del tempo. 



Tom e la sua famiglia sono catturati nella loro vita quotidiana a Kremstal, in Alta Austria. Nel contesto del suo ambiente di vita, una fattoria nelle province austriache, include anche fotografie della sua famiglia e dei suoi amici, nature morte, architettura e interni.  



Il risultato è un ritratto ampliato in un panorama della vita quotidiana – in un certo senso: una sociologia visiva, che svela modi di vivere, questioni di gusto, così come le condizioni economiche di una classe e le relazioni sociali dominanti.

Con il suo ritratto della vita in provincia, Kranzler segue una tradizione fotografica fondata dal fotografo di Graz, Manfred Willmann con il suo progetto “Das Land”.



Paul Kranzler, nato nel 1979, ha studiato all’Università di Arte e Design di Linz. Il suo lavoro è esposto e pubblicato a livello internazionale e si trova in importanti collezioni pubbliche come l’Albertina o la Collezione fotografica al Rupertinum di Vienna.





Thomas Ruff

La ricerca di Thomas Ruff di uno stile di ritratto contemporaneo trova il suo equivalente nell’estetica della fototessera.  Il ritratto (A. Koschkarow) della fine degli anni ’90 è soggetto a rigide regole compositive concettuali per la sua frontalità, lo sfondo neutro e persino l’illuminazione.  L’estrema oggettivazione del volto rende eccessivamente visibili i dettagli della superficie, ma allo stesso tempo cancella l’individualità del soggetto.


Nei primi anni ’80, quando la pittura neo-espressionista aveva messo all’angolo il mercato dell’arte, l’artista tedesco Thomas Ruff ha intrapreso una serie estesa di ritratti fotografici che hanno una forte somiglianza con i registri della polizia o le immagini dei passaporti. La frontalità dei volti semplici e disadorni e la neutralità dell’espressione, dell’illuminazione e dello sfondo sembrano mirare alla massima obiettività o, nelle stesse parole di Ruff, a una “sostenibilità super neutra“. Tuttavia, il grande formato e la nitidezza dei dettagli destabilizzano i parametri fotografici convenzionali come la somiglianza, l’identità e la documentazione.



Questi volti sono posseduti da una presenza auratica che oscilla tra attrazione e vulnerabilità, intimità e alienazione. In un’intervista, Thomas Ruff ha descritto il processo alla base delle immagini come segue: “Ho iniziato con il bianco e nero, ho provato diverse fonti di luce, e poi ho iniziato a ridurre gradualmente ciò che si vede nelle immagini – fino a quando alla fine sono arrivato alla foto del passaporto, l’ur-portrait. Poi ho pensato: chi potrei fotografare? Alla fine, dovevano essere i miei amici. Ho detto loro di sembrare sicuri di sé ma anche di tenere a mente che venivano fotografati. Quando ho esposto i grandi ritratti, alcune persone si sono arrabbiate con me perché non sopportavano di guardare un ritratto senza ricevere ulteriori informazioni”.


Bernard Fuchs

Nella sua serie Portraits, Bernhard Fuchs caratterizza l’identità di una persona attraverso il suo rapporto con l’ambiente in cui vive.  Le sue registrazioni sistematiche e fattuali si concentrano sull’area regionale geograficamente definita della sua regione di origine nel Mühlviertel dell’Alta Austria.  




La preoccupazione di Fuchs per il tema dell’imprinting sociale divenne rilevante solo quando fu in Germania per studiare fotografia.  Nell’esaminare i ritratti degli abitanti delle campagne, Fuchs riflette anche sulla propria biografia.




Il fotografo austriaco Bernhard Fuchs è un eccezionale praticante della fotografia di ritratto e di paesaggio, le cui immagini raggiungono una particolare quiete e densità artistica. Nel suo lavoro più recente, svolto nella sua regione natale di Mühlviertel nell’Alta Austria, ha catturato dettagli di natura, pietre, acqua, alberi, lunghe passeggiate sky-on effettuate regolarmente tra il 2014 e il 2019. È in grado di segnare il grande significato di ciò che è apparentemente piccolo e poco importante attraverso l’intensità del suo sguardo, che diventa evidente nella luce, nei colori e nei vari accenti ottici.














In conclusione, possiamo dire che un ritratto è anche questo, un modo per entrare dentro l’essenza interiore delle persone rivelandone spesso la psicologia. Un’immagine che racchiude tutta una storia da leggere e da interpretare.





La mostra ha ampiamente trattato temi come l’identità celebrativa e culturale, le relazioni personali e i diversi ambiti dell’esperienza, nonché questioni relative alle origini degli individui e a se stessi.


L’Albertina Modern si è rivelata una location perfetta per ospitare tante opere rappresentative di alcuni tra i più importanti fotografi internazionali.

Una istituzione artistica con alla base un ottimo punto d’accesso per l’arte, e con l’intento di porre uguale attenzione alla produzione artistica internazionale e alla diversità dell’arte contemporanea.

















©Tutte le immagini presenti in questo articolo sono di Giuseppina Irene Groccia 




























 



©L’ArteCheMiPiace – Blog Arte e Cultura di Giuseppina Irene Groccia 








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VENEZIA FANTASMATICA di Giacomo Sinibaldi

    L’ArteCheMiPiace – Divagazioni sull’arte 



VENEZIA FANTASMATICA
di Giacomo Sinibaldi

Mostra Del Circuito OFF della Fotografia Europea di Reggio Emilia


Presso All’Opera Spumanteria Classica Italiana



di Gianpia Affaitati   |10|Maggio|2023|





Giacomo Sinibaldi in questa mostra, allestita in un ambiente
raffinato e accogliente, ci propone un 
viaggio personalissimo attraverso una Venezia invernale,
sotto una pioggia sottile ma incessante 
che la spoglia del chiasso e della marea di gente che normalmente
l’attraversa.



 

E’ come se questa pioggia lavasse via il superfluo, le
vacanziere e commerciali distrazioni e facesse 
emergere la città in tutta la sua bellezza, le piazze vuote
amplificano gli spazi, le gondole attraccate 
ai moli sembrano danzare su una musica tutta loro creata
dalla laguna, e quelle che sfidano la 
pioggia paiono scivolare su calle rivestite di seta.



 

Emerge una Venezia sognata, vista attraverso gli occhi
dell’attesa e dello stupore della scoperta.

La ricchezza dei suoi palazzi, delle sue calle, diventa
evanescente, eterea in questa luce irreale, da 
cui emergono solo dettagli di infinita bellezza. Spiccano i
rossi degli edifici, dei tavolini e sedie 
vuoti e lucidi di pioggia. Le poche figure che attraversano
la città sembrano muoversi in un tempo 
sospeso.

 



Frammenti di vita che irrompono nell’immaginario, le gondole
scivolano senza peso nella laguna, i 
pochi turisti sono pennellate di colore che punteggiano le
scene.

E questo viaggio è così immersivo, così facilmente
percepibile perchè composto da scatti non 
preordinati, la fotocamera è stata lasciata libera di
catturare scene, similmente all’occhio 
dell’autore, senza inquadrare, mentre vagava per una Venezia
Fantasmatica.




















































Gianpia Affaitati

Sono ricercatrice universitaria e medico in un ambulatorio
preso la clinica universitaria di Chieti. La 
fotografia mi ha attirato fin da piccola e negli anni ho
utilizzato polaroid, compatte e reflex a 
pellicola per approdare infine alla fotografia digitale. Il
percorso formativo si è sviluppato 
inizialmente con corso base di fotografia per proseguire poi
da autodidatta attingendo alle risorse 
che offre la rete sia come fonte di documentazione tecnica
sia come possibilità di contatto con altri 
fotografi e più recentemente con gruppi di discussione
fotografica. Dal 2018 sono anche socia 
dell’Aternum Fotoamatori Abruzzesi. Ho partecipato a mostre
fotografiche collettive, a libri 
fotografici collettivi ed a progetti fotografici nazionali.







































La Rubrica Divagazioni sull’Arte ospita articoli redatti da autorevoli amici e sostenitori del Blog L’ArteCheMiPiace, i quali ci offrono la possibilità di attingere ad emozioni e conoscenze, attraverso la condivisione di pensieri e approfondimenti.


©L’ArteCheMiPiace – Blog Arte e Cultura di Giuseppina Irene Groccia 



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