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Giugno 2023

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Sergio Larrain – Il Poeta di Valparaiso

 L’ArteCheMiPiace – Favourites



Sergio Larrain –  Horcones, villaggio di pescatori 

Sergio Larrain
Il Poeta di Valparaiso





di Giuseppina Irene Groccia |30|Giugno|2023|

Sergio Larrain è stato un fotografo cileno noto per il suo
stile unico e sperimentale. Nato nel 1931 a Santiago del Cile, ha studiato
ingegneria forestale prima di decidere di dedicarsi completamente alla
fotografia. Il fotografo cileno acquisì nella sua infanzia un’ampia cultura
visiva guidata da suo padre, Sergio Larraín García – Moreno, fondatore del Museo
d’Arte Precolombiana
, rinomato architetto, professore e più tardi decano
dell’Università di Santiago del Cile. Larrain ha iniziato la sua carriera fotografica
negli anni ’50, periodo in cui acquistò la sua prima macchina fotografica, una
Leica IIIC, con cui iniziò la pratica della fotografia, catturando immagini che
riflettevano la vita quotidiana e la cultura cilena. Le sue fotografie
spaziavano da ritratti intimi a scene di strada e documentari.



Larrain è diventato famoso per la sua prospettiva unica e
insolita, e il suo approccio artistico distintivo. Utilizzava composizioni
audaci, giochi di luce e ombra per creare immagini sorprendenti e poetiche. La
sua sensibilità artistica e la sua capacità di catturare l’anima dei suoi
soggetti lo hanno reso un indiscusso interprete nel campo della fotografia
d’autore mondiale, non solo cilena.

 




Larrain era noto per il suo stile documentaristico e la sua
capacità di catturare la bellezza e l’essenza delle persone e dei loro luoghi,
all’interno della vita quotidiana. Tutte le sue opere sono frutto di una combinazione di
elementi visivi forti e un senso di intimità e mistero. Ha sempre avuto un
occhio attento per le geometrie e le linee, utilizzando punti di vista  singolari per creare immagini uniche e memorabili.


Celebre era il suo uso poetico della fotografia in bianco e
nero. Le sue opere emanano una profonda atmosfera emotiva. Egli ha saputo
sfruttare al meglio le tonalità di grigio, i contrasti e le sfumature per
creare composizioni suggestive e evocative. La sua poetica visiva è una
narrazione silenziosa in grado di evocare un senso di contemplazione e una
connessione intima con i soggetti e gli ambienti in essi immortalati.



 

Sergio Larrain è stato un artista enigmatico, la cui vita e
opere sono state oggetto di fascino e ammirazione.

Larrain viene descritto come una persona introspettiva e
riflessiva, che cercava di esplorare la spiritualità e il significato della
vita attraverso la sua arte fotografica. 
Il suo impatto nel campo della fotografia è stato molto significativo,
nonostante la sua breve carriera di fotografo.

Gran parte della sua vita l’ha trascorsa a viaggiare in
Europa, Egitto e Medio Oriente,  avendo
modo di documentare diverse culture e ambienti. Ha ispirato Julio Cortázar, ha
lavorato con Pablo Neruda, ha impressionato Henri Cartier-Bresson ed è stato
l’unico cileno nelle file della Magnum Photos, l’agenzia che piú di ogni altra
ha definito i canoni estetici dellla fotografia contemporanea del ‘900.


Fu durante uno dei suoi tanti viaggi, a Parigi esattamente,
negli anni ’50, che Larrain incontrò Henri Cartier-Bresson, uno dei più grandi
fotografi del XX secolo. Questo incontro ebbe un forte impatto su Larrain, che
ammirava profondamente il lavoro di Cartier-Bresson. L’incontro li portò a
sviluppare una forte amicizia e una collaborazione artistica. Entrambi,
fotografi notevoli del loro tempo, facevano parte di Magnum Photos, agenzia
fotografica internazionale, che offrí loro diverse opportunità di interazione e
scambio professionale.











Trascorse anche un periodo significativo della sua vita in
India, immergendosi nella cultura e nella spiritualità del paese. Questo
periodo influenzò profondamente la sua visione artistica e il modo con il quale
lui stesso si avvicinava alla fotografia. 



Le serie scattate a Londra, per le strade di Parigi o i
vicoli siciliani pieni di bambini offrono un’atmosfera degli anni 50-60 ma
sembrano mancare di bagliore. È allora che Sergio Larrain decide di tornare in
Cile, fuggendo dal successo e dal mondo mediatico che non gli assomigliano per
ritrovare la sua anima nella solitudine. 

Nonostante tutti i successi e le grandi soddisfazioni,
Sergio Larraín era bloccato in una persistente 
condizione di eterna malinconia e trovava il mondo
che lo circondava noioso, vuoto e privo di spiritualità. 


È così che decise di ritirarsi dopo un periodo di grande
successo nel mondo della fotografia. Nel ‘70 abbandonò improvvisamente la vita
glamour e la fotografia commerciale e si concentrò unicamente sulla sua vita
personale e spirituale, decidendo radicalmente di non concedere interviste e
non partecipare ad esposizioni. Si stabilì nelle montagne del Norte Chico,  in un villaggio vicino a Ovalle (Quarta
regione del Cile). Solo lì lo si poteva vedere camminare tranquillamente nelle
vie o nella piazza. Un uomo di bassa statura, magro e dai capelli grigi, che di
solito portava incrociato una borsa artigianale. Faceva lezioni di yoga nel
villaggio di Tulahuén, dove la sua vita ormai trascorreva come un eremita. A
volte, distribuiva gratuitamente opuscoli con poesie e testi spirituali a cui
non apportava la sua firma. In zona nessuno conosceva il suo passato, non
sapevano che venti anni prima era stato uno dei maggiori fotografi cileni.


 

In quel periodo ci furono centinaia di fotografi che
cercarono di contattarlo, sperando di ottenere un confronto o un’ ispirazione,
ma tutti fallirono. In quel momento Larrain scelse di disconnettersi dal mondo.
Non era morto, ma fotograficamente era come se lo fosse.

 

La sua principale preoccupazione in quel momento era la
salvaguardia dell’ambiente dall’inquinamento. Gli unici consigli che dava erano
invitare le persone a scrivere poesie. 

 


Durante questo esilio si è concesso il lusso di chiudere le
porte al New York Times, El País e a tutta la stampa cilena. Nessuno sapeva
cosa stava passando per la testa di Larraín. In Cile era un mito vivente.
Capitava che qualcuno lo dava per morto oppure altri che affermavano vivesse in
solitaria in montagna. Del suo esilio si vociferava fosse forzato in seguito a
controversie avute con un boss mafioso siciliano. 

Larrain, inviato dalla Magnum
avrebbe ritratto troppo bene l’organizzazione criminale italiana, attraversando
una linea di confine molto pericolosa, laddove l’unica  “via di ritorno” era fuggire e cambiare vita.



 

Ma la verità era che Don Sergio, era in clausura a casa sua,
scriveva libri di poesie che si autopubblicava, con la macchina fotografica
appesa ad un chiodo per sempre.












































Il gioco è lasciar andare, lasciare che l’avventura inizi. Come una barca a vela che lascia cadere le vele.



Sergio Larraín era innamorato di Valparaíso. La sua storia
personale e fotografica  non si comprende
senza averla prima associata a questo posto.
 

 






























A Valparaíso, una città portuale sul litorale cileno, Larrain trova un contesto affascinante e unico per stabilirsi e realizzare una serie di fotografie che diventeranno in seguito le più iconiche e rappresentative del suo lavoro.




 

Queste immagini hanno catturato l’essenza della città,
mettendo in risalto l’architettura e il paesaggio urbano. Le sue fotografie di
Valparaíso riflettono una sensibilità artistica distintiva, che combina
realismo e un tocco di mistero, creando atmosfere poetiche senza tempo. Sono
scatti che offrono uno sguardo intimo e autentico sulla vita urbana di
Valparaíso, regalando al pubblico una prospettiva affascinante e suggestiva. Un
lavoro fotografico davvero memorabile che entra a pieno titolo tra le
produzioni più importanti della storia della fotografia.


 

È stato a Valparaiso che ho iniziato a fotografare,
camminando per le colline. Le bambine che scendevano da una scala fu la prima
foto magica che venne verso di me
” racconta.

 

Il risultato è stato battezzato Petites filles. Credo sia la
foto più conosciuta di Sergio Larrain, una fotografia iconica 
scattata nel 1952 e inserita in apertura del
suo libro su Valparaíso.





Larraín iniziò a fotografare Valparaíso negli anni ’50, ma
fu solo nel 1963 che passò più tempo al porto, sempre in compagnia di Pablo
Neruda
, suo grande amico con cui
  amava
esplorare le colline e la boemia.

In questa bella città cilena egli cammina, ascolta, guarda,
sembra prendere parte all’universo delle strade. È qui che ritrae i suoi giorni
malinconici e le sue notti tristi.

Nel porto c’erano racconti e lui era il trovatore di
immagini. Lì fotografa marinai, artisti, bambini, prostitute e bohémien. 


Come il suo amico Neruda, egli collega il suo pensiero
poetico alla realtà più vicina a cui poteva avere accesso.



Anche qui segue i bambini, come prima quelli abbandonati di Santiago e ne cattura il loro sguardo, cogliendo momenti di vagabondaggio, di noia e di gioco.  


 

Sergio Larrain affronta i suoi soggetti in modo originale:
taglia angoli, si concentra sui suoi personaggi appuntandoli a un’estremità di
muro, dà una visione a terra o di traverso, sperimenta con la sfocatura. I
personaggi sembrano uscire dal campo e continuare il loro movimento, come se
fossero sfuggenti. Un luogo triste e cupo diventa familiare, riscaldato dalla
magia di un sorriso, come quello della prostituta del bar dei Siete Espejos.



 

 

Una buona immagine nasce da uno stato di grazia” – Sergio
Larrain

 

 

 

Di questa esperienza significativa, intrattenuta con anima e
corpo a Valparaiso, ne è nato un lavoro fotografico definito negli anni il suo
capolavoro.

 

Valparaiso non è solo il suo libro più conosciuto e
apprezzato, ma è anche, quello che ci avvicina di più alla personalità di
Larrain.

Le sue pagine, ricche di poetiche visive e pensieri ad alta
voce, lasciano intravedere il nostro modo di stare al mondo. Forse l’unica cosa
che può spiegare la magia delle sue immagini.

 

Se le fotografie hanno la capacità di raccontare di noi stessi più di quello che mostriamo in esse, Valparaiso sembra parlare più di Sergio Larrain che della città che ha fotografato per più di quattro decenni (dal 1952 al 1992).

 

 




Sfogliamo insieme questo suo capolavoro…

 




Sebbene il progetto originale sia stato ideato da Larraín,
insieme a Pablo Neruda, all’inizio degli anni ’60, è diventato realtà solo nel
1991.



 


Quindi, con il contributo di Agnés Sire, direttrice della
Fondazione Henry Cartier Bresson ed ex direttrice dell’Agenzia Magnum, la casa
editrice francese Editions Hazan ha pubblicato in quell’anno la prima edizione
di “Valparaíso”, diventato rapidamente un libro di culto. Ciò che lo rende
interessante, seducente e a tratti avvolgente è in primo luogo l’originale
costruzione di un racconto fotografico preciso e impeccabile, seguita
dall’ineccepibile scelta delle immagini, caratterizzate da tutta quell’atmosfera
di inquietante nostalgia, e quella magia di accattivante mistero che le
immagini di Larraín sanno possedere. Un libro che narra Valparaíso. Il
Valparaiso degli anni ’60, che parla del Cile quale luogo profondo, scuro e
patibulario. Un lavoro definito da un editing fotografico che funziona su vari livelli,
sia pittorico che letterario.

 


 

 

La seconda edizione, con 82 fotografie inedite, oltre alle
38 iniziali presenti nella prima edizione, è stata pubblicata da Ediciones
Xavier Barral
nel 2017. 

 

Questo
è un libro fatto da Larraín per se stesso, non per i lettori. Forse è per
questo che è rimasto inedito finché era in vita: forse perché non era nato per
essere pubblicato bensì era nato per altri scopi. Le sue frasi mistiche –
quelle che sono annotate a mano nel corso delle 200 pagine di questa Edizione –
lo rendono piuttosto una sorta di mantra che a volte diventa meravigliosamente
criptico. Un diario metaforico di quella che è stata la sua ricerca, sia
fotografica che spirituale. Senza dubbio siamo di fronte a una pubblicazione in
cui il conflitto tra i due aspetti inseparabili della sua biografia diventano
evidenti. È un’interpellanza costante tra l’uomo che ha smesso di essere un
fotografo e la leggenda… il mito della fotografia.



Sergio Larrain è deceduto il 7 febbraio 2012 a Tulahuén, in
Cile. La sua eredità artistica rimane come un importante contributo alla storia
della fotografia. Le opere di Sergio Larrain sono state esposte in numerose
mostre internazionali e il suo contributo all’arte della fotografia è stato
ampiamente riconosciuto. Oggi le sue opere fanno parte di musei e collezioni
prestigiose, tra cui quella del MOMA di New York. La sua eredità artistica
continua a ispirare molti fotografi di oggi.

 

 



 

















Mostre


1953: prima mostra a Santiago del Cile

1991: Cile, Sergio Larrain , Rencontres d’Arles

2013: Retrospettiva al Rencontres de la Photographie, Arles.

2013: Mostra alla Fondation Henri-Cartier-Bresson , a
Parigi.

2014: Mostra Vagabondages al Forte di Bard in Valle d’Aosta
.

2020: Londra, 1959 , Fondation Henri-Cartier-Bresson,
Parigi.

Collezioni pubbliche


MOMA , New York

Torre dell’acqua di Tolosa

Pubblicazioni

1963: El rectangulo en la mano

1966: (es) La casa en la arena , testi di Pablo Neruda

1968: Cile

1991: Valparaíso , testi di Pablo Neruda , edizioni Hazan

1998: Londra , edizioni Hazan

1999: (en) Sergio Larrain , René Burri , edizioni IVAM ,
Center Julio González

2017: Valparaiso , Xavier Barral Publishing

2018: El rectangulo en la mano , Éditions Xavier Barral

2020: Londra, 1959 , Xavier Barral Publishing






















 




©L’ArteCheMiPiace – Blog Arte e Cultura di Giuseppina Irene Groccia 








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POP O NON POP Questo è il problema – Collettiva d’arte presso Galleria Castelli

  L’ArteCheMiPiace – Segnalazione Eventi 



POP O NON POP

Questo è il problema 



Partiamo dal presupposto che la “popular art” ha coinvolto tutti ed è diventata a pieno un fenomeno sociale, oltre che artistico.

 

L’idea della collettiva Pop o non Pop questo è il problema , nasce proprio dal voler parlare al fruitore di questa corrente, che oggi ha preso il nome di Neo Pop, termine che, però, se non adeguatamente spiegato, rischia di essere mal interpretato in un panorama come quello odierno, dove tutto sembra poter essere definito arte a prescindere…

 

Saranno tre settimane intense durante le quali, attraverso immagini, opere e cenni storici sulla nascita della Pop Art , con cenni alla Street Art e conseguentemente,  la New Pop, il curatore Alessio Musella racconterà Luci e Ombre di un periodo che ha messo in discussione, nel bene e nel male, l’art system Mondiale  nel secondo dopo Guerra.

Talk show, video, shooting fotografici faranno da cornice a questa collettiva organizzata e presentata dalla Galleria Castelli arte & Design del gallerista James Castelli.

 

 

A livello temporale e geografico: la pop art è una corrente artistica nata nella seconda metà degli anni ’50 negli Stati Uniti, per poi diffondersi a partire dagli anni ’60 in Europa generando non pochi problemi agli artisti abituati a vivere l’arte in modo più convenzionale, basti pensare che un icona come Renato Guttuso, non riuscì mai a interagire con questo nuovo concetto di arte, a differenza di Schifano che divenne, forse, il maggior esponente della Pop Art Italiana.

Il nome Pop Art è una abbreviazione di popular art, come accennato in precedenza, ed è stato scelto per un motivo preciso: evidenziare come i soggetti di ispirazione degli artisti derivassero dalla cultura di massa.

La Pop Art  è nata proprio dalla società consumistica di quegli anni, figlia del boom economico e dell’ascesa di un consumismo votato all’eccesso. Gli artisti dell’epoca hanno deciso di trasformare in arte ogni oggetto e ogni tema che veniva invaso dai mass media: è stato proprio da questa fusione tra arte e comunicazione dei mass media che è cresciuta negli Stati Uniti la Pop Art.

Proprio per poter raccontare al meglio 70 anni di storia dell’arte partendo dalle opere esposte, con analogie, similitudini, stili pittorici, colori… le selezioni degli artisti avverranno attraverso un comitato di esperti, formato da critici, il curatore e il gallerista James Castelli.


Sono aperte le selezioni per partecipare alla collettiva Pop o non Pop questo è il problema che si terrà dal 4 al 28 Agosto 2023 a Roma.

 

Scrivere a james.c70@libero.it e exiturbanmagazine@gmail.com tra i media partner della mostra



Media partner della collettiva saranno 

www.exiturbanmagazine.it

www.lartechemipiace.com

ContempoarteMagazine

www.artandinvestments.com































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C O N F I N I – Mostra fotografica multimediale collettiva

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C O N F I N I
Mostra fotografica multimediale collettiva 




Sabato 1 luglio 2023 alle 18.30 verrà inaugurata la mostra “Confini” nella splendida struttura del Circolo Aternino, nel cuore di Pescara Vecchia, messa a disposizione dall’Amministrazione comunale.

La mostra rappresenta il punto di arrivo di un anno di lavoro dei 25 partecipanti del Laboratorio 122 di Agorà di Cult FIAF, per il tema dell’anno “Confini” ed esprime le diverse anime degli autori, le diverse interpretazioni e rappresentazioni che questi hanno dato del  “Confine”. I lavori esposti, curati dai tutors Giacomo Sinibaldi ed Andrea Fornaro, spaziano dalla foto singola, al portfolio, all’audiovisivo fino ad arrivare al cortometraggio. 

Per questa varietà di interpretazioni, la mostra si propone come evento multimediale ed immersivo.
La mostra sarà visitabile dal 1 al 7 luglio dalle ore 18.00 alle 21.00








 



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La pittura infamante del 1274 a San Gimignano di Alessandro Andreuccetti

 

Ferie delle Messi 2023 a San Gimignano




di Giuseppina Irene Groccia |21|Giugno|2023|





Ogni terzo fine settimana di giugno, la cittadina di San Gimignano si anima di spettacoli, cantastorie, acrobati, trampolieri, musici, teatranti. cavalieri, costumi medievali e tornei cavallereschi. La storica manifestazione Le Ferie delle Messi propone ogni anno un vero e proprio viaggio nel medioevo sangimignanese.


L’avventurosa edizione di quest’anno ha avuto luogo, in versione rinnovata e ampliata, il 16-17-18 giugno 2023. 


L’ evento, giunto alla sua ventinovesima edizione ha ospitato, tra le tante attrazioni, il progetto La pittura infamante del 1274 a San Gimignano, introdotto dalla conferenza del professor Gherardo Ortalli e che ha visto protagonista il maestro d’arte Alessandro Andreuccetti con la rievocazione (ridipintura) della pittura infamante sul Sagrato del Duomo.


La storia narra di due fratelli che vennero alle mani e il più giovane uccise l’altro e poi fuggi’ dalla città. Le autorità cittadine, non potendo avere l’omicida lo condannarono in contumacia e commissionarono un affresco da esporre sulla facciata del duomo a imperitura vergogna. 


L’incarico attribuito all’artista Alessandro Andreuccetti è stato quello di ideare e realizzare la pittura infamante di dimensioni 200×300 su tre pannelli di legno posizionati di fronte alla facciata dello stesso duomo. 




Nel giorno dell’esposizione l’artista ha lavorato en plein air terminando il dipinto dal vivo aiutato da alcuni bambini che hanno fatto da assistenti, rievocando così lo scenario di una bottega d’arte medievale.

















Nato a San Gimignano, Italia, nel 1955, ha studiato arte e architettura a Firenze quindi ha iniziato il suo lavoro nel 1980 in qualità di disegnatore, designer e pittore.

Ha partecipato a numerose esposizioni personali e collettive in Italia e nel mondo e molte opere figurano in collezioni pubbliche e private.

 

Statement

Forma, colore e textures costituiscono lo scheletro su cui costruisco le mie immagini, o forse sarebbe meglio parlare di visioni, o sogni perché tutto ha inizio e si sviluppa prima nella mia mente, più o meno inconsciamente e dopo, molto dopo, si trasferisce sulla tela o sulla carta. Attraverso lo studio dei miei soggetti, siano essi figure, città o paesaggi isolo ed elaboro ciò che per me rappresenta l’anima del soggetto stesso, ne carpisco le forme primitive,mi impadronisco del loro colore, delle luci e delle ombre,fisso, come in una fotografia, l’attimo magico in cui gli oggetti rivelano se stessi poi traduco tutto nel linguaggio universale del disegno e della pittura.

 

La figura

La figura umana è forse il primo soggetto rappresentato nella storia dell’arte mondiale, è presente in tutte le epoche storiche e costituisce quindi un tema pressoché obbligato per ogni artista. Il mio approccio alla figura umana è strettamente personale: abbandonando qualsiasi pretesa di rappresentazione fedele o realistica la mia ricerca si concentra sulla percezione volumetrica e coloristica del soggetto dando risalto alla relazione tra luce, colore e forma.

 

La città

La città è la culla delle nostre vite, incubatrice dei nostri pensieri, l’involucro che racchiude i nostri sogni, i successi e le sconfitte. La mia visione della città è una visione idealizzata, uno sguardo lontano che permette di astrarre dal contesto generale ciò che mi colpisce maggiormente dell’insieme di architetture, di strade, di spazi, finestre, tetti, terrazze e quant’altro. Ancora una volta sono le forme ed i colori, le luci e le ombre che emergono da questo processo di astrazione e stanno lì a dimostrare la mia idea di città. Infatti io non dipingo una città ma l’idea di città.

 

I paesaggi

Il paesaggio, in tutte le sue accezioni e sfumature, rappresenta il mio “porto sicuro”, un angolo riparato nella mia testa dove mi posso rifugiare e ricaricare in tutta tranquillità. Quando le idee scarseggiano o faticano a trovare la strada per emergere tutto ciò che devo fare è aprire il libro degli schizzi scorrendo centinaia di disegni e appunti che parlano della mia terra, la campagna, gli alberi, i fiori. È tutto lì dentro, disponibile e generoso e io non devo fare altro che coglierne i frutti.

 

“Rappresentare la vita è lo scopo principale della mia pittura. La figura umana, le città, la natura costituiscono degli ottimi soggetti da studiare e trasferire sulla tela o sulla carta, ma ciò che più mi interessa è scoprire e mettere in evidenza la relazione che c’è tra le forme e i colori di ciò che ho di fronte. Questa relazione la si scopre dall’osservazione attenta della realtà e si estrinseca in una rappresentazione strettamente personale dell’oggetto.”

 

Le idee     

Ogni dipinto ha una sua storia e una sua personale gestazione. Tutto può contribuire alla scintilla iniziale, una foto, una frase, una musica. Prima di iniziare passo molto tempo pensando al design generale della nuova tavola, agli schemi di colori da utilizzare, a cosa mettere in evidenza e cosa lasciare in secondo piano. Generalmente prendo molti appunti, faccio schizzi, provo dei colori, ombreggiature, scompongo il soggetto in porzioni che poi ricompongo diversamente, schematizzo varie soluzioni compositive. Tutto questo processo può durare giorni oppure settimane però quando è il momento di dipingere il lavoro viene giù filato senza ripensamenti.

 

I materiali

Opere su carta. Utilizzo gli acquarelli sulla carta fatta a mano con stracci di cotone, è una carta bellissima, importata dall’India, pesante e rugosa, con una sua forte personalità che richiede molta attenzione ed esperienza per padroneggiarla.

 













Contatti dell’artista 


Sito Web www.andreucciart.it

Email aandreuccetti@gmail.com

Facebook Alessandro Andreuccetti

Instagram alessandroandreuccettiart

Twitter Alex Andreuccetti

YouTube Alessandro Andreuccetti 



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Refugium Peccatorum – Collettiva d’ Arte a cura di Maria Marchese

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Il 9 giugno 2023, alle ore 18.00, presso lo Spazio
Odriuesque
, in via Solari 26, nella città di Milano, si 
inaugura la collettiva d’arte Refugium Peccatorum , curata
dalla poetessa e critica d’arte comasca Maria 
Marchese, il cui direttore artistico è l’artista
sinestetico e intellettuale Angelo Orazio Pregoni.


Frantumando un immaginario leitmotiv, scandito da competizione e arrivismo, all’opposto gli organizzatori ribadiscono l’importanza dell’arte e della cultura come
strumenti di coesione, crescita e non 
convenzionalità, volti a innovare i percorsi della stessa. E
mentre in molti contesti, tolta la veste elettrica e 
scenica, rimane null’altro che il sensazionalismo, qui, una
genuina realtà artistica genera la sintesi 
originale della personalità dell’autore.



Sono 9 gli artisti contemporanei presenti a Refugium
Peccatorum : Agostino Caligiuri , Doris Lisa Confortin, 
Natalia Jacquounain, Alessandra Mangano – Axl, Samantha
Paglioli, Luciano Vetturini, Marco Nava, 
Matteo Sarro e Marco Ventura. Pittura, scultura e opera
installativa qui diventano testimonianza 
plastica di volizioni estetiche uniche, in un’eteroglossia
artistica autarchica.


“Nel contesto contemporaneo, il vero peccato è pensare
autonomamente: in tal senso, a Refugium 
Peccatorum, “il bambino colto con le dita nella marmellata
viene oggi premiato”, perché l’arte è un 
piacere inusuale che solletica palato, mente e occhio.”

Maria Marchese – Angelo Orazio Pregoni



 

L’esperienza espositiva sarà visitabile dal 9 al 30 Giugno
2023.

Media partners dell’evento sono FattoreETC e ETiCinforma,
del giornalista svizzero Roberto Bosia, Ottiche 
Parallele Magazine, di Fabrizio Capra e
Zoomonart.blogspot.com, di Maria Marchese.

 


Refugium Peccatorum

Direttore artistico: Angelo Orazio Pregoni

Curatela: Maria Marchese

Direttore creativo: Anna Bagnoli



 

Orari:

dal lunedì al sabato

10.30 – 12.30

16.00 – 19.00

Chiuso domenica.

 

È possibile fissare un appuntamento in sede, con la
curatrice e il direttore artistico.

 

Contatti

marchesemaria369@gmail.com

staff@pleasurefactory.it

https://www.odriuesque.it/














 



©L’ArteCheMiPiace – Blog Arte e Cultura di Giuseppina Irene Groccia 




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Quando la tecnica della riproduzione diventa arte – La storia di un regalo

 L’ArteCheMiPiace – Interviste
























Quando la tecnica della riproduzione diventa arte

La storia di un regalo




di Giuseppina Irene Groccia |03|Giugno|2023|


Eugenio Sinatra, artista fotografo palermitano, è da sempre
un appassionato ed esperto di tecniche alternative.

Amante della sperimentazione in ambito fotografico, sceglie
di concentrarsi sulla tecnica cianografica, riadattando ai propri fini questo
antico metodo di stampa.

Partendo proprio dal progetto che andremo a presentare,
Eugenio per una volta non sceglie di elaborare i suoi stessi scatti ma preferisce indirizzare
il suo processo di lavoro e di suggestione su alcune mie opere digitali
selezionate direttamente da lui sulla base di una corretta corrispondenza
all’utilizzo destinato.



La sua proposta di intervenire con tecniche e modalità
creative del tutto personali su  dei miei
lavori mi ha riempito di profondo orgoglio, in quanto so che non stampa mai per conto terzi.

Eugenio è un’artista che ammiro tantissimo per l’inconsueto
aspetto estetico delle sue immagini e per la sua grande abilità nell’adottare
manovre alchemiche” necessarie per realizzarle. Tra di noi esiste una stima
artistica decennale, non nego che sono sempre stata attratta dalla sua ricerca
riguardo alla dinamica espressiva del mosso creativo. La “fotografia ambigua“,
così definita da lui stesso, capace di fare esprimere ad una immagine più
cose di quelle che raffigura.


Credo di poter affermare con estrema sincerità che Eugenio sia stato l’artista che più mi ha ispirato nel momento in cui decisi di incamminarmi nell’ambito della ricerca fotografica.


© Eugenio Sinatra, 2017 dal suo progetto “Corpus in Fabula” 


© Eugenio Sinatra, 2014


© Eugenio Sinatra 2014, (opera in mio possesso ricevuta in dono nel 2015)







In questo progetto in particolare, ha applicato e sperimentato tecniche di sicuro livello
professionale,  riuscendo così ad ottenere opere finali dalle caratteristiche
artistiche uniche e irripetibili.

Infatti, nel reciproco scambio, ogni opera terminata diviene
portatrice di sensi complementari, i quali si incontrano e prendono forma in
una nuova e inedita idea creativa. Il risultato è un’opera unica realizzata a
quattro mani
.



È attraente pensare a queste tecniche, come ad una
opportunità creativa in grado di mescolare la versatilità del digitale con
l’artigianalità dei primi procedimenti di stampa. Un viaggio attraverso il
tempo e la storia, ricostruito dai dettagli che le opere documentano
visivamente con ogni incidenza possibile.

L’esposizione alla ricerca innesca un inedito dialogo tra
due artisti che sembrano restituire in un aspetto vagamente astratto la stessa
percezione delle loro innovative visioni.







A me resta la scelta se intervenire o meno con piccoli tocchi di pennello e colore. A lui la richiesta di raccontarci attraverso questa intervista, qualcosa di più sul procedimento applicato nella realizzazione di queste opere…

▪Eugenio, come ti sei avvicinato
alla fotografia e come è nata questa tua passione per le tecniche alternative?

La fotografia mi ha appassionato sin da ragazzo. Non so
perchè, forse come uno comincia a collezionare francobolli, o si appassiona
alla chitarra. Poi cominciai a stampare le mie fotografie in camera oscura, in
maniera del tutto tradizionale. Scoprii il mondo delle pellicole istantanee,
vuol dire Polaroid di un tempo, e mi dilettai a lungo nella manipolazione di
questo materiale che si piega in maniera eccellente alla creatività. L’approdo
alle tecniche alternative risale ai primi anni Duemila, mi convinse la
possibilità  di lavorare a qualsiasi ora
mi fosse possibile, alla luce tenue di una lampada ad incandescenza, libero dal
buio totale della camera oscura.


▪Tra le tue opere troviamo tanti
esempi di stampe ottenute con procedimenti diversi, tra cui anche la
cianotipia. Vuoi illustrarci nello specifico questa tecnica e spiegarci come
riesci ad ottenere diversi risultati?

La fine della produzione delle pellicole istantanee mi privò
di un giocattolo di lusso. Fu allora che mi cimentai nella cianotipia, nel
VanDickbrown, la gomma bicromatata, lumen prints. Tecniche che ho imparato a
padroneggiare. Ovviamente non potevo tralasciare la carta salata, o Calotipia,
la stampa all’albumina, il grumoli e il bromolio, nonché il collodio umido e il
mordencage. La cianotica e il VanDickbrown sono le tecniche in cui ho ormai
standardizzato un flusso di lavoro e a cui mi dedico esclusivamente. Nella
Cianotipia la soluzione sensibilizzante è costituita da sali di ferro. Si
stende sulla carta che, una volta asciugare al buio, si espone a contatto con
un negativo di grande formato ( A4 o A3 ) stampato al laser, usando le
radiazioni ultraviolette. Nella pratica si usano le comuni lampade abbronzanti.
Nel Vandickbrown oltre a un sale di ferro c’è il nitrato d’argento. La stampa
cianotipica è tipicamente blu, quella VanDick marrone arancio. Ovviamente
limitarsi a questi colori è avvilente, quindi, parlando della cianotipia, si
può sottoporre la stampa a “viraggi” o “intonazioni” che
permettono di ottenere un colore finale sulla stampa asciutta dal grigio,
all’ardesia, al nero. Il viraggio più comune è quello con acido tannico: si usa
il caffè, o il tè.

▪Da cosa è partito la decisione di
utilizzare, per questo specifico progetto, dei lavori in tecnica digitale
invece di fotografie?

Semplice: ti ho sempre seguita sui social, e mi piacciono le
tue opere. Ad un certo punto sono state le tue visioni che me l’hanno chiesto e ti ho invitata ad inviarmi alcuni tuoi file, per
ottenerne negativi da stampare in cianotipia. Per me la tua fiducia è stata un
regalissimo, ho lavorato come se dovessi confezionare un bel regalo per te.
Certo le mie stampe sono più’ povere rispetto le tue opere originali, lo so.



Assolutamente no, non mi trovi d’accordo. Anzi penso il contrario. Agendo manualmente e in modo così diretto e creativo sui miei lavori, hai reso ogni stampa un pezzo unico, prezioso e mai ripetibile. 


Piuttosto dimmi come mai in  un’epoca tutta orientata al
digitale hai scelto di esprimere la tua creatività recuperando ed
utilizzando tecniche antiche, quali la cianotipia?

Le tecniche alternative sono una simbiosi tra il digitale e
la manualità artigianale. Infatti il negativo di grande formato proviene dalla
stampa di un file, dopo avere elaborato opportunamente l’immagine di partenza
in modo che sulla stampa alternativa finale risaltino tutti i toni della giusta
proporzione. Poi il lavoro è manuale, ed è tanto.. Quindi il risultato è un po’
una rivincita sulla “macchina”, nel senso che la macchina è asservita
al mio intento artigianale.



▪Ci parli un po’ di tutti gli
elementi necessari alla buona riuscita di una stampa?

Per esperienza diretta, e sono d’accordo tutti i cultori di
antiche tecniche, nella riuscita di una stampa concorrono vari elementi: il
tipo di acqua di rubinetto usata per i risciacqui (leggi alcalinità’ eccessiva
ecc ), l’umidità atmosferica, caldo eccessivo, e cosi’ via. Non ultimo lo stato
d’animo dello stampatore: se quel giorno sei distratto, precipitoso, non
rilassato, pur seguendo il collaudato flusso di lavoro la stampa viene male. Ci
sono giorni che tutto va male. Ok, insuccessi per quel giorno, pazienza. E’
cosi’, bisogna metterlo in conto.



▪La tua lunga esperienza in questo
campo ti permette di poterci svelare qualche piccolo trucco o segreto…

Niente segreti. Mettere a frutto l’esperienza sul campo,
cercando di non ripetere precedenti errori. Ed è importante il confronto
continuo con amici che fanno le stesse cose. Da questo punto di vista i social
ci permettono di dialogare e confrontarci con fotografi distanti chilometri.



Altro elemento per te
fondamentale è la carta. Ci descrivi il suo utilizzo e quanto è importante la
scelta di questo medium all’interno di un percorso di realizzazione?

La carta è l’elemento fondamentale per la riuscita di una
stampa alternativa. Succede per esempio che certe carte rinomate e costosissime
non si adattino alla tecnica di stampa, producendo solo ciofeche. Ricordiamo
che tutte le carte “per artisti” vendute in cartoleria e online servono
alla tempera, all’acquerello, al pastello, al disegno, quindi la loro
composizione non tiene conto dell’utilizzo come substrato di stampa tramite
soluzioni sensibili alla luce. Ci sono forse solo due tipi in commercio di
carte destinate alle antiche tecniche.



▪Attualmente  a cosa stai
lavorando? Ci sveli qualche tuo nuovo progetto?

Tutta l’estate la dedicherò alla tecnica del Mordencage, che
è lungo illustrare e spiegare, ma di cui si può avere idea cercando in rete,
sopratutto cercando i lavori della Regina del Mordancage, Elisabeth Opalenik.


“Lessi un giorno, da qualche parte, che le regole vanno conosciute, studiate, per poi liberamente mandarle a quel paese e personalizzarle… e la cosa mi piacque.“




A settembre del 2019, in occasione della Giornata Mondiale della Cianotipia, la conferenza “Della cianotipia e di altri antichi metodi di stampa nel pittorialismo fotografico” curata da Eugenio Sinatra presso la Sala Stemmi della Kà ‘d-Mezanis di Rueglio (Torino), ha generato un interesse di pubblico molto significativo.



Nel Video le “manovre alchemiche” di Eugenio Sinatra:


Video realizzato da Alessandro Fabozzi, Davide Torre e Giuseppe Zito




































 




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