ROBERTO VIGASIO - L'autoritratto come poetica emotiva, oltre che come tecnica.
L’ArteCheMiPiace - Interviste
L'autoritratto come poetica emotiva, oltre che come tecnica.
di Giuseppina Irene Groccia |02|Febbraio|2022|
È una analisi introspettiva carica di significati quella che
ci presenta Roberto Vigasio attraverso questo ambizioso progetto fotografico
denominato “selfportraitproject365” e
portato a termine nel mese scorso.
L’artista ripercorre per immagini una storia lunga 365
giorni, mettendo in pratica la modalità dell’autorappresentazione attraverso la
fotografia.
Negli scatti di Roberto, le immagini ripercorrono in maniera originale quella che è la sua
mission introspettiva.
L’autoritratto diventa mediatore di comunicazione del sé, le sue frammentazioni ed emozioni lo rendono un efficace mezzo di autoriflessione che aiuta ad acquisire maggiore consapevolezza e accettazione di se stessi.
Nelle molteplici espressioni che l’artista esplora
giornalmente, possiamo cogliere ogni contrazione muscolare, ogni impercettibile
deformazione del volto e alterazione posturale del corpo.
Roberto esplora le sue infinite emozioni “dipingendole” sul
suo viso, esasperandole spesso anche in smorfie grottesche e liberatorie.
Sono atti di creatività che mette in scena, esclusivamente per la sua fotocamera, che consegna abilmente alla sensibilità dell’osservatore e alla sua capacità interpretativa.
Egli riesce così a proporci una continuità incessante di rivelazioni, un’opera fatta di mutazioni e transitorietà, dove il concetto “tempo” diventa intima riflessione, confluendo infine in una narrazione nitida e impalpabile che ne sublima l’essenza.
Roberto affida alla fotografia il compito di raccontare la sua identità di artista scegliendo questa espressione artistica come mezzo per esprimere al meglio la
sua esistenza interiore.
La sua è una lunga narrazione per immagini rappresentata con interessanti autoritratti; scatti estemporanei che vogliono raccontarci
qualcosa assumendo l’aspetto di “momenti” capaci di impressionare in un istante.
Sono istantanee con le quali riesce a maturare la concezione
di se stesso come artista. Metodo con cui scava nelle profondità dell’animo
umano, in primis il suo, formulando una analisi che gli permette di andare
oltre la pura rappresentazione, rendendolo capace di arrivare al concetto più
esistenziale di una tecnica ritrattistica.
Il corpo, non più soggetto ma linguaggio, si lascia guidare dalle intime sensazioni quotidiane; egli sfrutta la performance e il trasformismo scenico con posture, smorfie ed emozioni per produrre un racconto che sa parlarci di esperienze e turbamenti dell’animo umano.
“selfportraitproject365” vuole documentare la
sperimentazione, la narrazione ma anche la ricerca della propria identità
d'artista che si impone nella società odierna come testimonianza di
malessere ma anche come possibile rappresentazione di rivalsa e di salvezza.
Questo racconto lascia aperte molte strade interpretative,
la sua strutturazione e il suo procedimento forniscono una sensibile linearità in grado
di avviare sviluppi meditativi che permettono di esplorare le immense e
affascinanti dimensioni della fotografia come introspezione personale, oppure come
straordinario strumento di espressione capace di indirizzarci verso nuovi e variegati sentieri narrativi.
▪️ Ciao Roberto, innanzitutto vorrei chiederti di raccontarci di te e di
come si è caratterizzata la tua formazione artistica...
Mi chiamo Roberto Vigasio sono nato a Brescia il 2 novembre
del 1973 e come dico di solito, io non sono stato concepito ma sono stato
sviluppato poiché i miei nonni erano fotografi e mio papà ha fatto il
fotografo.
L'attività di famiglia inizia nel 1942 quando mio
nonno Bruno rileva un'attività di un
altro fotografo bresciano che si occupava principalmente di scattare le
fototessere.
Negli anni ‘40 fare una fototessera non era un processo semplice come oggi, c'erano macchine enormi in legno con delle lastre di vetro delicate e difficilissime da preparare, bisognava essere anche chimici ed alchimisti oltre che fotografi. Tutta la procedura era complicata compreso lo sviluppo e la stampa. Le lastre e le fotografie spesso venivano ritoccate a mano per correggere difetti o imperfezioni di lavorazione e mia nonna Giulia aveva imparato a fare anche quello.
Sin da piccolo ho vissuto tra i chimici dello sviluppo, fissaggio e stampa, prima del bianco e nero e poi del colore. Sono sempre stato affascinato da questo mondo.
Mio papà mi ha sempre mostrato il suo lavoro, ma inizialmente ha preferito tenermi lontano in quanto diceva che con la fotografia non si mangiava, ma sia io che mio fratello abbiamo collaborato con lui fino al 2013. Ho così avuto la possibilità di seguire la trasformazione della fotografia dal bianco e nero fino al digitale testando le attrezzature. La mia formazione artistica è avvenuta in silenzio e tra le mura di casa. Non ho mai avuto il coraggio e la forza di mostrare i miei lavori fino a pochi anni fa
▪️ In che modo l’arte fotografica ti si è presentata?
L’arte fotografica e la passione per la stessa è avvenuta
guardando le fotografie negli archivi di famiglia, principalmente di lastre
fotografiche di ritratti. Poi nel tempo ho seguito i clienti e gli amici nei
loro percorsi artistici.
La mia prima macchina fotografica è stata una Polaroid usata e non del tutto funzionante. Ai tempi, più di oggi, il costo della pellicola era molto alto e i miei genitori non potevano permetterselo pertanto le pellicole praticamente non le ho mai viste. Su 1000 fotografie scattate solo poche decine si erano impresse sulla pellicola, le altre erano solo nella mia testa.
A 10 anni ho impugnato la mia prima reflex, è stata una Miranda con un'ottica 50 mm che mia mamma mi aveva prestato con titubanza. Insieme a quella fotocamera ed alcune indicazioni rubate a papà ho incominciato a scattare le mie prime fotografie in 35mm. Anche in questo caso all'inizio tantissimi scatti erano a vuoto, non c'era quasi mai il rullino.
Due
anni dopo, durante le scuole
medie il professore di tecnica, super appassionato di fotografia, allestì all'interno della scuola una camera
oscura: da quel momento ebbi modo di
avvicinarmi alla sviluppo e alla stampa della
pellicola bianco e nero.
Oggi
ricordo come se fosse ieri l'emozione e la magia del vedere l’immagine
fiorire dalla carta bianca nella vaschetta della sviluppo. Una sensazione
incredibile a cui tutti dovrebbero assistere perché è un piccolo “miracolo“.
▪️ Quali sono stati i momenti salienti del tuo percorso?
Dal momento citato sopra è iniziata la mia formazione scolastica nel mondo fotografico. Una vera fortuna quel professore, mi ha insegnato tantissimo: lo sviluppo della pellicola, l’uso dei chimici, timer, ingranditore, i tipi di carta, le ottiche, lo sviluppo, il fissaggio, l’asciugatura ed i trattamenti per avere una fotografia sempre al meglio.
Grazie a questa formazione teorica e pratica ho avuto
finalmente accesso al laboratorio di famiglia. All’inizio mio papà non era
molto contento poiché preso dall’entusiasmo ho incominciato a consumare
pellicole e carta a profusione. I primi erano esperimenti e spesso molto
azzardati che però mi hanno dato la possibilità di imparare divertendomi.
Il mio interesse non si è fermato al bianco e nero e con l’arrivo delle attrezzature per lo sviluppo e stampa del colore si è esteso anche quello. La tecnologia era più moderna e le attrezzature automatizzate e tanti processi automatizzati, ma sempre molto affascinanti.
La fotografia è sempre una passione celata, mi piaceva sperimentare e fotografare, ma tutto poi veniva elaborato e stampato solo per me e raramente mostravo agli altri i miei lavori.
A 18 anni anziché continuare a studiare mi sono buttato nell’attività di famiglia. Mi sono sempre occupato della vendita del materiale fotografico; quindi ero molto preparato sia dal punto di vista tecnico che pratico. Ho vissuto l’evoluzione della fotografia dalla pellicola tradizionale al sensore digitale partendo dalla Canon Ion, alla Sony Mavica, per poi arrivare alle prime reflex digitali. Con la fotografia digitale mi sono anche formato sull’uso dei software. Ai tempi si usavano solo Photoshop per l’elaborazione e Corel Draw per fare volantini ed elaborazioni grafiche. Ai tempi era veramente un lusso avere un PC con i programmi originali e dopo poco arrivò anche la Polaroid palette che trasformava file digitali in diapositiva o negativo.
Le mie prime elaborazioni fotografiche digitali erano i ritocchi di fotografie che sarebbero finite sulle lapidi, erano lavori che richiedevano tempo e dedizione; mi è sempre piaciuto pensare che fosse anche un mio modo per prendermi cura di persone sconosciute. Il mio lavoro spesso si incrociava con la mia passione e ho sempre cercato di mettere la mia parte artistica anche in un lavoro che all’apparenza poteva sembrare tutt’altro. Ho avuto la fortuna di vedere e collaudare tutte le novità del settore, sia a livello di attrezzature di raccolta, stampa ed elaborazione delle immagini sia di fotocamere per raccogliere le immagini. In tutte queste prove ho sempre usato, oggetti, panorami, animali, fiori, amici, ma mai me stesso, nessun autoritratto.
▪️ Parlaci dei tuoi interessanti e importanti Workshop a cui hai preso parte….
La mia formazione è stata inizialmente sempre da autodidatta
ma successivamente ho fatto corsi e diversi workshop. Uno tra i più importanti
per me e per la mia passione è stato con Joyce Tennyson che mi aveva fatto
scoprire l'utilizzo della luce e dei corpi in in un modo che era prettamente
suo, chi non si ricorda il suo calendario per la Pirelli? In occasione di quel
workshop avevo fatto delle fotografie bellissime a detta anche di Joyce ma
durante una sessione di scatto sono sparite le mie diapositive, probabilmente
rubate. Ero rimasto così male che decisi
di non mostrarle più a nessuno ed il mio mondo si richiuse nuovamente, non solo
per l'atto in sé, ma anche perché per me era stato una delle prime volte in cui
aprivo i mei agli altri.
Dopo quell'evento ho partecipato ad altri workshop sia
inerenti la tecnica fotografica e gli stili.
Nel tempo ho sperimentato diverse tipologie di foto dalla
macro, al ritratto, al reportage, alla fotografia di studio, Street,
naturalistica, industriale, alla fotografia di famiglia ovviamente sempre a
livello amatoriale lo facevo per me. Un amico albergatore mi ha offerto la
possibilità di fare delle fotografie al suo villaggio sperduto su un’isola
paradisiaca, come potevo dire di no. In quella occasione ho scoperto dentro di
me una creatività ed un entusiasmo incredibile. Era una situazione bellissima
ma con pochissimi servizi, materiali appena sufficienti, ma tanta voglia di
fare da parte mia e di tutto lo staff, sembrava una festa. Non avevo
illuminatori, ma poche lampade ad incandescenza con cavi corti, candele e
pannelli riflettenti creati dal nulla, ma tutti partecipavano “all’incredibile”
set anche i clienti del resort. Per me è stata un’esperienza bellissima era
stata una prima sperimentazione di come potessi trasformare la mia passione in
un lavoro. Dopo poco tempo l’attività di famiglia è stata chiusa ed io non ho
avuto il coraggio di diventare un fotografo di professione. Per anni la mia
passione è rimasta silente, la motivazione era svanita fino al 2019 quando ho
scoperto l’esisteva della fototerapia.
▪️ Ecco, arriviamo ad un
argomento a te molto caro… Spiegaci questa tua esperienza con la fototerapia
La fototerapia è l'utilizzo della fotografia nell'ambito clinico o meglio la fotografia viene utilizzata come tramite tra il paziente ed un terapeuta. La fototerapia viene applicata attraverso diverse tecniche scoperte e diffuse da Judy Weiser.
Io sono stato e sono in terapia da anni e con il tempo mi
sono appassionato al mondo della psicologia e quando ho scoperto che due
passioni si fondevano insieme ho cercato di raccogliere più informazioni
possibili.
Per me la fotografia è sempre stata una forma di
meditazione, un modo per stare bene. Appena metto l'occhio in un mirino o su un
display ed inizio a fotografare mi si attiva uno stato d’animo particolarissimo
dove mi sento più allineato con me stesso e con ciò che mi circonda.
In uno scatto posso raccontare di me anche senza essere il
soggetto dell’immagine. In un immagine ci sono in modo più o meno consapevole le
mie memorie, le mie emozioni, le mie sensazioni e le mie proiezioni, le mie
intenzioni.
La conoscenza e lo studio delle tecniche di fototerapia mi
hanno aiutato a dare ulteriore solidità alle mie sensazioni e a comprendere
maggiormente la forza ed il valore intrinseco di una fotografia.
A settembre del 2019 ho organizzato a Brescia una
presentazione della fototerapia invitando Antonello Turchetti co-fondatore del gruppo Net-Fo a illustrare il mondo della fototerapia e l’importanza del suo utilizzo.
Dopo 15 giorni sempre con Antonelli Turchetti abbiamo dato
luce ad un workshop esperienziale di fototerapia. In quella occasione ho
sperimentato in prima persona alcune delle tecniche ed è stato meraviglioso.
Da quel momento in poi ho cercato di informarmi il più
possibile e mi sono iscritto nel 2020 al corso di formazione a Bologna presso
l’Istituto di Fototerapia Psicocorporea a cura di Riccardo Musacchi.
Durante la formazione ho avuto la possibilità di
approfondire e di sperimentare ulteriori tecniche e posso confermare che hanno
avuto un effetto positivo su di me come persona e sul mio modo di essere
fotografo. Nello stesso periodo ho conosciuto Cristina Núñez ed il suo metodoSpex (Self-Portrait-Experience). E’ stato amore a prima vista e ho subito
partecipato ad un suo workshop, poi ad un secondo ed infine ho deciso di
diventare facilitatore del suo metodo. Attualmente ho terminato la formazione e
sto concludendo la tesi.
▪️ Come è nata l’idea del tuo progetto #selfportraitproject365? Raccontaci cosa esattamente volevi trasmettere ed infine come è stato recepito...
Lavorare con il gruppo di docenti dell’istituto di
fototerapia psicocorporea e con l’esperienza fatta con l'autoritratto nel
metodo Spex mi hanno dato la possibilità di conoscermi meglio e e la forza ed
il coraggio necessari per il mio progetto #selfportraitproject365.
Il 1 gennaio del 2021 ho deciso di esplorare me stesso e di
raccontarmi attraverso un autoritratto al giorno.
Non è stato facile scattare 365 autoritratti però ho cercato
di portare in ogni scatto quotidiano le mie sensazioni o le mie emozioni anche
attraverso oggetti che avessero attirato la mia attenzione e fondermi con essi
in una fotografia.
Il mio obiettivo era di poter dar luce alle mie diverse
personalità anche attraverso le emozioni, a volte cercandole attraverso una
recitazione, non ho mai fatto scuola di teatro, ma altre lasciando defluire con
naturalezza le sensazioni della giornata. L’obiettivo diventava osservatore
silente e confessore attento nel rimandarmi nello scatto tante altre “verità”.
La mia idea è stata di raccontare come un processo di un anno di autoscatti porta l’autore a conoscersi meglio e ad avere una maggiore percezione della sua individualità.
Mi piace pensare che sono riuscito a trasmettere le mie
emozioni e la mia evoluzione individuale come artista, fotografo e persona.
Dopo un anno di lavoro le persone mi contattano su Facebook per consigli o
semplicemente per conoscere meglio il mio progetto.
▪️Come hai realizzato i tuoi scatti?
Ho
usato uno smartphone di € 200,00,
una luce Ring ed un muro di casa pitturato di nero.
▪️Quindi non hai usato una fotocamera reflex in uno studio
fotografico?
Davvero, non ho uno studio e volutamente ho utilizzato uno strumento “democratico” e “semplice” come lo smartphone. Per me era importante creare, dare forma a 365
idee.
▪️ Ci parli un po’ delle diverse tematiche toccate in ognuno dei tuoi
scatti giornalieri?
Nell'arco
di 365 giorni ho sperimentato tantissime tecniche fotografiche con uno
smartphone con i suoi pregi e difetti, vantaggi e limiti. L’obiettivo
per me era di raccontare delle mie sensazioni, delle
mie emozioni, nella quotidianità attraverso
uno scatto. Ho toccato tantissime sfaccettature di me, grazie alla creatività che è aumentata
strada facendo.
▪️ Questo progetto ti ha visto doppiamente protagonista, ti sei alternato
costantemente nel ruolo di soggetto e regista. Raccontaci questo interessante
aspetto...
Questo progetto mi ha visto esprimermi come protagonista ma ho potuto lavorare anche su altri due fronti, come autore e regista che pensa e crea lo scatto, ma soprattutto come osservatore esterno. Questo grazie alla mia formazione in Fototerapia Psicocorporea e nel metodo Spex di Cristina Nunez. Ci tengo a sottolineare che sono stato affiancato, consigliato e supportato da tre terapeuti psicologhi ed un’arte terapeuta Federica Cerami, in questo viaggio. Durante l'osservazione della fotografia appena scattata, ma soprattutto l’ascoltarmi nel momento in cui facevo lo scatto quotidiano, spesso mi ha portato ad un confronto con me a volte doloroso e difficile, ma altre volte divertente ed ironico, però è stata indispensabile la presenza di una guida o come nel mio caso di più guide. Un intero staff di professionisti ed amici che hanno reso questa mia impresa possibile.
▪️ Una sfida lunga 365 giorni. Qual è stato l'aspetto più impegnativo e come sei riuscito a mantenerlo?
L'aspetto più impegnativo del mio lavoro è stato cercare di
rendere ogni scatto quotidiano il più aderente alle mie sensazioni cercando di
rappresentarlo in un modo creativo diverso da quelli scattati precedentemente.
Il processo creativo è stata la mia salvezza nei momenti più difficili.
All’inizio era timido, ma con il passare del tempo si stava trasformando in un
vulcano e le idee salivano dal cilindro magico in pochi attimi. La creatività
una volta risvegliata e coltivata è diventata una parte integrante della mia
quotidianità e si presenta sotto forma di “intuizione” anche in ambiti diversi
da quello fotografico. Il mio progetto ha sicuramente influenzato le mie
relazioni sociali, le vacanze, la quotidianità; ogni giorno dedicavo dai 10
minuti nelle sessioni veloci alle 2 o tre ore per dare forma alla mia
sensazione. Ci sono state volte in cui quasi a mezzanotte dopo due o tre
tentativi mi lasciavo andare ad un pianto di disperazione ed in quel momento
venivo folgorato dall’intuizione e con chiarezza vedevo lo scatto. La parte più
impegnativa del percorso penso che sia stata quella di essere costante, ho
rinunciato e rimandato tante cose in nome del mio progetto, avere a che fare con
l’immagine di se stesso tutti i giorni non è stato facile ed ho avuto momenti
molto difficili. Alcuni di questi li ho pubblicati in post su Facebook per
raccontare la mia difficoltà. A volte è stato difficile anche affrontare le
critiche o i fraintendimenti scritti sotto il mio post, mi hanno ferito, mi
sono sentito giudicato e hanno equivocato il mio lavoro. Per rendere più
accessibile a tutti l’idea di affrontare un progetto come il mio ho scelto di
usare lo smartphone anziché la fotocamera sia per necessità di spazi e
logistica, ma anche per comodità e facilità d’uso. Ci tengo a sottolineare che
ho deciso di condividere su Instagram e Facebook il mio lavoro non per una
ricerca di like, ma in realtà è stato un modo per mettermi ulteriormente alla
prova esponendomi ad una platea più vasta. Un progetto come questo non sarebbe
stato possibile prima che iniziassi la formazione in fototerapia e nel metodo
Spex. Non sarei mai riuscito a scattare un autoritratto e tantomeno di
mostrarlo a qualcuno.
Un anno è lungo e i due motori che mi hanno trainato sono la
creatività e la motivazione di poter mostrare alle persone la forza ed il
valore della fotografia, sia come arte che come strumento di indagine e
crescita individuale.
▪️ Cosa ti ha attratto di questo tipo di sfida?
Per me non è mai stata una sfida nel senso stretto del termine, ma è stata una ricerca di me. Ho affrontato questo progetto con l’idea di conoscere di più messo stesso e di sperimentare gli anni di formazione nel mondo della fotografia e della fototerapia. Avevo voglia di raccontami e condividere. La mia motivazione è stata quella di cercare in primis me stesso, ma nello stesso tempo di sperare che le persone osservando le mie fotografie potessero rispecchiarsi e attivarsi per sperimentare a loro volta l’autoritratto.
▪️ Ci spieghi quali sono, secondo te, le differenze tra un atto performativo e il tuo processo di autorappresentazione?
Durante il progetto non ho mai visto l’atto della
preparazione allo scatto come una performance, ma semplicemente come un atto
dove mi mettevo a nudo davanti all’obiettivo e a me stesso. Spesso
inconsapevole il processo, è stato come aprire un nuovo dialogo quotidiano con
la fotocamera.
▪️ Nella resa finale di questo tuo progetto quanta importanza ha avuto la
pianificazione e la ricerca e quanto invece è imputabile all’improvvisazione?
Non ho pianificato gli scatti, nel breve e nel lungo
periodo. Ho cercato di vivere l’esperienza della quotidianità e farne un
riassunto ogni giorno.
▪️ Tra gli aspetti che caratterizzano gli scatti che compongono questa
serie colpisce in modo particolare la singolare alternanza tra il gioco e
l’espressione di disagio o di denuncia. Puoi parlarci di questa caratteristica?
Anche questo aspetto è stato sicuramente inconsapevole.
Riguardando le fotografie appena scattate a volte ridevo come un matto, altre
piangevo. In realtà mi sono accorto che anche dove c’era ironia spesso c’era
disagio e questi scatti sono stati molto utili in terapia.
C'è una fotografia dove indosso le orecchie di una playmate
e al primo sguardo è divertente, ma in realtà in quel momento se si ingrandisce
l’immagine stavo piangendo. E’ partita con ironia, ma alla fine il dolore di
quella giornata è uscito, ero in un momento molto delicato. Per me lo scatto di
riferimento è il primo poiché nel primo scatto c'è la paura, la tensione ma anche la
voglia di trovare me stesso, di cercarmi e nello stesso tempo di mostrarmi e
di aprirmi come avevo accennato all’inizio. La fotografia personalmente mi
permette innanzitutto di sentirmi bene, è una sorta di meditazione. Tutto
acquisisce un valore, un sapore, un colore diverso. E’ una sensazione dove mi sento più centrato
e più naturale indipendentemente che stia scattando una fotografia industriale,
di architettura o naturalistica, non ha importanza, ma in quel momento sono
rilassato, in pace ed in contatto con la mia parte intima e questo mi fa stare
bene
▪️ Hai un tuo scatto in
particolare tra tutti i 365 che ci proporresti come punto di riferimento di
questo tuo percorso?
Il primo. L’inizio quando lo rivedo è un tuffo nelle
sensazioni di paura ed incertezza, ma anche di voglia di raccontare e di
conoscermi. Un entusiasmo che c’è sempre stato fino alla fine con alti e bassi,
ma che mi ha portato a terminare il percorso.
▪️ Cosa ti permette di esprimere la fotografia?
La mia natura, la mia parte più intima. Per me fotografare è come meditare e mi fa stare bene. La fotografia è per me uno strumento, come una penna per lo scrittore. Raccolgo idee e sensazioni, guardo nel mirino e scatto. Nella fotografia ci metto me stesso, la mia storia le mie esperienze e anche quello che consciamente non riesco a definire al momento, ma osservando l’immagine con attenzione e cautela trovo sempre spunti per conoscermi meglio.
Dal mio punto di vista la fotografia mi permette di essere probabilmente più me stesso e quindi di potermi esprimere liberamente per immagini; forse mentre scatto mi sento anche meno auto giudicante e più libero di rappresentarmi, di presentarmi e di raccontarmi attraverso i fotogrammi...
Riassumendo è un atto di conoscenza di me e di cura, mi fa
stare bene.
▪️ Ha dei Maestri di riferimento a cui guardi, a cui si senti affine?
Negli anni ho vissuto la fotografia come strumento e solo da pochi come arte e quindi non conosco molto il mondo della fotografia d’autore. Non è per presunzione, ma perché mi sono occupato della parte legata alla tecnica e poco della parte artistica. Sicuramente nel tempo ho visto tantissime fotografie, libri, mostre, e documentari su tantissimi autori ma non ne ho mai avuto uno di riferimento specifico e soprattutto in quest’anno di lavoro sull'autoritratto ho cercato di tenermi alla larga dalle fotografie degli altri autori, per quanto possibile, per evitare di esserne influenzato
Non ho una profonda cultura su altri artisti, ma sto iniziando ad osservare e conoscere in modo più profondo questo aspetto.
▪️ Continuerai sulla linea degli autoscatti oppure hai voglia di nuovi
esperimenti?
Non ho ancora un progetto fotografico pronto, ma sicuramente mi piacerebbe lavorare ancora con i ritratti e gli autoritratti.
▪️ Cosa puoi anticiparci dei tuoi progetti futuri?
Il mio prossimo progetto è trasformare i 365 scatti in un libro autobiografico, con indicazioni propedeutiche per avvicinarsi ed affrontare l’autoritratto. Oltre questo lavorerò con il metodo Spex attraverso workshop online ed in presenza. Attualmente insieme ad una psicologa stiamo tenendo un corso Spex ad una classe scolastica in età adolescenziale ed i feedback sono bellissimi. Sicuramente dedicherò molto tempo a questo tipo di progetti.
Contatti dell'artista
Email robvi73@gmail.com
Se l’articolo ti è piaciuto, ti invito ad interagire attraverso la sezione commenti di seguito al post, arricchendo così il blog con le tue impressioni.
E se trovi interessanti gli argomenti trattati nel Blog allora iscriviti alla newsletter e seguimi anche sui canali social di L’ArteCheMiPiace.
In questo modo sarai aggiornato su tutte le novità in uscita.
La realtà che si fa plasmare dall anima attraverso uno strumento inventato dall uomo
RispondiEliminaGrazie mille per la tua attenzione Enzo!
Elimina