Ribaltare la Prospettiva - La Fotografia secondo Robbie McIntosh
Ribaltare la Prospettiva
La Fotografia secondo Robbie McIntosh
di Giuseppina Irene Groccia |20|Agosto |2025|
Dietro il nome d’arte che evoca lontane sonorità nordiche, si cela un fotografo che a Napoli ha trovato un campo d’azione privilegiato, pur senza rivendicare un legame di appartenenza.
Nella traiettoria artistica di Robbie McIntosh, classe 1977, la fotografia non appare mai come un mestiere da esercitare, né come un semplice mezzo di espressione. È piuttosto una missione dello sguardo, un impegno continuo a interrogare la realtà, a decifrare l’umano nelle sue forme più spontanee e contraddittorie. I suoi scatti sembrano far parte di una disciplina interiore, un percorso di indagine che tiene insieme estetica e antropologia, poesia e documento. In questo senso, il suo lavoro si pone come una ricerca instancabile, non la rappresentazione di un mondo osservato da lontano, ma la costruzione di un dialogo ravvicinato con la vita stessa, nelle sue verità fragili e insieme potenti.
Riservato, poco incline alla sovraesposizione personale, McIntosh lascia che siano le sue immagini a parlare per lui: corpi comuni, non scolpiti, colti sulle spiagge di Napoli o in altri contesti urbani, sempre restituiti con dignità e verità. Nel tempo ha costruito uno stile personale che ricorda l’occhio corrosivo e affettuoso di Martin Parr, ma con una cifra tutta sua, uno sguardo insieme crudo e compassionevole, che si nutre di contraddizioni.
Autore di libri già fondamentali come On The Beach e Scampia Anno Zero, premiato a livello nazionale e internazionale, McIntosh è un fotografo che riesce a trasformare il quotidiano in racconto universale. Dietro la sua apparente ritrosia si cela un pensiero lucido, netto, mai banale, che rende ogni sua affermazione tanto precisa quanto spiazzante.
Le sue risposte alle nostre domande portano l’inconfondibile segno del suo stile fotografico. Nelle parole asciutte e precise di Robbie si coglie la stessa tensione che attraversa le sue immagini... un equilibrio fragile tra silenzio e rivelazione. Più che semplici risposte, esse ribaltano spesso la prospettiva, con un linguaggio netto, diretto, che alterna rigore e improvvisi slanci poetici. Le sue parole non concedono appigli facili ma lasciano intravedere, senza concedere del tutto, aprendo varchi inattesi che spingono chi ascolta a riconsiderare le proprie domande. E questo aspetto riflette perfettamente le caratteristiche delle sue fotografie.
La sua attenta osservazione del mondo è capace di cogliere la bellezza nelle imperfezioni, la forza nei gesti quotidiani, la poesia nascosta nei corpi e negli spazi che attraversa. La fotografia per lui non è mai separata dalla vita, essa è un modo di percepire, interrogare e restituire l’umanità nella sua interezza. Con lui, fotografia e vita coincidono, perché, come ama ripetere, “tutto è politico. Il corpo è uno strumento politico, ogni cellula è un manifesto ideologico. Tutto è bellezza. Bellezza è verità”.
Lasciamo ora a lui stesso la parola, per scoprire direttamente come osserva, interpreta e racconta il mondo attraverso la fotografia
Robbie McIntosh, il tuo nome d'arte, evoca un suono nordico. Eppure il tuo legame con Napoli sembra intenso, visto che vivi e lavori qui da anni. Come vivi la città e in che misura senti di avere radici o di appartenere a un luogo?
Il mio legame con Napoli è molto meno stretto
di quanto si possa pensare. Non sono neppure nato qui, e non ho neppure
trascorso i primi 8 anni di vita, che sono tra i più formativi in assoluto,
quelli che determinano le possibili traiettorie dell'esistenza umana. Non penso
di avere radici, in senso assoluto. Attecchisco ovunque, e di principio sono
internazionalista. I confini mi stanno stretti, le barriere vanno abbattute, e
i nazionalismi portano solo guerre e odio.
Quando è nata la tua passione per la fotografia? C’è stato
un momento preciso in cui hai capito che avresti voluto farlo sul serio? E
quali autori, fotografi o meno, ti hanno ispirato lungo il cammino?
Ho sempre preso la fotografia molto
sul serio, anche quando non ero un fotografo professionista. Ogni espressione
dell'anima va presa con estrema serietà, perchè si sta maneggiando la vera
essenza dell'uomo. Gli autori, in assoluto, oltre ogni categoria, che più mi
hanno ispirato (per certi versi anche traumatizzato) sono Martin Scorsese,
Hunter S. Thompson, Ciprì e Maresco, Francois Truffaut, Robert Hunter, Gregory
Corso, per citarne solo alcuni.
Provai ad esprimermi con la musica,
ma non avevo né il talento e neppure la disciplina per perseguire quella strada
con soddisfazione (intesa come capacità di realizzare quello che sentivo
interiormente).
Nei tuoi canali e progetti fotografici è raro trovare un tuo
autoritratto o un’immagine che ti ritragga. È una scelta deliberata quella di
restare fuori campo? In che modo questa “assenza” visiva si collega alla tua
idea di fotografo come osservatore silenzioso e discreto?
Non sono mai stato particolarmente a
mio agio dall'altra parte dell'obiettivo, non mi piace la sovraesposizione
della propria immagine, detesto il presenzialismo, soprattutto quello inutile.
Sono già presente in tutte le
fotografie che faccio, è come se in realtà l'obiettivo sia perennemente puntato
verso me.
Non sposo in modo ortodosso l'idea
del fotografo come osservatore silenzioso e discreto, nella maniera bressoniana
del termine. Secondo me è un gioco di equilibri, di esserci e non esserci, di
vuoti e pieni, di suoni e silenzi. Di armonia e senso generale dell'estetica.
E' necessario gettare dei sassi per smuovere le acque inerti.
Tra i tuoi lavori, mi aveva colpito in particolare la serie sulle statue di Cristo a mani aperte. Cosa ti aveva spinto a soffermarti su quella ripetizione sacra e urbana, e cosa cercavi di raccontare attraverso quelle immagini?
Quella storia delle state religiose
nacque forse per caso, in un momento di stasi. La religione codificata e
strutturata dall'uomo mi ha sempre messo a disagio. Non condivido il senso del
peccato imposto dalla morale cristiana. La religione mi è stata imposta, e ne
sono scappato presto. Il sacro è in ogni luogo, non solo in quelli preposti al
culto. E' dentro l'uomo.
“On The Beach” ha segnato il tuo punto di svolta. Cosa ha
trasformato una serie di fotografie balneari in un progetto esistenziale lungo
13 anni? Cos’hai scoperto in quelle persone che ti ha fatto restare così tanto
tempo sulla spiaggia?
Non è stato il punto di svolta, è
stato il punto di inizio, un progetto nato nel 2012. Volevo recuperare la memoria, forse la mia. I pezzi
di qualcosa di mai vissuto personalmente in modo razionale, ma suggestioni di
bambino. Gli odori e i suoni. Salvare quello che c'è da salvare, e secondo me è
molto. Abbattere il pregiudizio sociale, il classismo e lo snobismo. Senza
giudizio, preferisco esprimermi ad un livello emotivo. E' quello che mi passa
davanti. La città è cambiata parecchio, e continua a farlo. E' come il
neverending tour. E' come un treno, o un fiume, che continua a scorrere.
Hai detto che “tutti dovrebbero sentirsi a proprio agio con
un costume addosso”. È una frase potentissima. Fotografare i corpi reali per te
è solo un gesto estetico o anche politico?
E' un gesto antifascista. On The
Beach è un lavoro più politico di quanto possa apparire ad uno sguardo
superficiale.
Tutto è politico.
Il corpo è uno strumento politico,
ogni cellula è un manifesto ideologico.
Tutto è bellezza.
Bellezza è verità.
Lavori esclusivamente in analogico. In un mondo dominato dal
digitale e dall’istantaneità, perché questa scelta così netta? Cosa cambia,
nella testa, nel cuore e nel corpo, quando si fotografa con la pellicola?
Preferisco che le fotografie
conservino un supporto fisico, un negativo nella fattispecie. Mi piace
l'esperienza di camera oscura, la ritualità, il pensiero che il minimo errore
si debba pagare. E' necessario avere molta disciplina oltre al talento. Il
cosiddetto background fotografico, oltre alla valenza artistica.
La pellicola ha un limite, e questo
può aiutare nell'evitare di scattare centinaia o addirittura migliaia di
fotografie al giorno.
In “On The Beach” sembri passare da un punto di vista
antropologico a uno poetico, da ironico a struggente. Come scegli cosa
mostrare? E cosa invece decidi deliberatamente di non fotografare?
E' solo una questione di coerenza
col proprio sentire, istante dopo istante. In certi giorni sono prolisso, in
altri muto.
Il tuo approccio è molto ravvicinato, quasi fisico, eppure
dici che un bravo fotografo deve restare “un fantasma danzante”. Come si
mantiene la giusta distanza quando ci si affeziona così tanto ai propri
soggetti?
E' lo sforzo maggiore. Restare sul
bordo del cerchio della fiducia. Se si entra troppo, si perde l'integrità
artistica. Se si è troppo fuori, non si riesce a scavare in profondità.
Le tue recenti fotografie dedicate a feste private e
performer burlesque sembrano un cambio di atmosfera. Che legame c’è tra questi
ambienti notturni e le tue spiagge diurne? Cosa cerchi, oggi, nei corpi e nei
volti di quelle serate?
Era semplicemente una serie di
fotografie figlie di un periodo di noia e di assenza di altri stimoli. E' stato
interessante osservare le due facce della luna. L'uomo e il performer. Dove
finisce l'autenticità e dove inizia la fiction.
Come vivi il fatto che molti dei tuoi soggetti oggi ti
riconoscono, ti chiedono le foto, quasi “recitano” per te? Riesci ancora a
catturare l’autenticità o è cambiata anche la tua fotografia?
E' un aspetto che mi diverte, ci
gioco sopra e lo uso per prendermi in giro, destrutturare e riscrivere qualcosa
di già fatto e visto.
Stai lavorando su Scampia. Che approccio usi per raccontare
un luogo così carico di pregiudizi, narrazioni già scritte e dolore? Come eviti
il rischio di estetizzare il disagio?
E' un lavoro finito, a causa della
tragedia nella Vela Celeste nel Luglio 2024, che ha accelerato lo sgombero di
quella e delle altre 2 vele superstiti, e la demolizione della Vela Gialla (di
fatto conclusa pochi mesi fa) e di quella Rossa.
Volevo semplicemente guardare con i
miei occhi, senza pregiudizi. Senza mai aver letto una certa letteratura o
visto determinate fiction.
Avrei voluto continuare il mio
racconto, ma il destino così ha voluto.
Spero solo che le persone innocenti
trovino finalmente pace e dignità.
Estetica ed etica per me coincidono.
Negli ultimi anni hai ricevuto premi importanti e
riconoscimenti anche internazionali. Che rapporto hai con tutto questo? Ti senti
cambiato nel modo di fotografare da quando il tuo lavoro è diventato così
seguito e apprezzato?
Certamente mi soddisfa, e mi spinge
ad andare avanti con maggiore intensità, ma senza forzature.
Mi diverte anche, per certi versi. E
mi divertono anche certe dinamiche che osservo o che mi rapportano.
Ma essenzialmente non sono mai
cambiato.
Se un giorno dovessi smettere di fotografare le spiagge,
cosa ti mancherebbe di più? E cosa credi che mancherebbe a noi che le abbiamo
guardate attraverso i tuoi occhi?
E' una evenienza che non rientra nei
miei piani.
Guardando avanti, quali saranno i tuoi prossimi progetti?
C'è un ambito su cui desideri lavorare da qui al prossimo libro, una nuova
serie fotografica o un tema che ti affascina?
Ho delle cose in mente, e sto già
lavorando ad altre, sotto traccia.
Ma preferisco mantenere l'assoluto
riserbo.
Contatti
Sito Web Robbie McIntosh Photographer
Instagram robbie_mcintosh
Robbie McIntosh
Fotografo professionista nato nel 1977, vive e lavora a Napoli. Al centro della sua ricerca c’è l’umanità, osservata nelle sue unicità e contraddizioni, tra fragilità e forza, silenzio e rivelazione.
Ha pubblicato due libri: On The Beach (2012, giunto alla terza edizione), progetto che segna un punto di svolta nel suo percorso, e Scampia Anno Zero (2023), vincitore del Corigliano Calabro Book Award 2024. Le sue opere, caratterizzate da un linguaggio netto ed essenziale, alternano rigore analitico e improvvisi slanci poetici, mantenendo sempre una tensione tra ciò che svela e ciò che trattiene.
Parallelamente alla produzione editoriale, ha condotto workshop in diversi contesti internazionali, portando avanti una visione della fotografia come missione dello sguardo, strumento critico e politico di indagine sulla realtà.
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