UN ARMONICO LIRISMO NELL' ASSEMBLAGE ART DI LA CHIGI

 L’ArteCheMiPiace - Interviste












UN ARMONICO LIRISMO 

NELL' ASSEMBLAGE ART DI 

LA CHIGI




L’arte è per me relazione e scambio con gli altri ed è quindi per me un bisogno primario. E’ respiro e visione di mondi che permette di agire il presente, osservandolo con lucidità, senza subirlo e può aiutare a immaginare – e quindi creare – il futuro che vogliamo per noi.


La Chigi







di Giuseppina Irene Groccia  |22|Aprile|2023|




La ricerca artistica, che ha come obiettivo la creazione di uno spazio in cui si conciliano arte e fantasia, incontra nell’opera di La Chigi un’ispirazione poetica in cui la memoria e i luoghi del mondo divengono ricerca incessante di soluzioni illimitate, in un confine dove l’equilibrio creativo e quello intellettivo sembrano sfumarsi.

Le sue piccole installazioni sono archetipi ben delineati dalla tecnica dell’assemblaggio, del collage o del ready made: ci stupiscono con effervescenze liriche che destano nei fruitori condizioni di indefinita gioia. 

Tuttavia, un equilibrio visivo si percepisce nella loro naturale manifestazione armonica. Tutte le opere sono correlate dal desiderio di ricreare e ricostruire un’idea sociale attraverso la creatività. 

Si tratta di un corpus di installazioni con visioni surreali, in cui le ambientazioni vengono ispirate da memorie e ricordi finalmente adagiati in piccole scatole di latta riciclate.

È con questa modalità artigianale che le vecchie scatolette di latta per sardine diventano i luoghi individualizzati del proprio percorso esistenziale, un mondo che appare immerso in un contenitore ridottissimo per dimensione, ma illimitato nel racconto che emerge dalla visione.  

La miscellanea di oggetti e personaggi in un unico elemento conferiscono caratterizzazione, fisicità e concetto a materiali poverissimi, di scarto, riuscendo nell’obiettivo di vivificare e riscattare questa materia. 

Questi scrigni di ricordi nascono da una prassi metodologica all’insegna della lentezza e della meticolosità, due caratteristiche che sono alla base della tecnica utilizzata dall’artista. 

Ogni installazione non ha la funzione tipica di un banale contenitore, ma appare come una stanza che ha sedimentato e poi fatto emergere il racconto di una storia, puntellata da percorsi, oggetti, feticismi, donne e uomini che intrecciano i loro percorsi, creando illusioni tridimensionali altamente armoniche dal punto di vista estetico. 

Se ci fermiamo ad osservarle con attenzione, ognuna nasconde un lirismo profondo, mai distopico, bensì immerso nella realtà. All’interno di ogni piccolo contenitore, il labirinto del vissuto individuale e collettivo sembra essere in connessione, sempre e comunque: una relazione agente e dinamica che ha uno scopo ben ricercabile.  

Infatti, il fine ultimo si concilia con l’idea originaria di rendere possibile e plausibile l’illusione di rivivere, in opere minimali, una realtà visiva capace di testimoniare associazioni di visioni partorite dalla fantasia stessa di chi le guarda.

Le opere di La Chigi rappresentano il risultato di una complessa idea, quella di manifestare un mondo in cui, ogni oggetto, assume una funzione ontologicamente diversa dal suo consueto utilizzo e fruizione.  

Il suo significato d’uso originario, a questo punto, diviene un riferimento immoto sullo sfondo di una nuova armonia visuale, manifesta e appariscente, questa sì, reale, seppur partorita dalla fantasia creativa dell’artista, nel miracolo di una nuova quanto meravigliosa esistenza.












"Destino" Serie Janas 2020 







Ciao Chiara e benvenuta su L’ArteCheMiPiace.



Raccontaci innanzitutto della scelta del tuo nome d’arte La Chigi. Come nasce?

Amo molto giocare con le parole e col linguaggio. Il mio nome d’arte è proprio un gioco linguistico.

E’ infatti una crasi, cioè l’unione, del mio nome e del mio cognome, preceduto dall’articolo. Questa doppia componente, potremmo dire, è visibile anche nella mia firma, che si sviluppa a partire dal mio monogramma. Un modo per essere ancora più me stessa, al riparo da omonimie.










"Gli amanti, la strada" Serie Janas 2020



Tornando indietro alla genesi del tuo percorso, quando inizia la tua passione per l’arte?

La passione per l'arte inizia durante gli anni del liceo, vedendo sui libri di scuola minuscole riproduzioni - indimenticabili quelle di opere di Tiziano (ultimo periodo), Zurbaran, Bosch e Goya - e poi in viaggio d’istruzione le opere di Grünewald nella chiesa di Colmar e la cappella degli Scrovegni a Padova.

Durante il mio primo viaggio a Trento, la città dove ora vivo, prima dell’inizio del mio percorso universitario ho poi incontrato l’Amalassunta di Licini nelle sale del Mart ed è stato amore. Durante gli anni universitari, in Lettere moderne a indirizzo storico-artistico, ho continuato a studiare storia dell’arte e a frequentare anche per ragioni di studio il Mart, il museo d’arte contemporanea di Trento e Rovereto, durante la direzione di Gabriella Belli. L'idea di diventare artista è nata negli anni duemila, in questo contesto.

L'interesse per il contemporaneo è diventato sempre più forte con un corso universitario tenuto dal professor Roberto Pinto e soprattutto grazie alle costanti visite alla Galleria Civica di Trento, dalla direzione di Fabio Cavallucci, che ha portato in città artisti internazionali e Manifesta 7. Ho potuto così conoscere il lavoro di importantissimi contemporanei che utilizzano medium e linguaggi differenti, di scriverne e poi anche di collaborare a un progetto con i Superflex.



Illuminazioni - Serie Janas - 2020




Quali artisti contemporanei hanno maggiormente influenzato il tuo lavoro?

Sicuramente l'arte delle neoavanguardie del Novecento: Duchamp e il movimento DADA per l’idea di ready-made in primis ma anche il surrealismo e poi l’arte concettuale. Infatti trasformo una scatola, meglio se di pesce, in una piccola casa/mondo, con oggetti che spesso sono trovati. Surrealista è invece l’utilizzo di oggetti concepiti espressamente per altre funzioni e quindi collocati in scatoletta che creano scenari un po’ surreali e onirici attraverso associazioni metaforiche e analogiche. L’aspetto concettuale emerge nei titoli che chiamano in causa lo spettatore. Il procedimento stesso alla base della trasformazione della scatoletta in Casa è una rilettura dello spazio in chiave concettuale: lo spazio ristretto e chiuso di un oggetto, nato per “ospitare” del cibo, è diventato, in un gioco di ossimori, Casa, piccola ma della “giusta” misura, aperta agli sguardi e finestra tra il mondo degli altri e il mio. Il limite è diventato possibilità prima mentale e poi fisica per creare condomini di storie, nuovi modi per trovarsi e nuovi mondi per noi.

Amo poi moltissimo il lavoro di Maurizio Cattelan e di Marina Abrambovich, il primo per la sua caustica ironia e la seconda per la capacità di entrare in relazione profonda con lo spettatore. Poterla incontrare, durante “512” alla Serpentine Gallery di Londra, ed "entrare" nel suo lavoro è stata una delle esperienze più forti della mia vita.








"Distanziamento" Installazione 2022



Tra le diverse esperienze artistiche avute quale ti rende più orgogliosa?

Direi la prossima proprio perché sono in costante ricerca!

Sono molto legata ad alcuni progetti di arte relazionale perché mi hanno permesso di mettermi in ascolto di altre persone e di lavorare con loro alla costruzione di qualcosa di nuovo, in particolare quello realizzato con 14 signore di un Centro Anziani di Trento, città in cui attualmente vivo. Abbiamo ricamato insieme per un anno la parola “distanziamento”, superando così l'isolamento e il distanziamento imposto dalla pandemia, creando su dei fazzoletti un enorme arcobaleno (3,5 m) di unione e di speranza. Senza conoscerci, abbiamo lavorato insieme per creare qualcosa che c'era, un nuovo tessuto per una nuova comunità.

Ancora più di recente ho lavorato a una mostra in un rifugio antiaereo, soprannominato Bunker, mettendo le mie opere in dialogo con lo spazio e coinvolgendo la cittadinanza per fare memoria del periodo pandemico appena trascorso.








"A riveder le stelle" Serie Janas 2020



E quali sono le tematiche che maggiormente affronti attraverso il tuo lavoro?

Lavoro sulle relazioni tra le persone, tra loro e con il loro spazio domestico, e i limiti e le possibilità del linguaggio e quindi della comunicazione. Mi affascina l’essere umano, con le sue contraddizioni. Osservo i problemi del nostro presente e il modo in cui vengono raccontati e il modo in cui agiamo e lo rappresento. Con il linguaggio creiamo mondi, ponti o barriere e prigioni. Rifletto quindi molto sulle parole, creando dei giochi linguistici con esse, ad esempio per i titoli delle mie mostre o per gli stessi titoli delle mie opere sono una parte fondamentale del mio lavoro e una chiave di lettura per capirlo.

L’arte deve aumentare la nostra consapevolezza sul presente, permetterci di capirlo meglio, magari guardandolo da una prospettiva differente, e allo stesso tempo darci futuro, farci fare bagni di realtà e allo stesso tempo darci ancore di sogno e di libertà.

L’arte deve stimolare riflessioni. Per questo nelle mie opere ci sono riferimenti anche scomodi alla violenza domestica, all'ecologismo, al genere e alle relazioni.










"Adorazione" Serie Janas 2020



Come e quando è nato il tuo interesse per il ready made?

Da quando ho ricordi gioco con gli oggetti, in particolare quelli piccoli che, per le loro dimensioni ridotte, vengono continuamente persi - perché che parlano di noi.

Io ho sempre camminato guardando a terra e raccogliendo parti di vite altrui e pezzi di memoria. Sono sorprese, regali inaspettati, da risignificare e inserire in nuovi contesti. Sono una cercatrice di storie.

La realtà, fatta di oggetti, per me è costituita da una serie di “rompicapi” da risolvere - come quei viaggi nei mercatini alla scoperta di oggetti dalla funzione ignota -, misteri da svelare e connessioni da trovare per trovarsi. Usare gli oggetti con la pratica del ready made è un un modo per riappropriarsene, per diventare padroni, smettendo di esserne solo fruitori.

Mi piace giocare con i “limiti” degli oggetti, con la loro fisicità e utilità/uso e anche con le loro potenzialità. Penso alle mie opere come dei puzzle, in cui tutti i pezzi – gli oggetti – si devono incastrare e possono farlo solo in un modo per creare quello che è il mio progetto.

Sono molto affascinata dagli oggetti di uso comune, in primo luogo le scatolette di pesce. Mi piace sovvertirne l'uso, lasciarmi condurre e suggestionare dalla loro forma e dal loro colore. Nel mio progetto sulla distruzione dell'ambiente, ad esempio, ho infatti usato dei contenitori circolari che dovevano simboleggiare il mondo con la loro forma e di colore rosso a rappresentare la situazione di pericolo e di allarme che stiamo vivendo (serie C'era una volta, 2021); in un altro caso la grafica del coperchio richiamava un'atmosfera sognante da mettere a contrasto col contenuto molto cupo del contenitore (Different seasons, 2021).

"C'era una vola un bosco... Brucio di te" Serie C'era una volta 2021




"C'era una volta una città. Tornare (al) mare. Venezia" Serie C'era una volta 2021




"C'era una volta... una foresta. Aerei estremismi. Vaia" Serie C'era una volta 2021




"C'era una volta... un prato. Isola (dis)ecologica. La terra dei fuochi" Serie C'era una volta 2021




"C'era una volta... la Natura" Serie C'era una volta 2021




"C'era una volta... un orso. (In)naturale. Scioglievolezza" Serie C'era una volta 2021




"C'era una volta... l'ape. Impollinazioni mancate" Serie C'era una volta 2021





Perché tra tutte le tecniche hai scelto di esprimerti attraverso delle piccole installazioni?

Conosco il mondo attraverso il tatto. Le mie opere devono quindi essere materiche, mescolare tecniche diverse e dialogare con lo spazio, diventando oggetti parlanti.

Il collage e l’assemblaggio sono tecniche materiche e solo apparentemente “veloci”. Infatti il processo di realizzazione delle mie opere è molto lento, proprio perché in primo luogo parto da materiale di recupero, che quindi è stato raccolto in tempi lunghi, e che manipolo a partire da suggestioni di tipo analogico, libere associazioni e metafore, ma poi i livelli dell’opera sono molteplici, senza dimenticare quello del titolo.








Serie Piccola farmacia portatile 2020



Da dove trai l’ispirazione delle tue opere?

Mi affascina l’essere umano, con le sue contraddizioni. La mia arte è frutto, ma non specchio, di noi e del nostro tempo. Vivo nel nostro presente, con le sue contraddizioni. Osservo i problemi del nostro mondo, il modo in cui vengono raccontati dai massmedia e il modo in cui li affrontiamo, la distanza tra il dire e il fare. In questo senso le mie opere sono reattive alle nostre contraddizioni ma non sono semplici documentazioni del nostro presente.

L’arte deve aumentare la nostra consapevolezza sul presente, permetterci di capirlo meglio, cambiando prospettiva, e allo stesso tempo darci futuro, farci fare bagni di realtà e allo stesso tempo darci ancore di sogno e di libertà, insomma un futuro. Per questo l'ironia e il gioco sono fondamentali come anche le dimensioni ridotte delle mie opere. Permettono di avvicinare lo spettatore, di fargli abbassare le difese con un sorriso o con sorpresa e meraviglia, attirandolo con i dettagli, i materiali e i colori vivaci. Creano una dissonanza fertile: dal sorriso si passa alla riflessione, spesso amara, come nell’umorismo di Pirandello.









"Vanitas" Serie Casa di bambola 2022


La scelta di utilizzare in modo esclusivo delle scatolette di latta riciclate ha un suo significato? Cosa simbolizzano?

Le scatole - in particolare quelle di latta ma non solo - sono dei contenitori affascinanti, onirici e aperti alle possibilità e al racconto di noi e del nostro mondo. La scatola di sardine era – ed è – però per me il contenitore perfetto per essere metafora della nostra Casa interiore. E' facilmente reperibile, economica, interessante per il tipo di materiale, per la sinuosità della sua forma e perfetta per ragionare sullo scarto in termini concettuali. E' inoltre un oggetto che si butta e non si riutilizza. Vincola inoltre in maniera molto forte perché le sue dimensioni sono estremamente ridotte. E' necessario quindi lavorare prima per rovesciamento e risignificazione, poi per sottrazione e sintesi. Una scatola vuota e aperta è un vero ossimoro.

Inoltre la scatoletta di pesce nasce per contenere il cibo per il corpo e io in essa ho creato cibo per la nostra anima e le nostre menti. Era il contenitore ideale da risignificare, da cui partire per parlare dei nostri bisogni più profondi che non sono semplicemente materiali. Già nella scatola-contenitore vuota c'è quindi la perfetta sintesi del mio lavoro che unisce dadaismo, surrealismo e arte concettuale creando uno spazio allo stesso tempo intimo e collettivo.









"Iocus2" Serie Casa di bambola 2022



Ci racconti il processo che porta alla loro creazione?

L’opera è sempre il frutto di un concetto, un messaggio chiaro da trasmettere, e quindi di una progettazione preliminare. A volte è un materiale “comune”, un object trouvés o un materiale magari di uso industriale o usato in altri contesti, che mi fornisce la suggestione iniziale da cui partire per l’assemblaggio, più spesso l’osservazione delle discrepanze e delle zone d’ombra della realtà. Di solito sviluppo i miei progetti per serie per meglio restituire la complessità e le mille sfaccettature della realtà.

Attorno al concetto, “materializzo” mentalmente i materiali che dovrò utilizzare - e quindi ricercare o creare ex novo - e che mi permetteranno in maniera metaforica di esprimere il mio pensiero. E’ un procedimento lungo perché lavoro stratificando materiali e soprattutto significati, unendo alla componente concettuale il ready-made del dadaismo e l’effetto di straniamento del surrealismo. Inoltre siccome il procedimento dell’assemblaggio avviene con, per quanto più possibile, materiale di recupero, a partire da suggestioni di tipo analogico, libere associazioni e metafore, serve il materiale “giusto”.

I livelli dell’opera sono quindi molteplici: oltre al contenitore - che è allo stesso tempo contenuto -, oltre al dialogo tra oggetti e tra oggetti e personaggi c’è anche uno sfondo che non è solo ambientazione, ma comprimario. Si aggiunge poi l’ulteriore livello del titolo, che aiuta a capire l’opera e in alcuni casi ne offre una rilettura. Le opere sono quindi una sintesi di concetto e materiali a più livelli.

Per le opere più grandi faccio schizzi, ma quando già vedo, in  maniera chiara, nella mia mente l’opera ad uno stadio avanzato. Lo schizzo mi permette di riflettere su eventuali modifiche di materiali o su variazioni di proporzioni.  A seconda del progetto, in questa fase, l’opera è già completa: deve “solo” essere realizzata.

Quest’ultimo aspetto è spesso il più “difficile”: siccome l’opera per me esiste già, a volte perdo l’interesse a darle forma fisica, come un rompicapo già risolto.


"(Ri)nascere" Serie Janas 2020



Qual è il tuo criterio di scelta degli oggetti da utilizzare? Ci spieghi il loro scopo concettuale?

Gli oggetti parlano di noi e del nostro tempo, sono parte integrante della nostra quotidianità.

Uso spesso materiali di recupero perché lo scarto è per me occasione e motore d'arte. E’ allo stesso tempo una scelta ecologica e polemica nei confronti della società e dei suoi (dis)valori dominanti, alla ricerca di nuova autenticità.

L'uso di oggetti e materiali non artistici mi permette di operare uno scarto anche concettuale, ironico e giocoso rispetto al loro utilizzo e alla loro funzione. Attraverso la simbolizzazione metaforica, creo dissociazioni cognitive che costringono a nuove associazioni e riflessioni, ampliate dal contributo del titolo. Un lucido invito al gioco e a mettersi in discussione cambiando punto di vista.



"Controllo sociale. Resilienza" Serie Janas 2020




Con le tue installazioni cerchi di andare oltre, proponendo al fruitore sempre nuovi stimoli esperienzali. Qual è il messaggio principale che cerchi di trasmettere?

Le mie opere presentano “ostacoli”, fisici oltre che cognitivi, nella loro apparente semplicità. In primo luogo non possono essere viste da lontano: è la loro forza e allo stesso il loro limite. Il fruitore si deve necessariamente avvicinare ad esse. Deve compiere quindi prima di tutto un’azione fisica prima che mentale. Deve scegliere di avvicinarsi o meno, di entrare nel mio mondo che sarà anche il suo, nel momento in cui nelle mie opere riconoscerà gli oggetti che ci circondano e in parte ci definiscono. In un certo senso è come se quindi per vedere le mie opere dovesse superare la distanza prossimale, superare una certa diffidenza e distanza, entrare in confidenza per ascoltare e specchiarsi nelle storie. Deve però anche essere disponibile a investire del tempo, quel tempo per le relazioni e la riflessione che non solito non siamo disposti a concedere e concedersi.


"Modello, modelle" Serie Janas 2020



Come si aggiorna e come si esprime progressivamente la creatività nel tuo lavoro?

Prendo appunti continuamente, visiono mostre e cerco di incontrare artisti e persone, leggo e studio e cerco di coltivare l’attenzione. Sono un’onnivora e una divoratrice compulsiva di arte e vita. Il contatto con gli altri è indispensabile per elaborare nuovi lavori e nuovi progetti. Mi lascio poi affascinare dagli oggetti e dai materiali. E’ un continuo esercizio che serve a vedere meglio la realtà e a sviluppare nuove “sinapsi” emotive e nuovi collegamenti tra le cose. 

Ora, però, il ritorno ai ritmi veloci pre-pandemia mi sembra molto distraente e sto cercando spesso l’autenticità della natura e i suoi materiali, da intergrare tra i “nostri” materiali, per una nuova cura. Quella che forse manca a tutti noi per vivere pienamente nel presente e nel futuro.


"Fede" Serie Janas 2020



Quali saranno le tue prossime iniziative artistiche?

Avrò a brevissimo la possibilità di esporre i miei lavori in un luogo estremamente interessante e ricco di storia: a Brescia, in un ex rifugio antiaereo, soprannominato dagli abitanti del quartiere “bunker”, e che oggi è un attivo spazio culturale, noto come “Bunkervik”. Qui le mie opere dialogheranno con lo spazio e con il quartiere, in una dialettica tra passato-presente, interno-esterno, individuo-collettività nel tentativo di fare memoria insieme di quanto accaduto in questi anni. Esporrò in una nuova forma le opere della serie di Janas, la serie dedicata alle Case interiori, mettendole in dialogo con lo spazio e con altre opere, in particolare con due opere di arte relazionale, “Distanziamento”, realizzata durante il secondo lockdown, lungo ricamo di 3 metri e mezzo, con 14 signore del Centro servizio anziani “Contrada larga" di Trento, e “Memorie d’istanti”, realizzata con alcuni utenti del Centro Diurno “Odorici” di Brescia e costituita da una serie di cartoline dedicate a chi più è mancato e un lavoro di rappresentazione simbolica dei sentimenti attraverso il corpo, un modo più intenso e forte per parlare di emozioni.  

Mi attendono poi alcune collettive, sia in Italia che all’estero, e la conclusione di un altro progetto di arte relazionale, realizzato con alcuni detenuti della Casa circondariale di Trento.  



"Initium" Serie casa di bambola 2022










Contatti dell’artista 


Sito Web www.lachigi.it

Email la.chigi.art@gmail.com

Facebook la.chigi.art

Instagram La Chigi


















La Chigi

Nata a Bassano del Grappa (VI), vive e lavora a Trento. Laureata in Lettere ad indirizzo storico-artistico (Trento), lavora attraverso installazioni e ready made con materiali non convenzionali e “objets trouvès” sul linguaggio e sulla Casa, spazio fisico e luogo dell’anima.

Le sue opere sono state esposte in mostre collettive, nazionali e internazionali, e personali in spazi pubblici e privati in Italia e all’estero tra cui la mostra dei finalisti di “ArtKeys prize” (2022 e 2020) ad Agropoli, “Ridefinire il gioiello” (2022) a Casalmaggiore (CR), il festival DeSidera (2021) a Trieste, i progetti curatoriali  “Mediterraneo. La società del rischio”, BACS, Leffe (BG), a cura di Patrizia Bonardi e “What does indifference mean?”, Casa Natale Antonio Gramsci, Ales (OR), a cura di Margaret Sgarra, “Human rights?” a Rovereto (2022-2020) e Pride by your side 2021 a Roma (2021), la bipersonale “Trame” a Circuiti dinamici, Milano (2023) in quanto vincitrice di “CIRCUITI CONDIVISI – nuovi punti di vista DINAMICI” (2022) e le personali “Questa stanza non ha più pareti”, Lazzaretto di Cagliari (CA) (2021), a cura della Galleria Siotto,  “Distanze” alla Galleria Contempo, Pergine Valsugana (TN) (2020) e “Altrove” presso la Regione T.A.A. (2020).

Fanno parte di collezioni pubbliche e private in Italia, tra cui quelle del Museo Andriollo (Borgo Valsugana TN) e della Regione Trentino Alto-Adige e sono state pubblicate su cataloghi tra cui lo special issue Covid19 della No Name Collective Gallery.
































 




©L’ArteCheMiPiace - Blog Arte e Cultura di Giuseppina Irene Groccia 









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