Rinascere attraverso l'arte Il viaggio di Adriana Finazzi
Rinascere attraverso l'arte
Il viaggio di Adriana Finazzi
di Giuseppina Irene Groccia |20|Marzo|2025|
Adriana Finazzi è una figura poliedrica che, nonostante il lungo percorso tortuoso della vita, ha trovato nella pittura la propria autentica espressione artistica. La sua biografia, segnata da sfide personali significative – tra cui un grave incidente che ha cambiato irreversibilmente la sua vita – è testimonianza di una resilienza fuori dal comune. Questa forza di volontà si riflette anche nella sua evoluzione come artista.
Per Adriana, l'arte è un processo di trasformazione, un viaggio che non riguarda solo il perfezionamento tecnico, ma anche la metamorfosi dell'animo umano. La sua pittura non cattura la realtà, ma diventa un mezzo di trasfigurazione, un atto in grado di elevare l’essere umano e di dare una nuova vita ai sentimenti e alle esperienze. La sua è una ricerca che non si ferma alla superficie estetica, ma si spinge verso un'indagine più intima, un desiderio di comprendere la complessità dell'anima, soprattutto quella femminile. Nei suoi quadri, i volti delle donne emergono come simboli di storie segrete, intrise di significato e intenzioni che solo l’artista è capace di svelare. Non si tratta semplicemente di immagini, ma di vere e proprie voci, che comunicano emozioni, verità e messaggi nascosti, dando vita a un linguaggio che attraversa la materia stessa dei colori e delle forme.
La sua visione artistica è camaleontica, sempre in evoluzione, e le sue opere sono frutto di un'‘onnivora’ curiosità stilistica, che abbraccia diverse tecniche a seconda dell’espressione che vuole raggiungere. Questo approccio fluido, che non si ferma ad una sola forma d'arte, riflette una continua ricerca e un impegno nel perfezionamento che va oltre la sola esecuzione tecnica, e si spinge verso una interazione più sentita con il suo pubblico.
Adriana ha vissuto una vera e propria rinascita artistica, e la consapevolezza di essere un'artista non le è stata data dall'esterno, ma nasce dal suo stesso riconoscimento del valore della propria arte. Per lei, l'artista è colui che crea senza utilità pratica, ma con il puro intento di comunicare attraverso l’opera. E in questo viaggio, in cui l’arte diventa anche una forma di cura e di recupero del sé, Adriana Finazzi ha trovato la sua vera identità. La sua arte è una testimonianza di trasformazione, di lotta e di speranza.

In questa intervista, Adriana Finazzi ci racconta il suo straordinario percorso di trasformazione personale e artistica, svelando come la pittura sia diventata per lei non solo un atto creativo, ma un mezzo di riscatto e di profonda connessione con l’animo umano.
Puoi raccontarci come hai iniziato il tuo percorso artistico? C'è
stato un momento o un evento particolare che ti ha spinto verso l'arte?
Sono sempre stata attratta dal mondo artistico, seguivo
corsi d’acquerello, partecipavo a mostre, andavo a conferenze, ma il mio
avvicinarmi all’Arte fu dovuto ad una città – Firenze - e ad una persona in
particolare che mi ha insegnato prima a dipingere e poi mi ha chiamato artista,
dicendomi tu Adriana non sei una restauratrice – ero giunta a Firenze
per seguire una triennale di restauro, nella quale ebbi subito grandi problemi
fisici – sei un’artista.
Fu quello l’inizio perché è stato per me come un
Battesimo. Da allora io stessa mi sono vista tale ed ho pensato che per essere
artisti non bisogna sia un critico od un gallerista a dirlo, basta anche una
persona che sappia cosa dice ed abbia la competenza per farlo.
Si tratta di quella che era la mia insegnante di
disegno, Martina, in arte Marti. Ed è la persona a cui devo la consapevolezza
della mia ignorata capacità e della volontà, che da allora provo, di poter
rendere la mia vita un’esistenza in cui io possa parlare non solo con le parole
scritte, ma anche con le immagini viste.
Vorrei a questo punto trattare dell’argomento: chi
può definirti artista? Sono gli altri che devono dirtelo o sei tu stesso che
devi avere questa coscienza?
Questa è la mia risposta: Io credo che chiunque
produca un’opera creata con le proprie mani, che sia per puro piacere estetico
e non sia utile per un’attività (altrimenti si chiamerebbe artigiano), egli per
me è un’artista o un artista.
L’artista deve avere una propria
consapevolezza in questo senso, non ha bisogno che glielo dica un critico. E
se mi si chiedessi quindi chiunque può esserlo? Dipende da quale è l’Arte
che porti avanti e quali sono le persone a cui ti rivolgi. Credo che per
vendere un’opera d’Arte ad un intenditore o ad un collezionista si debba avere
delle analisi critiche di un certo calibro. Ma se si intercetta chi ha piacere
di spendere soldi per avere una tua opera d’Arte, ecco l’artista autore ha
ricevuto già il guadagno e non necessitano di questi passaggi formali. L’artista
per me deve avere la consapevolezza di esserlo (un pittore, come un cantante,
come un musicista, come uno scrittore…) L’Arte è la grande madre che ingloba
molti, tanti e costoro devono sentirsi sotto la Sua ala.
Qual è il tema o il messaggio principale che cerchi di comunicare
attraverso le tue opere?
La mia cifra artistica è l’Uomo.
Pur essendo consapevole del fatto che
l’uomo abbia anche lati negativi e violenti e beceri, non ripresento questo
nelle mie opere d’Arte perché l’Arte per me non è la rappresentazione della
realtà – anche di quella crudele ed umana e violenta – ma Essa ha una forza in
grado di trasfigurare l’uomo, trasformandolo.
In verità la Metamorfosi dell’animo umano è
possibile alla scrittura, che può parlare con potenti megafoni al cuore degli
uomini, ma la sorella minore della scrittura è la pittura che impara a fare lo
stesso da chi c’è da più tempo (la voce arriva prima in ogni essere umano,
sicuramente prima del disegno, e la mia scrittura Parla).
Quindi pongo nelle mie opere volti umani,
soprattutto di donne, di cui voglio far risaltare un preciso intento voluto
dall’autore originale o che ha colpito me in modo personale. Quando porrò le
immagini delle mie opere scriverò anche quale è il messaggio o la particolarità
di ognuna.
Io sono
un’artista che investiga le emozioni visibili nei volti, soprattutto negli
occhi, o nei gesti e che le ripresenta
comunicandole, spero, allo spettatore.
Come descriveresti il tuo stile artistico e come si è evoluto nel
corso del tempo?
È una domanda ostica perché non saprei cosa rispondere.
Forse posso dire che mi sembra di non avere uno stile mio definito e
determinato, sempre uguale, ma cambia in base a ciò che eseguo.
Posso dire che nelle opere già create da altri mi
sembra di adeguarmi all’artista in oggetto e con Modigliani so essere decisa e
materica, con Delacroix, negli acquerelli, so essere delicata e soffusa, con
Ligabue so essere alla ricerca della sfumatura giusta, con Turner so essere
velata come la lontananza…
Ma anche nelle opere mie, che però creo su ispirazione
di altri o altro, mi atteggio allo stesso modo: se voglio comunicare tenerezza,
scelgo strumenti e modi per realizzarla, affinché traspaia;
per esempio se voglio creare una Sacra famiglia in cui
sia lui a proteggere lei ed il Bambino farò lo sfondo scuro e lui si ergerà
dietro i due abbracciati – lei seduta che tiene in braccio il Bambino
guardandolo dormire, con un bastone per difendere ed una carezza per essere
vicino; se invece desidero comunicare la dolcezza del momento realizzerò un
acquerello delicato con gli stessi personaggi in una diversa situazione.
Il mio stile lo definirei camaleontico. Che si regola
in base a ciò che voglio esprimere (per questo io non uso solo una tecnica, ma
mi piace essere ‘onnivora’ e farne diverse) ed è sempre stato così, non si è
evoluto, se non nella bravura e nella velocità di esecuzione.
Hai iniziato riproducendo opere di altri artisti come una sorta di
“cartina tornasole” del tuo percorso. C'è stata un’opera in particolare che ha
segnato il passaggio dalla riproduzione alla creazione di qualcosa di
interamente tuo? E cosa ti ha spinto a fare questo salto?
Poiché nel giorno in cui ebbi il mio Battesimo da
artista, mi fu ventilata anche la possibilità di scrivere un libro sull’Arte
per i bambini, cominciò lì la gestazione di questo mio prodotto-infante-testo
unito al fatto che avrei voluto inserire anche opere mie (dipinte da me) che si
rifacessero ad un certo artista, che avrei trattato nel testo.
È questo il motivo per cui ho realizzato prima opere
del passato. Innanzitutto perché sono convinta sia da lì che si debba imparare,
dal Passato, e poi perché siccome dovevo trattare di un autore preciso, mi
lasciavo suggestionare da una sua opera o da più opere e amavo crearne anch’io
una copia non pedissequa o mutando strumento e supporto, o mutando espressione.
L’opera che rappresenta la prima mia rivisitazione su
larga scala di un’opera del passato fu su una di Blake.
Innanzitutto da precisare che io non riesco a dipingere
opere di altri, se prima non li conosco un po’ come persone e figure artistiche
o esistenziali. Mi ha aiutato anche il mio compito di informarmi per scrivere
il mio libro sull’Arte (per cui non mi sono basata su informazioni trovate in
Internet – anche se vi sono state occasioni in cui per scrivere a proposito ho
usato questa importante risorsa – ma facevo ricerche su molti testi e saggi).
In una di queste mie ricerche – l’argomento era William
Blake – di questo autore realizzai ad acquerello il particolare dell’opera Le
dieci vergini sagge e le dieci stolte che ben spiegava l’importanza che
Blake dava all’Arte come portatrice e svelatrice della religiosità vera e non
formale. In questi saggi, mi ritrovai di fronte ad un’opera ad acquerello e
china, dove vi erano due angeli che, con in pugno una lancia, erano
circonflessi su di una nuvola al cui interno vi erano parole inglesi
illeggibili ed incomprensibili; sopra di loro vi era un demone sul trono.
Tenni il soggetto degli angeli (anche se li feci
diversi per rappresentare l’intera Umanità) con le lance, tolsi il diavolo e
posi l’occhio di Dio che sempre ci osserva amorevolmente, posi all’interno
della nuvola una frase di mia invenzione: Sognare è vedere, allora sentire è
stringere, questo per indicare un principio in cui credo molto: se i sogni,
in quanto tali, devono essere effimeri, credo che, a volte, essi vengano
desiderati così tanto da diventare concreti, tanto da poterli toccare.
Realizzai quell’opera nell’aprile 2024 e si intitola Il sogno di Blake, la
realtà di Adfi e vi sono particolarmente legata perché fu la mia prima
opera personale (composta su ispirazione) ed ha un messaggio potente che mi
auguro si avveri per me e per chi sogna come me.
Il volto umano e l’anima racchiusa negli occhi sono il cuore della tua ricerca
artistica. Cosa cerchi di catturare nei tuoi ritratti? E c’è un volto che hai
dipinto che ti è rimasto particolarmente impresso per il legame emotivo che hai
instaurato con esso?
Nei
miei ritratti mi piace catturare e riportare sul supporto la quotidianità del
soggetto, mi piace riuscire a riprodurre il sentimento con cui si presenta a
me. Cerco la concentrazione se il soggetto è concentrato, l’abbandono se ha
goduto così tanto da abbandonarsi stanca, lo sguardo furbetto di chi lo è,
l’espressione attonita di chi cade da cavallo, la tranquillità di una donna che
cuce e si pulisce gli occhiali, la mestizia di una Madre che guarda il volto
del Figlio morto… Cerco di far rivivere i sentimenti che i soggetti
trasmettevano in origine o in una foto o in un’espressione o in un’opera
originale.
L’opera
a cui mi viene da pensare perché fu la prima che mi comunicò il piacere del
renderla esattamente così concentrata come sicuramente era ed è sempre visibile
ora allo spettatore, fu L’allegoria della pittura di Artemisia Gentileschi.
Anche perché ottenni quel risultato sola, nel maggio 2024, e ne fui
particolarmente soddisfatta. Inoltre, conoscendo la storia di Artemisia mi
rispecchiai tantissimo in lei perché le nostre storie personali sono molto
simili ed entrambe siamo state salvate dall’Arte.
Hai definito Firenze il luogo della tua "personale Epifania". Cosa ha
rappresentato per te questa città e in che modo ha trasformato il tuo approccio
all’arte, sia nella pittura che nella scrittura?
Firenze è stata per me una città magica per molti
motivi.
Primo: non mi sono mai perduta. Per me, a cui è
impossibile orientarsi minimamente, quella città ha permesso di avere sotto
mano in un’ora di strada tutto il possibile ed il desiderabile. Pochi punti di
riferimento e vie che avevano la stessa piccola conformazione, un fiume al
centro che divideva la città in due. È l’unico posto del mondo che abbia visto
in cui mi sentivo sicura e a casa.
Secondo: in ogni metro c’è un’opera d’Arte, anche nelle
strade, ricca di monumenti meravigliosi di statue visibili a tutti. L’unico
luogo che è un museo a cielo aperto, dove tutti possono distendersi osservando
la Bellezza e facendo solo quello: osservando.
Terzo: io lì ebbi i primi miei rudimenti di Arte. Da
usarsi con quel significato e non come svago o passatempo, come l’avevo fatta
fino ad allora (dal gennaio 2013 cominciai un corso d’acquerello, che seguo
tutt’ora), ma come una possibilità di esprimermi, molto prima di vendere e
guadagnare.
Mi furono insegnate la tecnica all’olio, la pittura con
la china, la sanguigna, il dipingere a pastelli (in modo più professionale
delle produzioni scolastiche con quello stesso strumento), approfondii meglio
la tecnica dell’acquerello. Insomma imparai e poi, tornata a casa nel luglio
2023, dopo un anno e mezzo, misi in pratica tutto ciò che avevo imparato
durante quel periodo.
Per quanto riguarda la mia scrittura posso dire che in
quel luogo fui estremamente ispirata e terminai molti testi incompleti, ne
cominciai uno sull’Arte che sto quasi terminando, mi mancherebbero le vite
degli artisti ed alcune sistemazioni del discorso testuale che riguarda alcuni
paragrafi. Firenze mi ha anche permesso anche di sviluppare maggiormente la mia
sensibilità artistica di scrittrice. La mia scrittura, e quel libro sull’Arte in
particolare, esula da qualunque forma esistente perché abbraccia più generi
letterari (saggistica, letteratura, psicologia, esistenzialismo, teologia,
pedagogia…) La mia scrittura è di un plurigenere non ancora concepito, che non
ha ancora nome. Un genere eclettico.
Quel testo sull’Arte non è un sussidiario. È di più,
molto di più.
Quali sono le principali fonti di ispirazione per il tuo lavoro?
Ci sono artisti, movimenti o esperienze personali che hanno influenzato
particolarmente la tua visione?
Il mio artista preferito è Caravaggio anche se mi
ispirano altri artisti e di Caravaggio ho realizzato opere, anche se non
tantissime, anzi posso dire che per ora sono pochi i dipinti caravaggeschi che
ho riprodotto. Io devo conoscere prima l’artista e poi me ne innamoro. Di
alcuni artisti ho solo realizzato l’opera per il mio libro e nulla più perché
mi ispirano poco o per niente. Quelli che invece hanno il mio favore sono
tanti. Non ne ho uno in particolare, sono eclettica.
Qual è il processo creativo che segui per realizzare le tue opere?
Ci sono tecniche o rituali a cui sei particolarmente affezionato?
Produco opere d’Arte in luoghi silenziosi o durante le
lezioni del corso di acquerello che frequento – dove tutti fanno ciò che faccio
anch’io e quindi non vi è confusione. Ho bisogno di un luogo ritirato, come per
la scrittura. Creo o in casa mia, o in un eremo vicino casa dove vi è tanta
pace, o a lezione. Non ho rituali fissi anche se sono metodica e quindi curo il
luogo in cui lavoro, cioè pulisco, dopo aver lavorato, lo spazio usato e mi
piace andare a letto senza stoviglie in giro o tavolozze e pennelli sporchi.
L’ordine e la pulizia (non esasperata, tendo a
precisarlo) mi da sicurezza e tranquillità.
Preferisci lavorare su tela in solitudine o trovi ispirazione
anche da contesti collettivi, come workshop o eventi d’arte?
Solitamente avviene questo: le informazioni che il
mondo esterno mi dà (siano essere mostre, immagini da libri, eventi o persone)
rappresentano essere la mia ispirazione, che poi devo creare sola, magari col
consiglio di una maestra, oppure a lezione con altre persone, però devo essere
sola e nessuno – nemmeno la mia o il mio insegnante – deve fare per me. Io devo
capire e poi fare come ho inteso o come riesco.
Sono aperta anche ai consigli di altri colleghi, ma
dipende come mi vengono rivolti: se tu sei saccente ed arrogante, io ti butto
istantaneamente nel limbo più lontano da me.
Come vivi il rapporto tra l'arte e il pubblico? In che modo il
feedback o le reazioni delle persone influenzano il tuo lavoro?
Forse ho già risposto, ma sarò più precisa: per me il
confronto con gli spettatori è importante, purché non si pensi che io sia
un’artista che riproduce le sue opere in serie o a comando.
Preciso: se utopicamente una persona mi dicesse vorrei
questa tua opera, visibile in questa fotografia, se l’avessi già venduta
potrei proporle di farne un’altra che non sarà sicuramente identica, magari
approfondirò certi aspetti e non altri; in quel caso non accetterei che mi si
dica io volevo esattamente quella e non questa. Gli direi (ed è la
verità a cui credo molto) immagino che lei capisca che un’artista muta nel
tempo, come anche lei cambia, per cui non è possibile io riproduca manualmente
due opere identiche. Se la volesse l’ho realizzata per lei, ma se invece non la
desiderasse, non si preoccupi, troverò chi ha piacere ad averla.
Odio e sono molto critica con chi sputa con commenti
sarcastici o idioti – perché detti da chi non sa e non capisce cosa significa
creare dal nulla – sulla mia Arte. Apprezzo i consigli che devono essere fatti
con toni pacati; ma poiché siamo in un mondo violento, vi è la possibilità che
sui social – raramente di persona, chissà perché… - avanzino critiche becere ed
inconcludenti ed in quel caso finirebbero subito nel cestino.
Non sono disposta ad essere trattata come un fantoccio.
La mia Arte per me conta.
C'è un'opera, tra quelle che hai realizzato, che consideri
particolarmente significativa per te? Puoi raccontarci la sua storia?
Vi è un’opera che mi descrive pienamente per molti
motivi, non solo per la mia ‘bravura’ nell’eseguirla, non solo perché
affascinata dalle vicende accadute all’autore, non solo per il fatto che mi
rispecchia pienamente nella mia caratteristica più intima.
Ma per tutte queste cose insieme. È l’unica opera,
almeno per ora, che le ingloba tutte e tre.
La mia copia del Nudo seduto di Modigliani. Ora
spiegherò perché dà risposte a tutti i quesiti possibili e immaginabili.
Innanzitutto mi rispecchia perché per me è sempre stata
importante la fisicità e questa donna non rappresenta solo un nudo, ma è colei
che sembra aver goduto molto ed essere ora pienamente appagata. Modigliani non
ha indicato questo messaggio attraverso scene erotiche palesi, qui si vede solo
il seno (che nella mia opera è meno pronunciato di quello originale, perché io
non sono per niente dotata in quel senso) e neanche il pube, ma vi è quella
ciocca che morbidamente si abbandona sul seno, che a me personalmente ha
colpito molto. È estremamente sensuale, a mio parere. Inoltre, da precisare che
quella donna mi rispecchia perché oltre al mio piccolo seno, possiede anche un
collo piuttosto rosato. Questo perché io, quando sono eccitata o emozionata
capita sovente che vi siano parti del mio corpo (solitamente il collo) che
diventino di quello stesso colore. Indi per cui mi rispecchio in quella donna.
Poi perché, informatami, sia leggendo saggi e testi,
sia ascoltando un podcast avente Modigliani come oggetto, sono rimasta
affascinata da questo autore, che fu il primo che scrissi degli artisti
moderni, nel febbraio 2024. Quindi lo conoscevo bene, cioè più che
nozionisticamente si era instaurata tra noi una perfetta empatia, e, vedendo
questa immagine di uno dei suoi molti nudi, me ne innamorai.
Infine nel realizzarla misi in campo una tecnica della
pittura ad olio che non avevo mai fatto – la sperimentai da sola sul campo – e
che da allora ho provato ed usato più volte. Realizzai il corpo di lei con la
spatola, mentre tutto il resto (sfondo, capelli, poltrona) lo realizzai in un
giorno solo – dopo aver fatto asciugare il corpo – con il pennello.
Fu la prima opera d’Arte che mi fece capire di poter
realizzare qualunque cosa nella pittura. Mi rese Onnipotente e mi fece sentire
di aver varcato una soglia.
Come vedi il ruolo dell’arte nella società contemporanea? Pensi
che il tuo lavoro contribuisca in qualche modo a questo ruolo?
Mi rifaccio a ciò che ho scritto prima, parlando di
cosa sia l’Arte per me, in cui ho detto che l’Arte (quella scritta in
particolare, ma anche quella suonata, dipinta, scolpita) è in grado di mutare
il cuore delle persone. Beh certo in un museo dove ci sono centinaia di opere
d’Arte non si ha la capacità – umanamente parlando – di prestare a tutte la stessa attenzione.
Forse sarebbe bello che le opere fossero divise in
raggruppamenti – come già sono, ma sono tutte insieme e non puoi capirle bene.
Magari più piccoli i luoghi e con meno opere? Più che gli auricolari che si
concentrano solo su nozioni cronologiche o nozionistiche sarebbe bello
prevedere 10 minuti all’inizio di quella precisa sezione in cui si possa
spiegare (può essere una persona aperta e disponibile a parlare in pubblico),
ciò che poi si vedrà, dando informazioni minime sull’ispirazione e sulla storia
di una o più opere. Ovviamente non si possono fare tutte, ma magari fermarsi su
una un giorno e poi un’altra un altro giorno (così almeno uno non si stanca a
ripetere sempre le stesse cose).
Inoltre le opere trecentesche hanno un’altra
ispirazione rispetto a quelle contemporanee (in questo caso l’autore potrebbe
essere ancora vivo e sarebbe bello intercettarlo o con domande scritte o con
video).
Questo per dire che l’Arte pittorica può parlare al
cuore, ma essendo difficile da intendere, chi è interessato è bene possa avere
qualche informazione in più, diverse da quelle che sentirà nella registrazione.
Chi non è interessato può non andarci, non è obbligatorio, ma si spera che
l’Arte possa sempre più parlare alle persone. Io credo molto in questo.
Le mie opere, per esempio anche quelle rivisitate,
hanno l’intento di parlare, che poi ci riescano sempre non è così scontato… In
un dialogo bisogna essere in due. Chi vede deve essere aperto; non tutti però
lo sono, come accade anche nella vita, ma se solo uno o due escono migliorati
da quella esperienza, ecco si è raggiunto lo scopo.
Sarebbe bello che le mie opere fossero fonte di
ispirazione per altri.
Quali sono le maggiori difficoltà che hai affrontato come artista
e come le hai superate?
Allora sarò sincera e le uniche mie difficoltà non sono
state quelle di creare opere d’Arte e nemmeno mi sono arrivate dal minimo
contatto col pubblico che ho avuto, ma sono nate nel momento in cui io ho
voluto mostrarle. I problemi non sono nati con gli spettatori, ma con i
responsabili dello spazio espositivo, attraverso atteggiamenti falsi ed
irrispettosi con mie opere d’Arte (più
di una volta mi hanno rovinato la chiusura posteriore del dipinto).
Non ho superato quelle difficoltà perché non ho potuto
parlare a voce con chi ha compiuto l’atto, capendo anche e soprattutto il
perché avessero fatto quell’azione; semplicemente io ora so che non vorrò più
averci a che fare. Questo è il mio modo di tutelarmi.
Spero non capitino più simili problemi.
Attualmente sei tra gli artisti selezionati per Everland Art – Percorsi di ricerca,
l’evento organizzato dall’associazione culturale Athenae Artis di Maria Di
Stasio, che si terrà dal 26 aprile al 3 maggio presso la Galleria d’Arte ‘IL
LEONE’. Cosa ti
ha spinto a partecipare a questa mostra e quali sono le tue aspettative
riguardo a questa esperienza? Quali aspetti pensi possano arricchire
il tuo percorso artistico e contribuire alla tua crescita creativa?
Ho partecipato casualmente a quest’evento, in quanto
mi sono ritrovata di fronte alla pubblicità di Everland Art sfogliando
le pagine di Instagram.
Le mie aspettative sono molto semplici: questa
sarebbe la prima mostra che affronterò sola, lontano da casa (in verità sarebbe
la seconda, in quanto l’ho avuta anche a Firenze, ma lì ero sicura di essere
come a casa, per questo la delusione è stata più cocente). Non vi nego che ho
molta paura a spostarmi sola e a giungere in un luogo così lontano (sono
bergamasca), ma voglio farlo perché - avendo io trovato un albergo nei paraggi
della galleria e non mi muoverò per niente al mondo, perché temo di perdermi –
sarebbe la prima occasione in cui io posso partecipare alla prima mostra
dall’inizio alla fine, mi si leggerà ed immagino mi si darà la mia recensione,
potrei vedere il luogo, le opere degli altri miei colleghi, anche come sta la
mia opera attorniata da quelle degli altri.
Non ho aspettative di crescita perché non vedo come
potrei conoscere qualcuno che poi cosa potrebbe darmi? Un complimento o un suo
giudizio o consiglio? Non ho né la competenza e né la fama per poter evitare di
essere nascosta, come invece sono.
L’unica mia esperienza di mostra ‘autonoma’ è stata a
Firenze e quella è stata un’occasione di buon vicinato e cortesia degli
amministratori che mi hanno parlato il minimo che serviva, per poi farmi capire
di essersi comportati con me con molta superficialità. Da allora so che il
mondo dell’Arte è difficile da iniziare, ma sono convinta che la mia umiltà
verrà apprezzata nel tempo.
In che modo hai deciso di presentare la tua arte all’interno di
questo percorso espositivo e quali opere hai scelto di esporre? Ci puoi
raccontare il processo creativo che ti ha guidato nella loro realizzazione e se
c’è un significato o un messaggio particolare che volevi trasmettere attraverso
di esse?
Dopo aver letto in Instagram il bando di questo evento
artistico, ho pensato se mi fossi sentita di partecipare in un luogo così
lontano. Mi dissi posso inviare solo le opere, come altre volte ho fatto…
Poi ho pensato di non privarmi di un’opportunità in una città tanto importante
ed ho deciso quindi di partecipare, anche fisicamente.
Successivamente pensai all’opera da portare e scelsi
quasi subito – ero indecisa se portare la mia rivisitazione di La tavola
calda di Hopper, ma ci rinunciai per disguidi vari - l’Annunciazione più
rivoluzionaria che io abbia mai visto. Si tratta dell’affresco che Jacopo
Carucci, in arte Pontormo, dipinse sulla parete d’ingresso nella Chiesa di
Santa Maria Felicita a Firenze.
È rivoluzionaria perché a differenza della tradizione che
vede l’angelo in alto con lo sguardo rivolto in basso, mentre Maria è con lo
sguardo alzato verso l’angelo; o tutt’al più i due personaggi sono sullo stesso
piano…
Qui ci troviamo in un altro ordine di cose: Maria in alto che
sale le scale, si ferma improvvisamente e si volta di scatto verso destra
perché richiamata dalla voce di qualcuno che la chiama…
Ecco l’Angelo che dal basso le dice Ave piena di grazia!
Il Signore è con te.
Nella chiesa fiorentina i due personaggi sono divisi da un
tabernacolo che qui non è stato ricreato, viene però ripresentata la stessa
posizione dei personaggi.
Usai nella pittura ad acquerelli di entrambi i personaggi dei
colori molto preziosi e che quindi si usano raramente: per il velo di Maria
usai per rendere il colore intenso e limpido e pregiato il color lapislazzulo,
mentre per realizzare le pieghe ed il tessuto della sua veste il color cinabro.
Lo stesso cinabro, molto più diluito lo usai
per completare la veste dell’Angelo.
Più che Maria – che fu una donna come me – e quindi umana,
volli creare l’Angelo con tratti del viso e degli arti evanescenti e non
definiti; come se non avesse forma e fosse solo luce.
Fui soddisfatta della mia opera.
Il messaggio che voglio comunicare è che la chiamata di
Dio ti coglie sempre alla sprovvista, avviene nella quotidianità, mentre stai
facendo o sei preoccupato da altre cose, non te lo aspetti mai.
Creai singolarmente le due opere in modo singolo a
distanza di un anno l’una dall’altra e da sei o sette mesi ho deciso di unirle;
in questo modo posso avvicinarmi maggiormente alla mia città preferita col
cuore.
Quali progetti o obiettivi hai per il futuro? Ci sono nuovi ambiti
o tematiche che vorresti esplorare?
È una domanda a cui non
penso, generalmente perché poi le ispirazioni non mancano e cerco sempre di
seguire quelle del momento.
Dal punto di vista della
pittura ho ancora 5 opere da terminare per il mio libro sull’Arte, più poi 2 o
3 per lavori autonomi. Dovrò fare quelle prima di dedicarmi ad altro.
Per ora non sento l’esigenza
di cambiare registro, anche perché non mi precludo alcuna tecnica, anche se non
ho mai provato, né voglio cominciare a farlo, l’acrilico, che è il cugino
povero dell’olio e preferisco impratichirmi con esso; per la precisione io non
uso olio in tubetto, ma miscelo l’olio con i pigmenti. Modo di procedere che ho
imparato ad usare nella scuola fiorentina di restauro, di cui ho seguito i
sette mesi del primo anno. So creare opere ad olio solo in questo modo, che mi
sembra sia il più raffinato.
Per questo non desidero
sperimentare altro, anche se sono aperta al nuovo. Ma la verità è che ho capito
che in tutte le tecniche che ho imparato, fondamentale è la pratica.
Quella non mancherà mai nella
mia vita.
Contatti
Email adri.finazzi@gmail.com
Instagram adfi_1978
Sono Adriana Finazzi, nacqui a
Seriate (BG) il 06 novembre 1978.
Ho sempre vissuto in campagna,
vivendo una vita semplice e quotidiana. Ho sempre desiderato essere
un’insegnante; infatti seguii la scuola magistrale ‘Paolina Secco Suardo’ dove mi
diplomai nel luglio 1996. Dopo aver fatto l’anno integrativo ed aver tentato a
Milano la frequenza dell’Università Statale per un anno ed un solo esame,
cominciai a lavorare in un asilo come insegnante.
Il 4 giugno 2000 accadde un
incidente molto grave che mi portò a vivere un periodo di coma di due mesi e
mezzo. Cominciai la riabilitazione (molte erano le mie fratture ed ebbi anche
un trauma cranico che mi lascerà per sempre una parlata ‘da cartoni animati’) e
mi ristabilii in parte, tant’è che volli cominciare ancora l’università, giunta
qui a Bergamo, dove mi laureai nella facoltà quinquennale di ‘Culture Moderne
Comparate’ il 21 marzo 2013.
Stetti 4 anni a vegetare nel limbo
della vita, finché nel novembre 2017 cominciai a lavorare nelle scuole elementari,
come insegnante di sostegno.
Non ero felice e volevo cambiare,
ne avevo bisogno e così decisi di andare a Firenze a seguire una scuola che ti
preparava al restauro della carta o delle pergamene.
Io, che ho sempre amato i libri,
non potevo compiere tutti i passaggi utili per diventare una restauratrice di
beni tanto preziosi quanto i libri, perché avevo dei seri problemi fisici.
Cominciai le lezioni il 12 gennaio
2022. Finii il primo anno a luglio e poi tornai da Bergamo a Firenze ad ottobre
per seguire però solo la lezione di disegno, aggiungendovene un’altra.
Rimasi 10 mesi (fino al 4 luglio
2023) facendo solo 8 ore di disegno la settimana, ma andavo in Biblioteca
Nazionale a scrivere e a leggere, facevo visite, passavo per le strade di
quella città, non uscivo la sera perché sola avevo paura e non volevo obbligare
persone a starmi appresso. Mi è sempre stata cara la mia autonomia.
Quell’anno e mezzo è il tempo più
importante che io abbia vissuto nella mia misera vita che rischiava di
procedere nella noiosità di una vita che non riconosci più come tua, ma che tu
stesso hai fatto diventare così.
Sono molto soddisfatta di aver
avuto il coraggio di buttarmi, nonostante tutti i pericoli ed i problemi
connessi.
Da allora SO DI ESSERE UN’ARTISTA.
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