La bellezza del corpo, la bellezza dell’anima. Viaggio nei meandri del proprio essere al mondo.

 L’ArteCheMiPiace - Divagazioni sull’arte 














La bellezza del corpo, la bellezza dell’anima. Viaggio nei meandri del proprio essere al mondo. 






di Michele Coccioli   |06|Ottobre |2023|





Tutti siamo in grado di riconoscere la bellezza di un corpo, pochi a saperne spiegarne le peculiarità. Sarà capitato anche a voi di ammirare la bellezza di un uomo quando state vedendo per esempio un film, ma all’esternazione dei relativi aggettivi ( bello, bellissimo, seducente, etc.) se qualcuno vi avesse chiesto perché quell’attore è bello avreste esordito con una smorfia ritenendo la domanda alquanto balorda. Le volte che mi è capitato di rivolgerla ad amici la risposta è stata sempre la stessa: non cominciare a rompere, tu sei un architetto, studi il bello e sei sempre alla ricerca del bello; per te è più facile darne una spiegazione. Potrebbe essere anche vero, ma non facciamo confusione tra il concetto di bellezza del corpo e il concetto di bellezza nell’architettura e nelle arti in genere. Sono sicuro che i colleghi architetti Nella Tarantino e Iaia Gagliani sarebbero d’accordo con me. 


Dell’argomento cercherò di coglierne le sfumature più intime molte delle quali toccano la sfere della felicità, dell’amore e della sessualità. A corredo del discorso mi è piaciuto selezionare alcuni ritratti che vanno dalle visioni urbane di  Patrizia Eichenberger e Nella Tarantino, ai self-portrait introspettivi di Valentina Picco, Nadia Enne Effe Frasson e Allegra Ferraris, ai campi ristretti di stampo cinematografico di Nelita Specchierla. Ma di meritevole troverete tanto altro ancora; penso di aver scelto gli autori migliori per inquadrare la tematica. I loro nomi li trovate in basso a sinistra delle foto, sono: Iaia Gagliani, Nadia Enne Effe Frasson, Patrizia Eichenberg, Angie Stergio, Michele Coccioli, Giuseppine Irene Groccia, Chiara Leone, Maria Elvira Mora, Barbara Cecchini, Ilaria Pisciottani, Anna Celani, Rocco Carnevale, Nelita Specchierla, Nella Tarantino, Roberta Marras, Allegra Ferraris e Valentina Picco.


Ciò premesso, iniziamo questo viaggio spero interessante.


Il corpo accompagna la nostra esistenza da quando siamo nati; sarebbe inesatto persino dire che abbiamo un corpo: noi siamo il nostro corpo. Non ci deve stupire pertanto lo stretto rapporto che esiste tra la bellezza di un corpo e il successo personale tanto che per alcuni può diventarne anche un’ossessione. L’ossessione a dire il vero era presente già nell’antichità anche se con qualche accezione. 


Siamo sinceri: se per strada o in ristorante ci troviamo ad ammirare una bella donna o un bell’uomo è perché siamo attirati dalla loro bellezza…. e basta; non pensiamo alle qualità morali, forse sarebbe anche giusto ma non è così specie ai giorni nostri. Se ci guardiamo intorno la bellezza ci appare secondo un attributo fisico bel distinto spogliata da ogni virtù ed anche dall’intelligenza: una sorta di disincanto privo di alcune peculiarità morali del passato che vedevano il corpo in contrapposizione con l’anima, la coscienza e la ragione. Il corpo era  addirittura indegno di un sodalizio tanto che gli amanti della saggezza e della verità ne facevano un principio di opacità e di errore da cui liberarsi. Allo stesso tempo però, parallelamente a questa maledizione, alla bellezza del corpo si attribuiva una promessa di immortalità, promessa che tutto sommato sopravvive ai nostri giorni.


A questo punto, avreste tutti i diritti di pensare che ridurre la bellezza a un fattore prevalentemente fisico sia un modo per svilirla togliendole quel valore nobile del passato. Vado per gradi e tornando al dualismo corpo-anima vorrei ricordare il dialogo che Platone dedica alle ultime ore di Socrate quando alla morte annunciata del filosofo innesta una forma di liberazione dalla malattia. Dopotutto se si accetta di collegare i desideri, le passioni e le malattie al corpo, esso rappresenta in gran parte un ostacolo verso gli ideali di pura bellezza, bontà e giustizia. Dal momento in cui ammettiamo che il corpo non è di per sé il suo principio vitale, che un’anima lo rende vivo, si pone la questione se io non sia autenticamente prima di tutto questo principio, se la mia identità o la mia essenza non si confondano con esso. Non sono forse un’anima unica, uno spirito singolare, prima di essere e di abitare questo corpo le cui funzioni essenziali di riproduzione sono anonime e involontarie?  Perché se io sono solo un corpo, la sua fine significa la scomparsa assoluta e definitiva del mio essere. Se al contrario posso pensare che un io sopravviva alla morte, tale io deve essere di natura diversa: indivisibile, incorruttibile, immortale. 


Come vedete Platone già considerava l’anima prigioniera della nostra fisicità, ma anche Tommaso Bruno era d’accordo su questo e nella sua città immaginaria “Utopia”  fa una sintesi di questo concetto di bellezza spingendosi oltre. Nella sua città immaginaria gli abitanti erano tenuti ad osservare scrupolosamente una regola: prima di sposarsi, l’uomo e la donna dovevano vedersi nudi, perché solo con l’accettazione dei propri corpi a confronto si poteva definitivamente eliminare ogni incertezza sulla scelta matrimoniale. Non dimentichiamo che siamo all’inizio del cinquecento quando le deformità fisiche e la bruttezza erano ancora considerate un segno di cattiveria e, dunque, una punizione divina che colpiva l’uomo e la donna in quanto malvagi. Rimane tuttavia da capire quali siano gli elementi che identificano la bellezza in quanto tale e se questa alla fine eserciti un’attrazione sessuale sull’individuo. 


Sul legame bellezza-sessualità è stato Charles Darwin a parlarne scientificamente sostenendo che nella specie animale siano le femmine a scegliersi i maschi più belli: una selezione naturale della specie, una scelta estetica che si basa sull’armonia delle forme e dei colori. 

A questo punto sorge spontanea la domanda: ma Freud non dice niente? Non si esprime? 

Vi sembrerà strano ma l’illustre psicoanalista ne ha parlato solo nei “Tre saggi sulla teoria sessuale” sostenendo che: l’idea del bello risiede nell’eccitazione sessuale e che il suo originario significato è quello di “sessualmente stimolante”. E volendo citare qualche  letterato, ricordo la frase di Shakespeare nella commedia “Come vi piace”: la bellezza tenta i ladri più che l’oro. La frase fa capire come la potenza della bellezza del corpo e il fascino che ne deriva sia superiore perfino allo stesso denaro. Non manca Stendhal che nella sua opera “De l’amour”  dice: La bellezza non è che la promessa della felicità.


Ma una donna bella può vedere bello un uomo brutto? 


E’ sempre Stendhal a esprimersi: di fronte all’amore, la bellezza è costretta a cedere il passo. Ma per quanto?! Fino alla durata dell’amore, subito dopo quell’uomo tornerà ad essere brutto. E’ proprio così: l’amore detronizza la bellezza a condizione che sia talmente grande da obliare la bruttezza di fatto insita nell’uomo amato.


Bellezza… bellezza… bellezza, ma esiste un modo scientifico per riconoscerla?

E se si, la bellezza ha carattere eterno? 


Ahimè però i tempi cambiano e cambia anche il concetto di bellezza; cercherò di fare una riflessione su questi argomenti cominciando da chi ha dato risposta al primo quesito: quello della dimostrazione scientifica della bellezza, della  possibilità di calcolarla matematicamente. 


Platone articola le prime riflessioni sul bello legandolo all’armonia e all’ordine subendo l’influenza del razionalismo pitagorico. I pitagorici vedono nel numero il principio primo fondante la realtà, l’ordine e l’armonia del cosmo.

Il bello, dunque, consiste nell’ordine matematico in grado di esprimere la simmetria visiva del cosmo nell’armonica unità composta da elementi contrari. I pitagorici dedicano ampio

spazio allo studio dell’armonia musicale poiché gli accordi musicali esprimono nel modo più evidente la natura dell’armonia universale e sono quindi assunti come modello di tutte le armonie dell’universo.

L’argomento fu ripreso nel corso degli anni da Schopenhauer arrivando alla conclusione che l’armonia è l’equilibrio dei contrari. Ma torniamo un attimo sulla scoperta di Pitagora nella musica.   


L’intuizione di Pitagora nasce in seguito alla costruzione di un

monocordo, uno strumento formato da una lunga cassa di risonanza nella quale è tesa una corda che a seconda del movimento di un ponticello metrico produce un determinato suono.

Questo strumento permise a Pitagora di comprendere come l'altezza di una nota sia proporzionale alla lunghezza della corda, e che gli intervalli fra le frequenze sonore diventano espressione di rapporti numerici. Perfezionando l’esperimento Pitagora ricava la prima unità di misura nell’ottava (1:2), afferma, inoltre, come la tensione delle corde imita la tensione dell’anima, sostenendo lo stretto legame tra musica e animo umano.


Si deve a lui la scoperta della scala diatonica musicale; sette delle

dodici note che compongono la scala cromatica, secondo la precisa successione di sette intervalli: cinque toni due semitoni.

La scala cromatica è invece una scala musicale composta da tutti e dodici i semitoni del sistema temperato, in cui il semitono è considerato l'intervallo minimo tra due note.


Beh, è abbastanza complicato; ci vorrebbe un buon musicista per capirlo.


Sulla scia della concezione pitagorica, ascoltate cosa scrive Platone: 


“Innanzitutto, qualcosa che è sempre, che né nasce e né perisce, né cresce e né decresce, e inoltre che non è in parte bello e in parte brutto, né a volte bello e a volte no, né bello rispetto a qualcosa e brutto rispetto ad un’altra, né bello in un certo luogo e brutto in un altro, in quanto bello per alcuni e brutto per altri; e né il bello si

mostrerà a lui sotto forma di un volto, neppure come delle mani, né come alcun’altra delle parti di cui il corpo partecipa, né come un discorso o come una scienza, né come qualcosa che è in qualcos’altro, ad esempio in un essere vivente, o in terra, oppure in

cielo, o in qualcos’altro, ma in se stesso, per se stesso, con se stesso, semplice, eterno”. (Platone, Simposio, 210e-211a). 


La conclusione di Platone apre nuove frontiere, fa coincidere l’idea del “bene” in sé con il “vero” e con il “bello” al vertice di una dimensione immutabile e perfetta oltre il mondo sensibile: in un mondo, appunto, ideale.


Scopriamo che la bellezza inizialmente era qualcosa di calcolabile, cosa che oggi, abituati all’idea romantica dell’arte, abbiamo difficoltà a comprendere. Il bello era oggettivo, basato sulla simmetria, sulla proporzione e sul numero, come è ancora oggi per la musica e per l’architettura. Nella musica c’è il massimo di rigore matematico e nello stesso tempo il massimo di pathos, per cui se manca il primo viene meno anche il secondo. Il modello pitagorico del bello oggettivo resiste fino al Rinascimento, dopo prende piede l’idea di gusto soggettivo. 


Ma chi stabilisce il gusto?

Il cinema, la televisione, la moda, i musei, la critica d’arte nascono appunto per stabilire il gusto estetico. Ma la bellezza è oltre il gusto personale, non è condizionata dal tempo che passa e ricordando Shakespeare ha sempre “tentato i ladri più che l’oro”. Non è la bellezza che cambia è il nostro modo di avvicinarci a essa, di pensarla, di valutarla, di utilizzarla.  


Può mai cambiare una verità? 

Una cosa vera, è vera ieri, oggi, domani, anche se, non per questo, ci appare subito vera. Dipende dalla nostra intelligenza, dalla nostra esperienza e conoscenza la possibilità di accedere alla verità. Proprio la bellezza fisica è testimone degli ideali morali e sociali nel corso del tempo accolti nei nostri schemi mentali. La Venere di Milo ha ancora oggi una bellezza così intensa che continua ad affascinarci: non è cambiato il modo di riconoscere ciò che è bello, è cambiato il rapporto che abbiamo con esso, il tipo di atteggiamento, l’uso sociale che facciamo della bellezza. 


Ma può la moda trasformare ciò che non è bello in bellezza? 


No, questo non sarà mai possibile. Come l’eleganza, tanto per intenderci: questa è un’espressione della bellezza, ma l’una non si può confondere con l’altra. In questo sono d’accordo con Baudelaire quando sostiene: il segreto è quello di distillare dalla moda ciò che essa può contenere di poetico, di estrarre l’eterno dall’effimero. Mi ero già espresso su questo concetto, non ho mai sopportato la posa costruita dei soggetti e quando ne ho avuta l’occasione mi sono tirato indietro.  


Col passare del tempo il conflitto tra naturale e artificiale è diventato sempre più profondo tanto da considerare la moda come una qualità vivente. Una giacca non può essere considerata una cosa morta appesa ad un armadio, per farsi apprezzare ha bisogno di rendere bella e seducente la donna, più seducente di come l’ha formata la natura. E per realizzare questo sogno dell’apparizione la donna va oltre il miglioramento del proprio look estetico, usa uno stratagemma: la modifica dei tratti essenziali del volto. La sfida alla natura si fa strada ricorrendo anche a interventi invasivi con il solo scopo di appropriarsi di tutto ciò che la natura le ha negato. Il cinema, la televisione e la pubblicità lanciano le mode, non solo quelle legate all’abbigliamento, ma anche al comportamento, al linguaggio, allo stile di autorappresentazione. Ma è il mercato della bellezza che ha bisogno di mostrare i cambiamenti, lo fa con l’unico scopo di favorire i consumi senza preoccuparsi del fatto che buona parte di quei consigli mediatici sfiorano il grottesco.


Mi è capitato questa estate di trovare una ragazza di 17 anni dietro al bancone di un bar dove sono solito prendere il caffè.  La ragazza era una liceale che aveva trovato lavoro  stagionale per guadagnarsi qualcosa prima dell’inizio del nuovo anno scolastico. Avendo nel bar una certa confidenza con tutti, la barista più anziana mi presenta la graziosa liceale e nel farlo l’occhio mi cade sulle sue unghie lunghe. Ho sempre avuto un’avversione per le unghie lunghe, le trovo di cattivo gusto specie quando diventano sproporzionate rispetto alla grandezza della mano. Non resistendo ho chiamato in disparte la ragazza e con molto garbo le ho spiegato alcune cose sull’estetica aggiungendo chiaramente che quelle unghie le stavano male. La ragazza è rimasta ammutolita ma rispettosa delle mie considerazioni. Il giorno dopo torno a prendere il caffè e distratto a rispondere ad alcuni messaggi mi ritrovo delle mani sotto gli occhi accompagnate da una voce che mi dice: ho seguito il suo consiglio, ieri sera mi sono tagliate le unghie. Ho aggiunto: ora sei diventata veramente bella e raffinata! Era stata influenzata da uno spot pubblicitario per decidere di allungarsele; potenza della televisione! 


E’ una questione di moda il fatto che ci siano gusti dominanti, ma la bellezza è indipendente dal gusto. Come abbiamo visto filosofi e poeti hanno cercato di incasellare il concetto di bellezza all’interno di schemi e definizioni, ma la bellezza per quanto mi riguarda va oltre una sterile  definizione fruibile nel tempo, io sarei più propenso a definirla come percezione soggettiva del sublime che nella famosa formula di Hume diventa: il bello è negli occhi di chi lo contempla.


Per  me la bellezza è uno stato personale del piacere che forte delle mie facoltà percettive si fonde con i valori interiori e morali, una elevazione dello spirito che oltrepassa la sfera fisica fino a diventare anima  estetica contemplativa. La mia bellezza è silenziosa, non ha bisogno di parole; è qualcosa che prende l’anima all’istante. Il corpo umano è molto di più di una statua greca frutto di proporzioni predefinite e matematicamente studiate, è intelletto, è fascino, è personalità. E se fossi costretto a fare un raffronto con un’opera d’arte mi sceglierei “I prigioni” di Michelangelo perché sono delle sculture incompiute: ammirandole sarei io a completarle, lo farei  ricorrendo alla mia immaginazione: quello che ha lasciato incompiuto Michelangelo Buonarroti lo completerei io. 


La bellezza esteriore è sicuramente una carta vincente, permette di avere maggiore stima di se stessi, ma non può essere tutto. Esiste una sfera dell’essere umano che fa leva sull’interiorità, un’interiorità che come ho detto prima si tramuta in fascino espressivo. Ed ecco che la bellezza diventa equilibrio di armonia interiore ed esteriore. 


Concludo citando una famosa frase di Audrey Hepburn: “la bellezza di una donna non è nei vestiti che indossa, nel suo viso o nel modo di sistemare i capelli. La bellezza di una donna si vede nei suoi occhi, perchè quella è la porta aperta sul suo cuore, la fonte del suo amore. La bellezza di una donna non è nel suo trucco, ma nella sua anima. È nella tenerezza che dà, nell’amore, nella passione che esprime. La bellezza di una donna cresce con gli anni”.















































































































MICHELE COCCIOLI


Architetto, nato a S.Pietro Vernotico (Brindisi) nel 1956, vive a Casarano (Lecce). Formatosi studiando gli autori del neorealismo, in seguito il suo lavoro privilegia il rapporto tra il vero e l’immaginario la cui rappresentazione costringe a continue elaborazioni mentali. Il Novecento (pittura e cinema) e la psicoanalisi ne influenzano l’approccio stilistico e sono spinta propulsiva per un viaggio dell’anima. 
Ha pubblicato nel 2012 Volare d’infinito canto con Vianello Libri, nel 2009 Puglia. I borghi più belli d’Italia con Adda Editore e nel 2002 PugliaLucania con Electa. Nel 2009 compare su “Nuova Arte” di Giorgio Mondadori e nel 2011 riceve il premio alla Cultura dalla Galleria d’Arte “Centro Storico” di Firenze. Suoi lavori sono stati recensiti da numerose testate giornalistiche e da “Fotologie” – Pagine scelte della fotografia contemporanea. Ha esposto al Photographic Lishui Festival-CHINA, ai Dioscuri del Quirinale-ROMA, al CASC Banca d’Italia-ROMA.
















































©L’ArteCheMiPiace - Blog Arte e Cultura di Giuseppina Irene Groccia 




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