Sigfrido e la foglia di tiglio, Achille e il tallone, l’uovo — o la gallina —: Anna Cristino, la spatola vulnerabile e la sua Maternità.

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Sigfrido e la foglia di tiglio, Achille e il tallone, l’uovo — o la gallina —: Anna Cristino, la spatola
vulnerabile e la sua Maternità. 





di Maria Marchese |17|Agosto|2023|








— SHIIIINK — esplode la lama.

 

L’ho definita una spatola resiliente che salta, zampilla, si contrae e, di colpo, si espande, ma anche vorace poiché ruba il colore acrilico — lo divora — e lo vomita, immediatamente, sulle tele, con periziosa mano; la ritengo una spatola multiforme e versatile perché realizza composizioni sempre diverse preservando una propria cifra esecutoria matura.

Una lama vivace e resultiva ha fenduto il fecondo e teso ventre che ha partorito l’esagenesi “La rinascita”, mentre la spatola che concepisce l’opera “Maternità” è vulnerabile.

— SHIIIINK — esplode la lama.

La Cristino vulnera la testa di questa madre con un taglio netto: la maternità diventa allora come la foglia apostata che si posa sulla spalla di Sigfrido, la croce che ne decreta la morte, oppure è quell’unica parte del corpo rimasta mortale — il tallone malandrino che ancora oggi dà problemi — di Achille.






Ma la vulnerabilità è legata alla sensibilità e ad una certa qual forma di intelligenza, così Anna Cristino la plasma in un amplesso ovoidale — marmoreo fuori e carnoso dentro — in cui l’architettura ovale si ripete — le mammelle, il volto muliebre, la guancia del neonato, le cosce e i polpacci… — in un intuitivo gioco speculare che suggella il senso di appartenenza, ma che suggerisce anche il pensiero di una gestazione neo identitaria.

L’arte per la Cristino è transveberazione, l’arte della Cristino è transveberazione: come un dardo, la sua spatola lacera, sia le carni che lo spirito, per togliere l’eccesso e creare, ma il passo prima è quel dolore, tanto estatico come salvifico e irrinunciabile, quanto l’amore per un figlio.

Il paradosso per antonomasia su cui anche i filosofi greci come Aristotele o Plutarco hanno dibattuto — Ma è nato prima l’uovo o la gallina? — ha come risposta plausibile l’uovo, e così il suo uso iconografico in tutte le culture — dal Giappone alla Polinesia, dal Perù all’India, dall’Egitto alla Finlandia, dalla Cina all’Africa — è la rappresentazione del seme primordiale, da cui tutto ha avuto inizio.

L’uovo di struzzo che scende dalla volta a forma di conchiglia e come una perla rimane sospeso al di sopra del viso della Sacra Maria, nella Pala Montefeltro , del Maestro Aretino Piero della Francesca , significa che la fede è superiore alla ragione — ratio/irrazionale 1 a 0, come nella maternità di Anna Cristino —.




Quella stessa beatitudine sarà ricercata da alcuni dei personaggi dipinti da Hieronymus Bosch, nel trittico “Giardino delle delizie “ il guscio delle uova, in questo caso, è rotto — non integro quindi, come la testa della maternità dell’artista barese — e gli esseri umani ci si tuffano letteralmente agognando il ritorno ad uno stato di pace.

René Magritte, nell’opera “ La chiaroveggenza “, tramuta un uovo — il modello — in un uccello con le ali spiegate — il modello sulla tela — frutto di un’evoluzione immaginata e prevista dall’estro dell’artista, facendoci riflettere sul nostro modo di concepire la realtà, spesso troppo ottuso, e su cosa voglia dire osservare con sguardo attento. Uova sode, sciolte, integre, rotte, incrinate, all’occhio di bue… , insomma in tutte le salse, compaiono nelle opere di un altro grande surrealista, Salvador Dalì ; per lui l’uovo assume un’importanza tale da adornarne i tetti del suo studio a Port Lagat, paesino di pescatori sulla costa brava della Spagna, qui uova gigantesche si stagliano contro il cielo simili a sentinelle della sua mente sfrenata.






Nella Metamorfosi di Narciso , del 1937, di forma ovale è la testa del mito greco cui si contrappone la mano che regge un uovo da cui spunta un fiore di narciso. Nel dipinto del '48 “L’Aurora”, l’uovo è raffigurato con il rosso e vivo tuorlo, mentre l’albume diviene un fiume solcato in barca dall’essere del futuro. Nella Venus Spatiale , l’uovo poggia in equilibrio sopra il pube in una rappresentazione della fecondità senza tempo come allude la presenza di un orologio che ha perso la sua funzione primaria essendo liquefatto.






Fertilità è anche il tema della scultura Concetto Spaziale – Natura, del 1967, di Lucio Fontana, in ottone lucidato; in quest’opera, il maestro dei tagli si indaga nelle tre dimensioni: una forma ovale primordiale solcata nella sua perfezione da due semplici segni esprime una forza inaudita. Il divenire e mutare della materia e della sua “natura” e di tutte le percezioni fisiche ad essa legate sono la perfetta rappresentazione del fluire della vita e del pensiero.

Chi, invece, distrugge qualcosa — il guscio — è Piero Manzoni , in quello che è l’omaggio all’uovo tra i più particolari mai realizzati da un’artista: il 21 luglio 1960, presso la galleria Azimuth, realizza la sua performance Consumazione dell’arte dinamica del pubblico invitando i presenti a mangiare delle uova sode da lui cucinate e innalzate al grado di opera d’arte riportando sul guscio l’impronta del suo pollice. L’artista consapevolmente invita alla distruzione della sua creazione, a cibarsene, contribuendo così alla rigenerazione del corpo. Un’opera sicuramente ironica che però riflette profondamente sul tema dell’eucaristia e della risurrezione.

Ci si domanda allora se quella parte indoma — tallone, spalla, uovo o gallina —sia fragilità o, all’opposto, virtù?.

La Maternità di Anna Cristino, come l’uovo, contiene il caos della vita: non è però liquido ma acrilico, immediato, immanente, concreto, polveroso, pullulante di umori cromatici e valori emotivi.

Ricordo che al mattino, da piccola, mia nonna preparava un uovo sbattuto con lo zucchero — è ricostituente diceva —.

La saggezza e la forza, insomma, sono legate a questa piccola identità, capace forse di guarire e il tallone e la spalla.

 






Anna Cristino è protagonista della mostra itinerante “Penelope et Mare Nostrum”, la cui prima tappa si è tenuta presso il Club Nautico Santa Pola, in Spagna, dal 10 Giugno al 10 Luglio 2023, la cui parte curatoriale è stata seguita dallo storico e critico d’arte Valeriano Venneri e dalla poetessa, curatrice e critica d’arte comasca Maria Marchese.

Una seconda tappa la vede presente presso il Castello Rocca Paolina, a Perugia, come una degli artisti rappresentanti per la Spagna, e terminerà con una terza tappa al Museo del Mar di Santa Pola, tra fine settembre e Ottobre 2023.




































Maria Marchese su L’ArteCheMiPiace 
Maria Marchese

Maria Marchese, scrittrice, poetessa e curatrice d’arte, nasce a Como nel 74, dopo la maturità scientifica si iscrive all’istituto internazionale di Moda&Design “Marangoni”, a Milano.

Per oltre 20 anni svolge attività nel settore socio assistenziale.

Dal 2013 affronta da autodidatta il suo percorso di studio nel campo dell’arte, della letteratura e filosofia. Nel 2017 pubblica la sua prima silloge poetica “Le scarpe rosse- Tra tumultuoso mare e placide acque”. Da lì a breve esperisce se stessa nella critica artistica.

Collabora con il blog culturale dell’università Insubria, con lo storico dell’arte Valeriano Venneri, con Exit Urban Magazine e Art&Investments, con il Blog L’ArteCheMiPiace, con l’associazione culturale Nuovo Rinascimento, con la Galleria “Il Rivellino” a Ferrara, con Divulgarti a Genova, con Art Global a Roma, con AArtChannel di Ferrara, con Alessandra Korfias, coordinatrice ponte culturale Italia/Giappone e responsabile di Arti Services.


www.mariamarchesescrittrice.com



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