Leggenda privata di Michele Mari
L’ArteCheMiPiace - Libri da leggere
Leggenda privata, di Michele Mari
(Einaudi, 2021[2017])
di Pier Paolo Cetera |08|Luglio|2023|
Nella collana della Einaudi “Et scrittori”, nel 2017 (poi riproposta nel ‘21) è stata pubblicata questa singolarissima opera – Leggenda privata - dello scrittore milanese Michele Mari (classe 1955), sicuramente uno dei più importanti letterati italiani degli ultimi decenni (mio modesto parere). Dal suo “esordio” Di bestie in bestie del 1989 fino a Le maestose rovine di Sferopoli del 2021, non è possibile tracciare un “fil rouge” di quest’autore, variando e spaziando alla ricerca di una sua personale cifra stilistica, in cui la dimensione più congeniale appare l’ecclettismo e la sovrapposizione tematica. Più logico ricercare nel suo lavoro parallelo di traduttore una traccia, una connessione, una facilitazione di lettura e composizione: la scelta delle sue traduzioni ricadono su autori come Louis Stevenson, Hermann Melville, H. G. Wells, Jack London, e agli scrittori del Novecento come George Orwell e Ernst Gombrowicz. Altra fonte da setacciare fa riferimento ai sparsi richiami all’immaginario cinematografico horror o di fantascienza che costellano i suoi romanzi. Proprio la misura del fantastico e della reinvenzione della realtà parrebbe la sua vocazione letteraria più adatta. La phantasia nel suo significato originario di “mostro” (dal gr. phaìnō) esplicita la sua relazione con l’informe. L’elaborazione sembra incerta tra immaginario che irrompe e il reale contemplato. Per Deleuze «la distinzione non è tra l’immaginario e il reale, ma tra l’evento come tale e lo stato di cose corporeo che lo provoca o nel quale si effettua» (Gilles Deleuze, Logica del senso, Feltrinelli, Milano, p. 185). Per la “leggenda privata” di Mari alcune evidenze sono implicite e altre esplicite. Ma in questo caso a prevalere è una forte connotazione “trans-biografica” – se mi si è permesso questo neologismo – in cui l’eclettismo si misura con dati oggettivi e con vicende liberamente tratte da esperienze personali. In prima persona infatti, l’a. descrive la propria dimensione intercalata in una cornice “fantastica”: «L’Accademia mi ha convocato nella Sala del Camino, alla mezzanotte di ieri », così l’incipit. In un susseguirsi di impressioni e sollecitazioni di una memoria privata e di considerazioni di ordine “filosofico” e divagazioni psicologiche gli episodi dell’infanzia e della prima adolescenza sono stati subliminati in singolari spunti e visioni, in passioni carnali e tensioni spirituali irrisolte, mentre – come un’ossessione continua, incombe la presenza di Figure- epiteti (Quello-che-biascica, Quello-che gorgoglia ecc.) che chiedono il “conto” del suo fare auto-bio-grafia. L’immaginario pop fumettistico, i miti di creature (come il Golem), le figure paterna e materna, si astraggono da specifici momenti per essere una presenza costante, un appiglio, un modo di ricomporre frammenti e schegge di una vita in una piccola città di provincia, con incursioni in realtà e scenari urbani modernizzati (la Milano dagli anni sessanta in poi) e con intellettuali che frequentavano la casa dei Mari (suo papà era un noto architetto e designer, sua madre una disegnatrice).
La “leggenda privata” accosta esplicitamente due concetti: la leggenda, come anelito ad attraversare sulle topografie della fantasia e della verità letteraria la propria bio-grafia, e la dimensione privata, con la sua necessità di non essere troppo messo a nudo, né di dare in pasto al distratto pubblico-lettore un motivo di voyerismo o di “comparazione“ tra le vite parallele e le esperienze personali, e dare tutto al concetto autos tutta la parvenza di fardello e angoscia. Tutt’e due le dimensioni, in realtà, combaciano con una spasmodica ricerca di una “verità” intangibile, frutto di un deliberato processo a sé stessi.
Michele Mari fa conoscere aspetti (della vita in genere) dirompenti, sotto una coltre sedimentata di angoscia e frenesia, di fame di esistenza e lacerazioni inevitabile nell’accedere alla vita da adulto. Non romanzo di formazione e nemmeno letteratura e scrittura pedissequa alle mode dei revival dei grandi Romantici ottocenteschi. C’è anche il rifiuto di ogni afflato etico o moralistico, che spesso avanza inevitabile nei romanzi bio-topici: la cifra letteraria è qui salvaguardata nella purezza di quell’incontro non casuale tra letterarietà e vita vissuta. Si snodano le vicende delle pruderie adolescenziali, la vita del nonno emigrato, le varie figure che costellano la vita famigliare nei luoghi della sua crescita, le passioni per le letture e i fumetti (il tutto corredato da fotografie da album di famiglia e disegni). Tutti, nell’affastellato racconto si ripresentano a intervalli, per ricomporre il mosaico di una memoria consegnata alla scrittura epifanica.
Quest’invito alla lettura del/dei libro/i di Michele Mari va, quindi, visto anche come un incontro con i propri demoni.
PIER PAOLO CETERA, nato a Mirto Crosia (Cosenza), vive a Marano Principato (Cosenza). Ha studiato all’Università di Bologna- Alma Mater Studiorum, è autore - in collaborazione con altri - di alcuni saggi sulla storia locale e l’antropologia (Biografia di un uomo e di una città: Cosimo toscano e Rossano, 2013; Cannili ‘e ppuri. Tradizione di una festa rurale nel rossanese, 2015; Mirto. Scatti della memoria, 2016; La chiesa di san Domenico e il Convento domenicano a Rossano, 2017). Si occupa autonomamente di ricerca storica e culturale locale, integrando gli aspetti materiali e simbolici con la storia delle mentalità e delle dinamiche delle culture euro-mediterranee. Ha ricevuto il Premio “Graziano” – Il Filorosso, per il racconto e il Premio “Galeazzo di Tarsia” - Proloco Belmonte, per la critica letteraria. Presiede l’associazione Soci@l di Mirto Crosia. Ha insegnato Discipline letterarie presso gli Istituti d’Istruzione superiore e Italiano Storia e Geografia nelle Scuole Secondarie di Primo Grado; è insegnante di sostegno.
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Analisi profonda e acuta, quella di Pierpaolo Cetera, che traccia, per l'autore di di bestia in bestia (1989), Io venìa pien d’angoscia a rimirarti (1990), La stiva e l’abisso (1992), Euridice aveva un cane (1993), Tu, sanguinosa infanzia, un filo conduttore che sembra condurci e farci sprofondare - come lo sguardo all'indietro di Orfeo - dritti a quel Memorie dal sottosuolo di Dostoevskij.
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