HANS OP DE BEECK - T H E C O L L E C T O R ‘ S H O U SE
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Hans Op de Beeck è un artista belga che si occupa principalmente di scultura mettendola in scena in grandi installazioni.
Artista visivo quindi ma anche regista teatrale, drammaturgo e compositore, Hans Op de Beeck si muove tra linguaggi e materiali diversi.
Nel 2018 la sua "The Collector's House" è stata esposta al Museum Kunstpalast di Düsseldorf nell'ambito della mostra "Black & White. Da Dürer a Eliasson" in collaborazione con la National Gallery di Londra.
Si tratta di 250 metri quadrati di installazione che riunisce ottanta opere scultoree a grandezza naturale. “The Collector's House" è uno spazio monumentale e immersivo, in cui si può entrare e vivere liberamente un’esperienza onirica.
L’artista belga ci permette, attraverso la fedele riproduzione di interi ambienti, l’esplorazione fisica di opere dalla forte carica simbolica.
Uno spazio capace di suscitare un senso di intimità e una silenziosa magia contemplativa, oppure darci l’impressione di invadere un’area riservata e personale senza essere osservati.
L'intera installazione con i suoi vari elementi ha un rivestimento uniforme di grigio opaco, rendendo lo spettatore l'unico elemento colorato dell'intera stanza.
In quanto tale, il visitatore assume una certa vivacità comparativa che lo rende il vero animatore dell'opera stessa.
Inoltre, non vi è alcun oggetto o prodotto prefabbricato nell'intero spazio. Tutto è realizzato dall’artista utilizzando gesso, legno rivestito, poliestere e intonaco pigmentato per un risultato finale dall’aspetto estraniante. Una caratteristica che accentua il senso di sospensione e alienazione dal mondo reale.
Difatti basta muovere i primi passi negli interni grigi di Hans Op de Beeck per essere trasportati subito in un altro cosmo, che ci cattura bruscamente.
Ci muoviamo contemplativamente attraverso la struttura lussuosamente decadente e stranamente congelata di un collezionista d'arte fittizio e immaginario. Emergono tensioni, contrasti e ambiguità, sprofondiamo in un'atmosfera che non è proprio di questo mondo e sostiamo a lungo sul bordo dello stagno delle ninfee - incluso il bambino, che lo fa senza annoiarsi affatto in questo posto così alienante.
L'opera è un interno immaginario e anacronistico, una sala di ricevimento simile a una Wunderkammer dove ogni componente è opera scultorea, vi troviamo un pianoforte a coda, una grande biblioteca, vetrine con oggetti di fantasia, tavoli con nature morte, un'intera collezione di sculture a grandezza naturale, figure rappresentate spesso addormentati o assorti, raffigurazioni di dipinti e animali imbalsamati.
Su un piccolo rialzo, proprio di fronte agli scaffali, c'è il pianoforte con uno sgabello a sinistra e un divano con un tavolo a destra, oltre a un uccello esotico impagliato su un piedistallo. Sul pavimento, a lato del tavolo, c’è anche un cane sdraiato.
Per approfondire ulteriormente questa atmosfera e lasciare che l'intera installazione abbia un effetto sul fruitore, ci sono diverse opzioni di seduta dove sedersi comodamente integrandosi nella stanza come silenziosa figura meditativa.
Qua e là si riesce ad osservare tracce di una probabile festa recente, si intravedono tanti oggetti dall’uso quotidiano sparsi in un disordine che incrina l’ordine apparente di questo inconsueto posto.
Lo spazio parla della messa in scena e della simulazione del prestigio e dell'istinto umano di collezionare, riflettendo soprattutto sullo stato dell'artificiale e del reale.
Per lo spettatore i diversi elementi danno vita a numerosi momenti di contrasto in termini di contenuto. Tuttavia, l'installazione suggerisce anche un certo livellamento di questi opposti. A sua volta questi riferimenti conferiscono allo spettatore il ruolo di destinatario critico.
Soffermandoci sui dettagli e osservando più da vicino il pianoforte e il tavolo, si nota un certo disordine, perché su di essi vengono posizionati senza disposizione una pianta in vaso, singoli candelabri, piccole cornici, frutta, tazze, libri aperti e posacenere pieni di mozziconi di sigaretta. Questa impressione è rafforzata dagli oggetti che giacciono in diversi punti del pavimento. Lo spettatore incontra numerose bottiglie vuote, lattine frantumate, altri posacenere, scatole con oggetti, scatole della pizza aperte o semiaperte e un laptop. Scopriamo anche una giacca gettata casualmente sui braccioli del divano e alcuni oggetti tra gli scaffali apparentemente ordinati, ad esempio un bicchiere di carta che ricorda un contenitore per bevande di un fast food. Viene così minato l'ordine suggerito dalle librerie e dagli oggetti "classici".
In questo contesto, anche gli oggetti ordinari compaiono nel "sublime".
Per quanto realistiche siano tutte le opere monocromatiche in grigio, l'intenzione di Op de Beeck è pura finzione. Nella riduzione a "grigio", il mondo colto borghese di un collezionista d'arte appare come un omaggio alla caducità, come sostenuto da numerosi motivi vanitas.
In definitiva The Collector’s House si rivela un opera d'arte in grado di creare uno spazio contemplativo in cui perdersi, come in una magia silenziosa dove definire riflessioni profonde sull’uomo e sul mondo che lo circonda.
HB: Quello che cerco di offrire nella mia arte visiva è l'inizio di storie possibili. A volte parto direttamente dalle mie esperienze di vita, a volte mi invento totalmente. Il fulcro è davvero la mia immaginazione. Tuttavia, mi riferisco ad alcuni fenomeni culturali esistenti, ma interpreterò sempre ciò che ci circonda e lo consegnerò come finzione. Non finzione come impiegata nel genere "fantasy", ma una forma di finzione "plausibile" che si può leggere e comprendere visivamente come qualcosa di simile alla vita come la conosciamo. In questo modo parla di noi, della nostra condizione umana, delle difficoltà e delle benedizioni che incontriamo nella vita.
©L’ArteCheMiPiace - Blog Arte e Cultura di Giuseppina Irene Groccia
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