La solitudine dell’arte di Andrea Barretta
La solitudine dell’arte di Andrea Barretta Argomentare sull’arte e sullo stupore perduto avrebbe bisogno di numerose pagine per un’ampia e appropriata trattazione, un’architettura del discorso che meriterebbe il respiro di un saggio per conciliare riflessioni senza l’assillo del numero delle battute. Ecco, dunque, che, per esplorare l’abisso in cui è caduta l’estetica cercheremo di renderci abbastanza questo spazio per poi magari approfondire successivamente. Per accedere all’arte, per raccontarla, per rintracciare la capacità di evocare la bellezza quale frammento in cui l’improbabile diventa plausibile. Per ghermirla in un santuario dell’incontro che trascende, e per assimilarne la forma intellettuale, fuoco che divora in una preghiera intesa come chiarore nell’infinito immortale, nell’opera d’arte che, spiegava Umberto Saba, “è sempre una confessione”. Un modo nell’immaginare l’arte come continuazione della creazione tra terra e cielo, nell’arcano che sempre si r