Il canto della fanciulla di ANILA DAHRIU

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Il canto della fanciulla
di ANILA DAHRIU


di Giuseppina Irene Groccia |24|Aprile|2022|





Di questo nuovo libro di Anila Dahriu posso dire che si legge come il diario di un’anima.

Un’anima che rispecchia tutta la personalità dell’autrice, fatta di bagliori di luce e oscuri recessi del suo esistere.

Un viaggio negli infiniti porti della memoria e dell’immaginazione, in cui la scrittura costituisce per l’autrice un incontro con se stessa, rendendola capace di rapportarsi alla sua vita con versi nitidi e struggenti.

La sua è una poesia sofferta dove il dolore viene attorniato da una corazza fatta di metafore per proteggersi dallo strazio che sente, abbracciando aggettivi e avverbi così da alleviare ferite più profonde.

Anila cattura quella esistenza che troviamo nei dettagli di ogni sentimento, contemplando ciò che scompare e ciò che resta in un sottile gioco di visioni poetiche.

La mente si fa stanza privilegiata di memorie in un andirivieni incessante tra passato e presente, è in un procedere di assenze e distanze che si snoda il suo viaggio spirituale dove ad imporsi è una illuminante consapevolezza quale sua tonalità dominante.

L’autrice cerca nella sua creazione artistica una storia interiore in cui identificarsi, un bisogno in cui ritrovarsi per fissare nell’ espressività poetica tutta la sua fedeltà alla vita e alle proprie radici.

In un tempo che trascina con sé sentimenti evocati, la scrittura di Anila scorre sospesa configurando tracce di senso dimenticate che assurgono a condizioni dell’anima che sfumano le une nelle altre in una dimensione nuova e inaspettata.

La vita di Anila si intreccia con questo suo ultimo lavoro letterario, dove riesce a coniugare potenza espressiva e una straordinaria coscienza di sé.

Scrittrice, poetessa e donna con un’urgenza di essere e dove scrivere diventa più di un semplice volersi esprimere.


Giuseppina Irene Groccia -








"Il canto della fanciulla" è l'ultimo lavoro editoriale in lingua italiana di Anila Dahriu, edito dalla Casa Editrice Edilazio.

Il libro fa parte della Collana “La Nave dei folli diretta da Marco Onofrio, il quale è anche autore della bellissima prefazione che riporto qui a seguire:



Anila Dahriu non segue le mode “minimaliste” del mainstream poetico italiano: la scrittura messa in “evento” attraverso questo incalzante poema traguarda il massimalismo referenziale ed espressivo delle grandi imprese letterarie. Una lingua risentita e orgogliosa, frantumata dalle allucinazioni per trafiggere il cuore dell’esistenza oltre le «sofferenze dei secoli» e il «guasto del tempo» in cui gli umani – come «squali feroci» – intessono le loro trame maligne di dominazione.  Le sirene del Mito sono state «fatte a pezzi dalle onde», cioè dalla forza tremenda della Storia. Allora resta solo la possibilità di accedere a uno “stile del ventre” fatto di spasmi, «crampi di dolore» e «urli vulcanici», che informa la poesia come ricettacolo di frammenti dispersi, dimora di tempeste, tambureggiante “machina” infernale.

  Il canto della fanciulla è l’innocenza originaria che giura i suoi segreti all’eternità nel momento stesso in cui accetta di impegnarsi nella dura psicomachia dell’esperienza. È una battaglia di anime alla ricerca dell’amore vero come unico antidoto al male che avvelena il mondo. Questo poema, infatti, nasce dall’elaborazione psicologica di una traumatica disillusione: «Pensava che l’amore è più forte della malvagità / Sbagliava... All’orizzonte c’erano le nuvole nere / Impegnate nella loro missione». Il mondo è tristo e reo: non c’è giustizia neppure tra le galassie del cielo stellato. La società è ustionata dai sospetti, dall’odio, dal rancore. Vincono i “furbastri”, i mestatori, i trionfatori dell’inganno. Il «ruscello del male» è l’invidia, la malapianta che annoda ovunque le sue catene di ipocrisia e volgarità: è il «malanno viscido che si perpetua nei secoli». Eppure la voce divina e umana che si agita nelle falde di questo poema crede ancora alla «bontà», alla forza ostinata e disperata della Luce. Dio, che parla nella prima parte, è stanco della Storia e tuttavia esiste, e può forse intervenire – grazie agli uomini e alle donne di buona volontà – per riscrivere il «finale senza soluzioni / Senza futuro». La poesia, di conseguenza, aspira a coincidere con l’opera sciamanica della curandera, proponendosi come canto di guarigione e rigenerazione; accettando dunque di sottoporsi a una prova estrema: o incenerirsi tra le spire degli inferi e tacere per sempre; o risorgere dal proprio dolore per fare nuovo il volto, e anzitutto il cuore, delle cose.

  L’operazione innescata fin dalla prima parola del poema è una sorta di esorcismo: Anila Dahriu lancia la sua sfida al mondo come esso (purtroppo) è e si getta a capofitto nell’oscurità, a mo’ di pioniera coraggiosa, per sciogliere i nodi che reggono i sipari dei «teatrini», ingoiando malefici per neutralizzarli e finalmente purificarli dalle sostanze immonde. Lavora dalla parte di Dio per favorire il riscatto di questa umanità ormai in piena decadenza. Non le fanno ribrezzo le parole “agghiaccianti” che occorrono per scoperchiare le botole e smascherare i giochi. Rompe infatti l’omertà delle regole non scritte e scuoia con versi vibranti le superfici graziosamente pitturate nell’ottica della reciproca convenienza. La sua voce, su tali presupposti, aderisce alla chiave tonale del demonico, il titanismo del sacro che presiede sia l’angelico e sia il demoniaco, collaborando “dal basso” a portare la vita avanti nella sua evoluzione. Infatti le parole della Dahriu emergono da magmi così profondi da potersi sviluppare nel doppio registro della “preghiera” e della “bestemmia”, anche in senso ambivalente (cioè di una bestemmia che prega, e viceversa), essendo benedizione e maledizione strettamente legate al suo italiano di origine/substrato albanese.

  Si affida per questo viaggio dantesco dagli inferi umani, visti con gli occhi di Dio, al “purgatorio” della redenzione amorosa, trasfigurata nella seconda parte dal canto della fanciulla per te, alla “rerum natura” che, di per sé, renderebbe organiche e buone tutte le cose esistenti, se non ci fosse il male a deviarle dal corso originario, e quindi la «forza eterna» che muove i pianeti e le «costellazioni che regnano nell’universo». Qui il dettato si illimpidisce, dopo le tempeste attraversate, poiché giunge alle sorgenti stesse del Sogno da cui balugina la prospettiva di un “mondo” e di un “modo” diversi, liberi, radicalmente nuovi. E può accadere non prima di avere oltrepassato gli orizzonti chiusi e i «muri alti dei confini» entro cui incista la comune umanità. Lo sguardo cosmico, acquisito lungo il difficile percorso, agevola l’opera d’amore che fa spuntare dall’anima le ali dell’eternità, a vantaggio di «quel volo desiderato, smisurato» grazie al quale sarà possibile abbandonarsi semplicemente al «profumo dell’attimo» per raggiungere la tanto sospirata pienezza dell’essere, in una specie di annuncio del pleroma ultraterreno, a matrice gnostica e cristiana, che vale già come elemento di cura, se non come sintomo di probabile guarigione dal “male di vivere” che ci fa tanto feroci.

 

Marco Onofrio   


 



Il libro è arricchito da una altrettanto importante presentazione a cura di Dante Maffia:

Questo poema di Anila Dahriu è la prova tangibile che esiste ancora il magma poetico, come lo ha chiamato Mario Luzi, da cui bisognerebbe prendere la comunione per entrare nel vivo, nel fuoco delle controversie e cercare di districare i livori dalle esaltazioni, i contrasti dalle perversioni, le dolcezze dalla confusione che porta sempre e solo angoscia. Siamo al cospetto di una poesia che si è nutrita innanzi tutto di vita e ha saputo poi conservare il fiato della vita nella parola. Da qui la valanga espressiva che a volte dà il capogiro, da qui le condanne, le irrisioni, i palpiti lunghi e reiterati che nascono dai grumi del dettato e riaprono la ragione verso l’indistinto per ricavarne briciole di assonanze con la vita, con la morte e con l’amore.

Nella poesia di Anila Dahriu c’è la visione di un mondo che si è sfracellato, decomposto e che arranca per sentieri scoscesi e irti per trovare la dimensione umana e reale di una situazione che sembra avere perduto il senso della misura e del decoro. Insomma, poesia senza remore, spinta, perfino arrogante e decisa a svelare, a penetrare nei meandri del dissesto, ma anche del Mistero, poesia espressionista, anche se a me non piace mai definire la poesia, ma in questo caso necessaria chiarificazione per comprendere la forza contundente che sta dietro le espressioni irruenti di Anila Dahriu.

Se fossimo in tempi non così malati di disinteresse e di qualunquismo questa poetessa diventerebbe immediatamente un caso di cui tutti si riempirebbero la bocca, di cui tutti parlerebbero. Ma adesso l’originalità e lo stare legittimamente fuori dal seminato non fa né scandalo, né curiosità. L’appiattimento ha reso tutti sullo stesso piano. Peccato, perché ci sarebbe tanto da discutere sulla valanga incandescente che la poetessa getta a piene mani in una sorta di forno gigantesco e non per farne poltiglia, ma per rigenerare la materia, farla diventare nuova luce. Un’annotazione che può sembrare soltanto tecnica e che è invece l’affermazione perentoria della fede di Anila Dahriu nella Poesia: ogni verso comincia con la maiuscola, come si usava tanto tempo fa, a dimostrazione che ogni verso è sintesi di canto, di musica, di ragionamento e di pienezza di sentimento.

 

Dante Maffìa

 




Nel libro sono presenti testimonianze critiche di:

Giuseppe De Rosis, Angelo Lipo, Giusy Porchia, Giusy Nisticò, Maurizio Traversari, Franco Perri, Antonella A. Rizzo, Francesco Tarantino e Maurizio Materna




Il libro può essere acquistato richiedendolo direttamente all’autrice 





Contatti  



Email aniladahriu@live.it

Facebook Anila Dahriu















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