Lost in Translation...

L’ArteCheMiPiace - My Favourites 





















di Giuseppina Irene Groccia 09|Dicembre|2020




Diciassette anni di Lost in Translation. Il film diventato un cult uscì ad ottobre del 2003, nelle sale italiane arrivò per la prima volta esattamente il 5 Dicembre 2003. 


Per un film, diciassette anni possono essere tanti.. tanti da rischiare la bolla del dimenticatoio oppure al contrario tanti da trasformarlo in un’immagine eterna, che rinasce sempre e ci racconta ogni volta più di una sola storia.


Per me rientra tra i miei film preferiti fin da allora.


Sofia Coppola, la figlia d’arte più importante del cinema americano contemporaneo, realizzò una pellicola minimale di grande eleganza ed ancora maggiore sensibilità.
















Il film venne girato in 27 giorni tra Tokyo e Kyoto, con un budget di 4 milioni di dollari. Finì per incassare circa 120 milioni di dollari in tutto il mondo, ottenendo quattro nomination agli Oscar come Miglior Film, Migliore Attore Protagonista , Miglior Regia e Miglior Sceneggiatura. 

Sofia Coppola alla fine si aggiudicò quest'ultima e fu la terza donna a essere nominata come Miglior Regista nella storia degli Academy Award.



                                            Sofia Coppola durante le riprese del film

La regista all’epoca volle ed ottenne a tutti i costi, un attore di rilievo quale Bill Murray come protagonista, accompagnato da una giovanissima Scarlett Johansson, risultati in seguito, coppia d’eccezione per un film introspettivo e profondo.

La loro eccellente interpretazione, contribuì sicuramente ad elevare ancora di più la qualità del film.



Una parte ricorrente e poi diventato culto è la scena in cui il film  si apre sulla finestra di una camera del Park Hyatt, hotel in cima alla Shinjuku Tower. E' proprio da lì che Scarlett Johansson osserva spesso Tokyo in completa solitudine. 





Ed è sempre in quella struttura, esattamente al cinquantaduesimo piano, che si trova anche il New York Bar: una delle location più romantiche della città. Il posto in cui i personaggi di Bob e Charlotte si incontrano per la prima volta.











Bob: “Sai mantenere un segreto? Sto organizzando un'evasione da un carcere. Mi serve, diciamo, un complice. Prima dobbiamo andarcene da questo bar, poi dall'albergo, dalla città e infine dal paese. Ci stai o non ci stai?”


Trama:

La storia si svolge nella caotica e moderna Tokyo, dove l’americano attore Bob, la cui carriera è ormai in declino, accetta di pubblicizzare una marca di whisky. Una volta arrivato nella metropoli, Bob si trova a dover far i conti con una cultura ed una lingua completamente diverse e difficili da comprendere. Tale diversità, crea nelle varie situazioni da lui affrontate diversi malintesi e incomprensioni che lo portano inevitabilmente a sentirsi sempre più isolato. Ma nell’albergo nel quale alloggia, Bob nota presto una ragazza, Charlotte, con la quale stringerà poi una particolare amicizia.

Charlotte invece, ventiquattrenne in cerca del suo destino, si è trasferita a Tokyo per seguire il neo-marito fotografo. Così come Bob, anche la ragazza si sente irrimediabilmente sola. Annoiata, Charlotte percepisce una più profonda solitudine, che va oltre l’incomunicabilità dovuta ad un paese straniero. I due protagonisti si incontrano nel bar dell’albergo e iniziano ad uscire insieme per sfuggire alla noia, dandosi conforto l’un l’altra. Tra loro nasce una relazione che apparentemente può sembrare la nascita di una storia d’amore, ma nasconde un più intimo e profondo rapporto. (www.filmpost.it)







































Il titolo ‘Lost in translation’ è diventato, nella versione italiana, impropriamente ‘L’amore tradotto‘, traduzione che non ha assolutamente niente a che fare con il reale significato dell’originale e del film stesso, ci ripaga il fatto che il vero significato di questo “perdersi nella traduzione” lo troviamo fortunatamente negli occhi dei protagonisti Bob e Charlotte. 


Sofia Coppola confeziona un film estremamente poetico, nascosto in una storia leggera ed ordinaria. Non è affatto un film semplice, non a caso additato spesso come una pellicola minimale eccessivamente lenta, poco parlata e con lunghe scene.. a tratti noioso.

La verità è che tutto si riduce a sensazioni nel suo susseguirsi di immagini ed emozioni.

Lost in Traslation è qualcosa di diverso dai soliti film, che può piacere o no ma che è comunque un’opera originale e decisamente ben fatta che riesce in pieno a trasmettere il suo messaggio. 


Il dato più rimarchevole del film è una dominante dolcezza mai leziosa. È la storia del rapporto solo sfiorato e del non detto, i due protagonisti sono l’emblema di due satelliti paralleli che nonostante gravitino intorno allo stesso pianeta non riescono mai a toccarsi.

È l'umanità di un sentimento tenerissimo che cresce e si evolve, un sentimento dove il sesso è assente, si ha voglia solo di sentirsi vicini, di avvertire accanto a sé la presenza dell'altro, è un viaggio la cui meta, per qualcuno forse deludente, non è un bacio appassionato o una notte d’amore che apre a un futuro insieme, ma un importante gradino nella conoscenza di sé, dei propri limiti e delle proprie insoddisfazioni, mai completamente estinguibili.

Ciò che provano non è visibile attraverso gesti o baci. Le loro intenzioni e i loro desideri sono sempre veicolati attraverso sguardi e silenzi più potenti delle parole stesse.



È in questo lavoro cinematografico che Sofia Coppola rivela il suo grande amore per Tokio, affronta la tematica di un matrimonio in crisi e l’origine di un’amicizia speciale. 

Ma Lost in Translation, oltre ai riferimenti autobiografici veri o presunti della regista, è un racconto intimo di due persone smarrite, due solitudini che si incontrano, due anime solitarie che si attraggono e si avvicinano infine con la speranza di trovare un equilibrio stabile.

Questo penso vada a sancire in qualche modo il sottotitolo inglese al film, "Everybody wants to be found" ("Tutti vogliono essere trovati").































Un incontro, il loro, inevitabile, con in più il sapore amaro delle storie impossibili ma non per questo meno importanti.

Il confronto intimo che ne scaturisce, rappresenta per entrambi una cura.

Quella a cui assistiamo è sì una silenziosa e discreta storia d’amore, ma è anche un’operazione di salvataggio


Le vicende del film si svolgono per la maggior parte nei quartieri di Shinjuku e Shubuya, fra i più vivaci e colorati della megalopoli giapponese

Tutto viene mostrato tramite una stupenda fotografia fatta di campi lunghissimi.

A tratti Tokyo diventa il simbolo del mondo tecnologico, dell’odierna metropoli in cui tutto si esaurisce, tutto si perde e non c’è mai tempo o modo per godere davvero l’attimo. 








In altre sequenze invece, attraverso il viaggio di Charlotte, sul “bullet train” per Kyoto, vediamo anche la delicata ed eterea spiritualità dei giardini o dei luoghi di culto giapponesi.

Come la visita al tempio Joganji, dove ha la fortuna di osservare da vicino il passaggio di una affascinante geisha, come anche i templi di Nanzenji e Chion-in e il Santuario Heian Jingu con il  suo meraviglioso giardino dove Charlotte lega un o-mikuji (biglietto contenente una predizione divina), ad un albero.











Il ritmo, come avevamo detto precedentemente, è lento ma accompagnato piacevolmente da sonorità intimiste, introspettive e profondamente nostalgiche.

In particolare la scena appena descritta sopra, è dotata di un ottimo montaggio sonoro attraverso la traccia “Alone in Kyoto” degli Air, un pezzo etereo, dai suoni e dalle atmosfere uniche e ricercate, scritta appositamente per il film. (Vedi video sotto)






Per la prima inquadratura del film, Sofia Coppola si lascia ispirare da un dipinto di John Kacere, i cui quadri si vedono più avanti nel film, appesi in hotel.

Scarlett era riluttante a filmare la prima scena con le mutandine rosa semitrasparenti, fino a che Sofia non le indossò lei stessa per mostrarle come apparivano. 




    Jutta di John Kacere - Acrilico (1973)



 

Scarlett Johannson nella scena iniziale del film 


Con questa scelta, la regista imposta quello che sarà l’intero  tono del film,  una sensazione costante nel quale vedremo diverse scene che alludono ad eventi ma che non vengono palesemente mostrati.





Sofia Coppola ha creato un film difficile da dimenticare, grazie anche ad un finale che vale tutto l’Oscar



Finale che, commovente e per nulla deludente, nella sua ermetica semplicità, è da annali del Cinema. 

Sofia Coppola ce lo regala sulle note di un vecchio hit dei Jesus e Mary Chain, con Bob che in partenza per l’aereoporto vede Charlotte dal taxi e la rincorre per le affollatissime strade di Tokyo. La raggiunge, l’abbraccia forte e le sussurra qualcosa all’orecchio prima di salutarla definitivamente. E’ in questo piccolo gesto, di un’intimità così clamorosa, dalla quale la regista ci tiene letteralmente fuori, che sta tutta la bellezza di un film tenero e dove lascia allo spettatore la possibilità di costruire un proprio finale, che sia stato un addio o un arrivederci non è dato sapere, ma sicuramente nessuno dei due sarà più lo stesso dopo quei giorni in giro per Tokyo in mezzo a strampalati karaoke e ristoranti silenziosi. 



Per anni, nessuno a parte Bill Murray, Scarlett Johannson e Sofia Coppola hanno saputo cosa Bob sussurra a Charlotte nella scena finale, una frase all’apparenza banale [decifrata dopo un duro lavoro di manipolazione dell’audio da parte dei fan.. (vedi video sotto)] ma in realtà in grado di racchiudere l’intera essenza del film.



Bob: Devo andarmene.. ma non lascerò che questo si frapponga tra noi!
Charlotte: Ok

In conclusione, mi sento di dire, a chi non ha avuto modo di vederlo, che Lost in Translation è un film da recuperare perché credo sia in grado di cullarci nel nostro quotidiano inquieto, suggerendo risposte senza la necessità di essere razionali.

Ci lascia immagini intrisi di melanconia, un senso di evanescente tristezza.. come un racconto che è già ricordo.




















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Commenti

  1. It is funny because I saw this film in 2004 and totally ignored it as anything more that a "good film"! I watched it again in 2018 and could not understand why I had not recognized the beauty of the film the first time I saw it. It is a wonderful piece of work, and you are right, Bill Murray and Scarlett Johannson very much helped to make this film with their very natural performances.

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    1. I thank you Vlad, for having dwelt on what I described. What you say confirms the fact of the intensity of the film, as you have had to see it more than once to really understand its essence. Thanks again for your attention!

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  2. Ho conosciuto “Lost in Translation”, grazie alla descrizione di questo blog.
    Il film diretto da Sofia Coppola, figlia di un guru del cinema mondiale, quale Francis Ford Coppola, mi ha lasciato una sensazione di vuoto, ma al contempo dolce ed affascinante come il sapore dei sogni proibiti, irrealizzabili e delle cose che non faremo mai perché magari troppo pericolose.
    Parole non dette, ma un film ricco di gesti, sguardi e atmosfere sensazionali nel contesto della frenetica Tokio. Il finale è commovente e per nulla scontato. Ottima anche la scelte delle colonne sonore - personalmente adoro gli Air -. Davvero gran film!
    Lifrieri C.

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    1. Ti ringrazio Cristian e sono felice che quanto da me descritto possa essere stato stimolo per te a vedere il film. La sensazione di vuoto di cui parli, credo sia il segnale che in quel momento hai colto, attraverso la tua sensibilità, tutti i messaggi del film, che infatti citi poi a seguire! Grazie ancora per la tua attenzione.

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