SICILIANS, LA TERRA VISTA DAGLI ALTRI

  L’ArteCheMiPiace - Divagazioni sull’arte 

Elliott Erwitt, Palermo 1965






SICILIANS, LA TERRA VISTA DAGLI ALTRI



di Giuseppe Cicozzetti   |10|Aprile|2023|


 






Raccontare la Sicilia è impresa gloriosa e dolente, è insieme un grido e un lamento, una prova feroce, perché ciò che altrove è differente, qui ha il suo posto nella dimensione del divino. Tutto qui incombe come un destino: lo è nascervi, quando nell’esatto momento in cui si aprono gli occhi alla vita si riceve in dono il desiderio di lasciarla, lo è nel passo pencolante dei giorni della sua gente, lo è nel desiderio bruciante di farvi ritorno. 



Bruno Barbey, Caltanissetta 1966

E’ un’isola la Sicilia, e come ogni isola porta con sé il segno di una lontananza non solamente geografica, perché qui, cinti dal mare, matura la sensazione della deriva, al pari d’una nave senza ormeggio. L’incertezza regna, l’immanenza domina. L’assenza di confini disturba e sapersi nella finitezza di un limite sgomenta: quando è il mare a essere il solo dirimpettaio, la solitudine coltiva la volontà d’essere ovunque da qui. 



Sebastiao Salgado, Trapani 1991

Tuttavia se nessuno più di un siciliano incarna l’instabilità, nessun altro, per contro, vive come lui nello spazio dell’eterno. In lui tutto si dissolve e tutto si aduna nel segno della metafora: parole, gesti sono visti alla controluce di una filigrana che svela ricchezze di significati. Niente è come appare. Seduto nell’instabile pendio della propria identità, non c’è siciliano la cui anima non sia sospesa tra l’elegante lirismo d’una visione divina del Creato e la nuda contabilità del vivere faticoso. Tutto proviene da lì, dall’abitare sulla soglia della deriva e dunque appare più che normale, se non nei termini di una ragionevole salvezza, provare a essere altro da sé, se non altro per non lasciare che il destino ti riconosca subito quando arriva. 



Richard Avedon, Palermo 1947

Si dice che la Sicilia non conosca il senso del futuro, che è il sapersi nelle mani di un dio onnipotente a impedirlo. Può darsi che anche questo sia un inganno, un’altra delle sue mirabolanti suggestioni o una visione appannata da un antico retaggio. Qui, la fame del nuovo ribolle nei nuovi gesti e nuovi desideri dei suoi giovani uomini, in cui passione e riscatto dilagano come febbre. 



Henri Cartier-Bresson, Palermo 1971

Terra benigna, terra matrigna. Ai suoi figli ha dato occhi d’oliva o di giada. La pelle candida come salina o bruna come zolle riarse. Biondi ha voluto i capelli, come il grano maturo dei suoi altopiani o ricciuti roveti di more. Sono tutti suoi figli, e li ha dispersi in eguale misura perché si cerchino per poi ritrovarsi nell’apparente incoerenza delle inflessioni, come se pure alle parole fosse assegnato il ruolo di moltiplicare le identità; e questo mescolarsi di gente, di vita, di lacrime compongono i termini di una grandiosa e terribile contraddizione, il segno di una condizione umana obbligata a convivere con le differenze, risolvendole nel suggestivo territorio delle visioni. 



Leonard Freed, Sicily 1974

Ancora una volta l’inganno domina il reale per divenire realtà esso stesso. Solo gli elementi qui sono veri. E’ vero il sole che brucia la pelle, è vera l’ombra che vi si oppone e ristora; sono vere le nuvole gravide di pioggia, sono vere quelle che passano veloci; è vero il vento che solca i volti, è vero l’alito che li accarezza, è vero il mare, è vero il fuoco. Il resto è un palcoscenico nel quale ognuno recita il suo racconto, amaro e carezzevole come la memoria. E di memoria sono fatte le sue città, d’una memoria che assedia l’animo umano per devastarlo di ricordi. Lo stupore infantile con cui le guardiamo, come guardiamo una distesa assolata che sbriciola le nuvole, ci ricorda che i gesti più sicuri, le idee più chiare, i propositi più logici altro non siano che frutto d’una ebbrezza congenita. 



Robert Capa, Troina 1943


Nelle città siciliane non ci sono attori, non si recita. Delle città siciliane si è i suoi gesti. Non a tutti è dato l’oscuro privilegio di calpestare cumul
i di secoli né di profittare della memoria odorosa che profuma d’infanzia. Tra i vicoli, le strade e le piazze si consuma ogni volta il distacco dal presente per sprofondare nelle suggestioni d’un tempo che si vorrebbe presente. 



Sergio Larrain, Villalba 1959

Chi vi torna non cerca altro che se stesso, per ritrovarsi nelle risa infantili che rompevano la quiete estiva, mentre lo sguardo vaga alla ricerca di quell’antica umanità che abitava ogni singola via. La città non appartiene all’uomo, è l’uomo che appartiene alla città e dunque ne resterà sempre dolcemente prigioniero, in bilico tra luce e ombre.



Bruce Davidson, Agrigento 1961



























Giuseppe Cicozzetti, critico fotografico, curatore. Scrive per riviste specializzate quali Foto.it, Artapp, Gente di Fotografia. 

Ha collaborato con numerosi fotografi italiani e internazionali scrivendo prefazioni alle rispettive pubblicazioni. 

Dal 2015 Collabora con l’Associazione Mediterraneum per l’allestimento delle edizioni del MedPhotoFest, di cui cura il catalogo annuale. 

Dal 2018 è membro della Fototeca Siracusana con cui partecipa alla cura dell’Estate Fotografica Siracusana, curando mostre e scrivendo i testi per il catalogo.

Su Facebook gestisce Scriptphotography, una seguitissima pagina di divulgazione e cultura fotografica. Vive a Modica.  










































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