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Artisti

ArtistiUno Sguardo sull’Opera

Presenza e dissoluzione… l’alchimia del mordançage nell’opera di Eugenio Sinatra

Eugenio Sinatra, fotografo e sperimentatore, è un autore che da sempre indaga i confini più sensibili e poetici della fotografia analogica. La sua ricerca si muove tra tecnica e intuizione, tra rigore di laboratorio e abbandono emotivo, facendo della materia stessa dell’immagine – l’emulsione, la luce, il tempo di sviluppo – un linguaggio espressivo. In ognuno dei suoi lavori emerge chiaramente la sua passione per i processi artigianali e la propensione verso una fotografia che sia gesto creativo e trasformazione.

In questo lavoro, un nudo femminile di intensa eleganza, Eugenio Sinatra adotta la tecnica del mordançage, processo di camera oscura inventato da Jean-Pierre Sudre e reso celebre in epoca contemporanea da Elisabeth Opalenik, considerata la “regina” di questa pratica. Proprio la Opalenik, che ha guidato e ispirato Sinatra con preziosi consigli, descrive il mordançage come “a darkroom process where the silver emulsion is lifted from the photographic paper in the shadow areas, then removed or rearranged. The floating veils of silver emulsion are my contribution to this process. Each image is unique.”

Un procedimento in cui l’emulsione d’argento, sollevata e quasi “strappata” dalla carta fotografica, viene poi ricomposta, lasciando sospesi veli e lacerti di materia che trasformano l’immagine in un corpo vivo, vulnerabile e irripetibile.

In questo lavoro, il nudo si libera da ogni tentazione descrittiva per assumere una forma di presenza rarefatta. La pelle, da semplice superficie, diventa un vero e proprio campo di trasformazione: un luogo dove la materia fotografica si solleva, lasciando affiorare frammenti, incisioni e lembi di luce. È come se l’emulsione, sottoposta alla forza del mordançage, restituisse visivamente la memoria di un contatto, la vibrazione di un passaggio tra presenza e dissoluzione. La figura femminile si manifesta come impronta, come residuo di un’apparizione che non si concede del tutto, sospesa in una dimensione di fragile eternità.

Il risultato è un’immagine sospesa tra fotografia e scultura, tra gesto alchemico e rivelazione poetica — un’opera in cui la materia fotografica si fa pelle, e la pelle diventa linguaggio.

 

A testimonianza della sua rilevanza artistica, questo lavoro è stato scelto per la pubblicazione nel prossimo numero di ContempoArte Magazine, in uscita a novembre 2025.

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Artisti

Liliana Condemi, artista di talento di Condofuri, protagonista dei recenti eventi con le opere “Pane di Vita” e “Sogno Liminale”

 

Entrare nel mondo pittorico di Liliana Condemi significa attraversare una soglia dove la pittura si fa insieme esperienza sensoriale e viaggio interiore. Nulla è puramente descrittivo: tutto, nei suoi lavori, tende
all’evocazione, al ricordo, al respiro di ciò che resta invisibile ma sempre vivo.
Il colore diventa pensiero, la forma si trasforma in memoria, e ogni segno
racconta un tempo che continua ad abitare anche il presente.

Le sue opere si muovono tra sogno e ricordo, tra la dolcezza delle origini e lo scorrere del tempo, nei cui cromatismi vive una luce che tenta la riconciliazione, un varco di quiete dove la materia stessa si apre alla poesia e l’immagine diventa luogo di pace interiore.

Nata a Condofuri nel 1949 e formatasi all’Istituto Statale d’Arte e all’Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria, la pittrice calabrese prosegue da decenni una ricerca ininterrotta che unisce il linguaggio del colore alla riflessione sull’esistenza, sull’interiorità e sulla memoria collettiva.

Nel settembre e ottobre 2025, due suoi recenti interventi espositivi ne hanno ribadito la profondità poetica e la coerenza di visione.

 

Il primo, “Pane di Vita”, presentato a Grimaldi (CS) per Tornare@Itaca 2025 – Pane di Pace (a cura di Mimma Pasqua), nasce da un gesto semplice e universale: impastare il pane, simbolo di nutrimento e condivisione, per ricordare i bambini di Gaza. Liliana ha scelto di “dividere il passato dalle macerie” e di trasformare la materia in segno di rinascita. 

 

Liliana Condemi-Artista-Eventi recenti-Pane di Vita-Tornare a Itaca-

 

 


Il suo pane, da semplice sostanza, diviene memoria custodita, prezioso elemento di vita
, che come scriveva Paul Klee, “rende visibile l’invisibile”, perché in esso la materia si fa simbolo, trasformando il gesto concreto in segno di speranza e rinascita. Nei suoi colori si percepisce l’intensità di una speranza che non ignora il dolore, ma lo trasforma in luce.

 

A distanza di pochi giorni, al Museo del Presente di Rende (CS), l’artista ha presentato “Sogno liminale” nell’ambito della collettiva Geni Comuni, ideata e diretta da Luigi Le Piane, con la curatela di Roberto Sottile e Mariateresa Buccieri. Qui il linguaggio si fa più rarefatto, sospeso tra ricordo e percezione. In un gioco di blu e verdi emergono echi di esperienze intime, i centrini della nonna, il riflesso del laghetto delle
ninfee a Gambarie, tutto si intreccia in una dimensione sospesa tra realtà e immaginazione. L’opera si apre come una soglia, un passaggio tra ciò che è stato e ciò che ancora può essere, tra il gesto antico e il respiro della natura.

 

Liliana Condemi-Artista-Eventi recenti-Geni Comuni-

 

 

Nella pittura di questa abile artista, il colore scivola sulle tele come un’anima viva. È un atto vitale, una musica silenziosa che si
espande sulla tela come “una serie di accordi musicali”, per citare le parole di un critico che le sono state dedicate. In lei si rinnova quella sapienza del colore che, come diceva Kandinsky, “è un potere che influenza direttamente l’anima”.

Liliana Condemi intesse e porta avanti il suo universo
pittorico come un diario spirituale, dove la memoria si fa speranza e la bellezza diventa un gesto consolidato di pace.

 

 

 

 

Per ulteriori informazioni sul percorso artistico e sulle opere di Liliana Condemi, si invita a consultare il suo sito ufficiale.

 

Clicca sulla sua firma per accedere al suo Sito web

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 



 
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ArteArtisti

Custodire la presenza dell’arte – Mario Stefano e la sua visione, perché questo artista non mostra più le opere terminate su internet

 

Custodire la presenza dell’arte

Mario Stefano e la sua visione, perché questo artista non mostra più le opere terminate su internet

 

 

 

Ci sono artisti che scelgono di rincorrere la visibilità, affidando alle piattaforme digitali il compito di moltiplicare le immagini delle loro opere. E poi ci sono scelte opposte, radicali, che riportano l’arte alla sua essenza.

 

Mario Stefano, artista con cui ho avuto modo di collaborare e di sostenere nel percorso di divulgazione, ha deciso di compiere un passo coraggioso: rimuovere le proprie opere dalla rete e bandire la pubblicazione integrale dei suoi quadri.
Un gesto che può sembrare controcorrente in un’epoca di sovraesposizione, e che rappresenta una scelta personale dell’artista, non necessariamente condivisa da tutti, ma sicuramente degna di rispetto perché guidata dall’intento di restituire all’arte la sua natura viva, intima e irripetibile.

 

A spiegare le ragioni di questa scelta è lo stesso artista, con parole che diventano manifesto di una nuova idea di presenza artistica.


Mario Stefano - Artista -
L’artista Mario Stefano

 

Perché ho deciso di non pubblicare le mie opere intere, ma soltanto dei dettagli? Perché credo che l’opera d’arte debba essere incontrata da vicino, nella sua interezza. Non attraverso uno schermo, ma dal vivo, dove lo sguardo possa spostarsi liberamente da un punto all’altro del quadro, lasciandosi guidare dalla contemplazione. Vedere un’opera è un’esperienza immersiva: richiede tempo, silenzio, attenzione.

Ho scelto i dettagli non per proteggere me stesso, ma per proteggere l’opera. La pittura ha bisogno di spazio, di un ritmo lento, di uno sguardo che non scivoli via in tre secondi. Quando un’opera si compie, essa chiede di essere guardata con presenza, di essere colta nella sua essenza.

Non mostro i miei lavori finiti perché non sono semplici immagini, ma presenze. L’arte, quella autentica, non cerca visibilità: cerca verità. Non vuole esposizione, ma incontro. In un tempo che mostra tutto, io sento il bisogno di custodire.

Viviamo in un’epoca che produce immagini sintetiche: io, con la pittura, cerco di generare presenze. Le mie opere non appartengono ai feed dei social, non si lasciano catturare da uno screenshot, non nascono per la velocità. Sono fatte di stratificazioni, di errori, di gesti ripetuti e intuizioni cercate. Sono fatte di mani, di testa, di cuore. E anche di spirito.

Ogni quadro è un corpo, un evento: ha peso, respiro, silenzio. E come ogni corpo vivo merita distanza, attenzione, intimità.

Per questo non pubblico le mie opere finite. Perché pubblicarle significherebbe snaturarle, ridurle a immagini quando invece sono presenze, trasformarle in contenuti quando in realtà sono contenitori di senso. In un tempo che chiama tutto “visibilità”, io scelgo la visione.”


 

 

 

 

La scelta di Mario Stefano è senza dubbio forte e radicale. È una visione personale che non tutti gli artisti condividono, perché ognuno trova il proprio modo di mettere in relazione l’opera con il pubblico. Ciò che conta, però, è la coerenza e il coraggio con cui un artista decide di custodire la propria arte.
 

 

Presto avremo modo di ospitarlo per un’intervista, in cui potrà approfondire meglio questo approccio e raccontarci da vicino cosa significhi, oggi, restituire all’arte la sua dimensione più autentica.
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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ArtistiSegnalazione Eventi

Ilenia Tucci – Le Metamorfosi Poetiche della Sabbia

 

Ilenia Tucci
 
Le Metamorfosi Poetiche della Sabbia
 
 
 
Ilenia Tucci si distingue per la sua poliedricità, spaziando dal make-up, all’arte digitale e altre espressioni artistiche.
Oggi ci dedichiamo in particolare alla sua performance di   Sand Art. In questo ambito l’artista dimostra di essere una vera e propria narratrice visiva che usa la sabbia come mezzo per dare forma a racconti effimeri e altamente evocativi.
 

 

La sua più recente performance, “Un viaggio fra le terre”, ha ottenuto un ampio successo di pubblico, confermando come la sua tecnica sia un’autentica rarità nel panorama nazionale. La Sand Art, nella visione di Ilenia Tucci, supera la semplice esecuzione per farsi esperienza sensoriale. Sulla sua teca luminosa, la sabbia, un elemento umile e primordiale, si anima sotto il tocco delle sue mani, diventando il pigmento di un’opera in continua trasformazione.

 

Figure, volti e paesaggi nascono e si dissolvono in un flusso ininterrotto, un cinema muto scandito da un’armonia di musica e giochi di luce. Questa alchimia crea un’atmosfera sospesa, quasi onirica, che cattura lo spettatore in un’esperienza intima e meditativa. 
 

 

 

Nelle opere di Ilenia Tucci la dimensione del gesto, apparentemente elementare, si trasforma in un linguaggio capace di articolare narrazioni stratificate e di sorprendente densità simbolica. L’artista sovverte l’idea di spettacolo come semplice intrattenimento. Le sue performance assumono piuttosto la forma di un dispositivo estetico e poetico, in cui la materia effimera, quale la sabbia, diviene medium rivelatore di un senso nascosto. È in questa tensione, tra fragilità e potenza,  che si colloca la forza del suo lavoro, invitando lo spettatore a riconoscere, dietro la fugacità della forma, la persistenza di una poesia che abita anche gli elementi più minuti.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
©L’ArteCheMiPiace – Blog Arte e Cultura di Giuseppina Irene Groccia 

 

 

 

 

 

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Artisti

ASTRIT SHOTI, UN ARTISTA CHE ARRIVA DALLA PICCOLA ALBANIA IN ITALIA OTTENENDO GRANDE SUCCESSO!

 

ASTRIT SHOTI, UN ARTISTA CHE ARRIVA DALLA PICCOLA ALBANIA IN ITALIA OTTENENDO GRANDE SUCCESSO!

di Artur Nura |23|Agosto|2025|
Oramai Astrit Shoti è un artista italo‑albanese di grande bravura, capace di trasformare la materia in poesia visiva. La sua arte materica, sperimentale e simbolica, unisce cultura italiana e albanese, conferendogli quella solida dimensione culturale apprezzata da critici riconosciuti.
L’arte di Shoti dimostra un vero talento che coniuga tradizione artigianale Albanese, ricerca stilistica e profondità simbolica italiana.
 

 

 
Shoti è nato a Peshkopi, nei monti dell’Albania ed ha sviluppato una carriera artistica ricca e articolata in oltre 40 anni di esperienza, come pittore e decoratore, impiegando tecniche molto varie: dipinti, bassorilievi in rame, gessi, resine, finti marmi, trompe-l’oeil, e lavori in legno.
Per di più oltre all’esperienza ricca in Albania, il suo percorso artistici attivo da oltre trent’anni, ha esposto a Roma, Barcellona, Londra, Bruxelles e Venezia.
Le sue creazioni si caratterizzano per una forte componente materica, grazie all’uso sapiente della spatola e di materiali biologici che conferiscono tridimensionalità e vitalità ai soggetti: onde, porte, lava, fango, prati, fiori e figure.
 

 

 
Le rovine romane sono state spesso fonte d’ispirazione per Shoti che fonde antico e moderno con grande senso simbolico.
Per Shoti sembra che l’arte è un atto di espressione viscerale. Non dipinge solo per creare un’immagine, ma per trasmettere un messaggio, un’emozione che li viene da dentro. Le sue opere sono legate alla materia, alla natura e alla vita che scorre. Usa tecniche come la pittura materica, che dà tridimensionalità ai suoi lavori, dando vita alle superfici in un modo che non si limita a ciò che si vede, ma che si può quasi toccare.”
L’Albania è la sua radice, ma l’Italia è diventata la sua seconda casa in tutti i sensi possibili. Crescendo, ha vissuto in un contesto rurale, circondato dalla natura e da tradizioni che hanno plasmato la sua visione del mondo.
Sembra che quando è arrivato in Italia, ha dovuto trovare il suo posto, poiché la sua arte è sempre stata il filo conduttore della sua vita. L’Italia, con la sua ricca tradizione artistica, li ha offerto strumenti e opportunità per perfezionare.
 

 

 
Tuttavia, le sue radici albanesi sono sempre con lui, e si riflettono nella simbologia e nei temi delle sue opere.
Con la mostra “Poesia della Materia”, inaugurata il 15 novembre 2023 presso l’Ambasciata d’Albania a Roma (via Asmara, 5), ha presentato oltre 40 opere materiche sono state visitabili su prenotazione fino al 31 gennaio 2024.
“Poesia della Materia’’ è stata una riflessione su come l’arte possa esprimere l’essenza della natura, ma anche la sua forza trasformativa. La mostra era anche un omaggio al suo legame con l’ambiente, e alla bellezza intrinseca che si nasconde in ogni elemento naturale, come la lava, il fango, o le onde del mare. La materia stessa è una poesia, per artista Shoti che ha lavorato per hotel di lusso a Roma, ville private e boutique di alta moda, trasformando pareti architettoniche in vere e proprie opere d’arte.
 

 

 
Astrit Shoti ha avuto un’occasione davvero speciale anche nella celebrazione della bellezza e della cultura delle due nazioni, Albania e Kosovo, attraverso la partecipazione delle rappresentanti di Miss Universo Albania e Miss Universo Kosovo nel Palazzo Ferajoli, come sede prestigiosa Romana.
Eventi come questi sono spesso più di una semplice competizione di bellezza; sono un’opportunità per mettere in risalto il patrimonio culturale, le tradizioni, e l’identità delle persone coinvolte ed Astrit Shoti non a caso ha esposto le sue opere durante quest’occasione così importante che e’ stata una combinazione straordinaria di arte e cultura. Le opere e le installazioni di Astrit Shoti hanno aggiunto una dimensione visiva e simbolica a un tale evento che già portava con sé una forte carica emotiva e culturale.
Per le influenze tematiche possiamo menzionare le rovine romane che sono un soggetto ricorrente, fondendo antico e moderno secondo necessità artistiche e di committenza.
Il critico d’arte Vittorio Sgarbi ha elogiato le sue composizioni informali e materiche, paragonandole all’astrazione materica di Anselm Kiefer, definendole “puro gusto del colore in esiti metallici”
 

 

 
Angelo Crespi, altro critico, ha analizzato l’opera “Porta del Giardino degli Aranci”, evidenziando la porta come simbolo di passaggio e transizione, resa con un realismo tridimensionale che celebra la forza materica e la vitalità latente dell’opera.
 
 
 
Secondo fonti pubbliche, Shoti ha partecipato a diversi eventi e ricevuto importanti riconoscimenti internazionali come:
Tour Biennale d’Europa: esposizioni a Parigi, Barcellona, Londra e Venezia (2022)
Espana Top Selection: Premio città di Barcellona al MEAM di Barcellona (2022) 
Artista dell’Anno a Bruxelles presso Espace Art Gallery (2022) 
“80 Artisti”, catalogo e mostra a cura di Angelo Crespi a Palazzo Ximenes, Firenze (2023) 
Premio Internazionale Michelangelo (2023) 
Pubblicazione su Annuario Artisti – Mondadori 2023 
Inserimento su volume Porto Franco curato da Vittorio Sgarbi (2023) 
Sanremo Artexpo, Teatro Ariston, Sanremo (2023) 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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ArtistiDivagazioni sull’arte

Mario Perrotta Viaggi Cromatici tra Sogno e Realtà

Mario Perrotta


Viaggi Cromatici tra Sogno e Realtà

 
di Stefano Vecchione |09|08|2025|
 
 

Premiato qualche giorno fa all’Art Center Museum di Pechino, il grande estro di Mario Perrotta, la luce del Sole del Tirreno paolano, l’estate tanto attesa, i pennelli e i colori a olio e acrilici su tele di cotone o di lino, vanno a rappresentare l’umanità nello spazio infinitodella gioia e delle energie particolari del bene e del male

 

Mario Perrotta, autoritratto.

 



Dai dipinti dell’artista – che segue la grande tradizione artistica familiare di Rubens Santoro e Francesco Sansone – emergono sogni onirici, desideri e paure, città immaginifiche, paesaggi fantastici e surreali, visioni del futuro. 

L’artista volge lo sguardo intorno, osserva, sente, immortala il mondo che lo circonda nella sua complessa molteplicità, e fa dell’arte visiva un mezzo con cui raccontare il tempo e lo spazio in cui vive senza mai smettere di sognare, senza che la speranza abbandoni mai lo sguardo d’insieme. 

 

Mario Perrotta. Paola. La Siesta – Acrilici su cartoncino. 35x45cm.

 



 

 

 

Questi stati d’animo delle opere del maestro Mario Perrotta – scrive Jean-François Bachis-Pugliese, archivista semiologo e critico d’arte  riflettono le esperienze di un artista che esprime la propria creatività senza le restrizioni della realtà, per evadere dalle limitazioni del quotidiano e sfidare convenzioni e immaginazione. Artista prolifico, Mario Perrotta ha fatto della sua arte un viaggio cromatico in cui si fondono percezioni visive, spiritualità, devozione, senso critico e sociale. L’estetica dei suoi dipinti è contraddistinta da personaggi iconici, da cromie accese, da atmosfere suggestive e quasi incantate.

 

Mario Perrotta. Paola. La città che ho nel cuore – Olio su tela – 40x50cm.  

 



 

 

Tetti spioventi che puntano al cielo, dettagli dorati che evocano un senso di sacralità, strumenti musicali quali simboli di bellezza, borghi marini, paesaggi, angoli di strada, facciate delle vecchie case con i muri in pietra e i davanzali fioriti che riportano alle radici e rappresentano una poetica retrospettiva della storia tra mare (il Tirreno) e cielo (l’Appennino di San Francesco di Paola). Nei suoi saggi supittori contemporanei, il critico Pasquale Di Matteo presenta Mario Perrotta come un artista attento al vissuto e al suo tempo, ai paesaggi e agli scorci rurali, alle città, attraverso la rielaborazione della sua immaginazione. Nelle sue opere c’è un percorso, il racconto visuale di un uomo e delle sue percezioni del mondo, la sua pittura è fatta di partecipazione emotiva. 

 

Mario Perrotta. Paola. Musica in città – Tecnica mista su tela –  50 x 70 cm.

 



 

Le opere di Mario Perrotta sono spontanee – afferma Nadia Celi, docente d’arte contemporanea, semiologa e critico d’arte, conferenziere sulla grammatica visuale in Italia e all’estero – per cui spesso presentano tematiche, stili e tecniche diverse. Magnifica monumentale plasticità pittorica, tavolozza cromatica essenziale e sapiente, un acuto calibrato studio dei volumi e dei vuoti e pieni in elegante realizzazione. L’arte é tale solo se dà una emozione estetica – scrive Giorgio Gregorio Grasso, storico e critico d’arte, docente universitario, curatore di esposizioni di arte nazionali ed internazionali, già direttore della Mediolanum Art Gallery e curatore  del Padiglione Italia della 54ma Biennale di Venezia – e Mario Perrotta è un artista che sa parlare attraverso il linguaggio cromatico, alla ricerca di una analisi estetica per giungere alla creazione del vero attraverso concezioni astratte in altalena tra sogno e realtà.

 

Mario Perrotta. Paola. Un giorno di pioggia – Olio su tela 40×50 cm.

 



 

 

 

Nonostante che il lavoro lo abbia portato per anni in giro per l’Italia, l’artista ha scelto di restare a Paola, in Calabria, dov’è nato, affascinato dall’espressività dei colori e dalle forme della sua terra che ama riportare sulle tele. 

 

Ha esposto in diverse città italiane e anche all’estero: Bologna, Palazzo Zanussi; Mantova, Palazzo Ducale; Milano, Spazio K; Padova, Orto Botanico; Parigi, Louvre; Venezia, Palazzo Vidal e Palazzo Zenobio; e poi ancora a Barcellona, Bari, Berlino, Bruxelles, Capri, Cesenatico, Comiso, Cosenza, Ferrara, Firenze, Los Angeles. Mezzojuso, Montecarlo, Rieti, Roma, Salerno, Termoli. 

 

Mario Perrotta si è aggiudicato numerosi premi nazionali e internazionali, e di lui hanno scritto, tra gli altri, i critici d’arte Pasquale Di Matteo, Barbara GhisiStefania Milani, Roberto Pinto, Vittorio Sgarbi, Pasquale Solano, Giorgio Vulcano. 

 

Si può incontrare l’artista nel suo atelier, alla Marina del borgo di San Francesco.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Stefano Vecchione si occupa dei fenomeni sociali e politici del Mediterraneo tra Oriente e la sua indagine storica si sviluppa anche sulla conoscenza critica e l’analisi degli assetti che hanno determinato l’avvento del fascismo (1915) in Italia e la sua caduta (3 – 8 settembre 1943), e sulla resistenza profetica della gerarchia cattolica al fascismo e al Nationalsozialistische Deutsche partei tra il 1934 e il 1940. Da direttore dell’Associazione editori calabresi, Stefano Vecchione ha promosso iniziative per la valorizzazione della produzione libraria e la crescita culturale nazionale. Cultore della materia di storia moderna presso l’Università della Calabria, scrive oggi per «Il quotidiano del Sud», è socio corrispondente dell’Accademia cosentina, ed è amministratore del Gruppo Facebook «Il senso del tempo. Il valore di un posto. Cosenza».
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

 

 

 

 

 

©L’ArteCheMiPiace – Blog Arte e Cultura di Giuseppina Irene Groccia 

 

 

 

 

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ArteArtisti

Il lascito silenzioso di Arnaldo Pomodoro

 

 

 

Il lascito silenzioso di Arnaldo Pomodoro

 

 

 

 

 

 

di Giuseppina Irene Groccia |24|Giugno|2025|

 

 

Il mondo dell’arte piange una delle voci più autorevoli e visionarie del Novecento. Ma le sue opere troneggiano nelle piazze, nei musei, continuando a parlare, a scuotere e ispirare le generazioni future.

 

Arnaldo Pomodoro è morto il 22 giugno 2025, nella sua casa di Milano, proprio alla vigilia del suo 99º compleanno.

Scultore di fama mondiale, amato per le sue “sfere ferite” in bronzo, levigate all’esterno da una perfezione formale che si aprono, all’interno, a una simbologia complessa e intensa

 

Nato il 23 giugno 1926 a Morciano di Romagna, egli conservava nella memoria della sua infanzia un’immagine quasi sospesa nel tempo che era quella di un bambino solitario e visionario, come lui stesso amava definirsi. Le giornate scorrevano lente sulle rive del fiume Conca, dove la natura gli offriva il suo primo materiale creativo: l’argilla.

 

Era lì, tra l’acqua e la terra, che le sue mani cominciarono a dar forma a un immaginario fuori dal comune. A differenza di ciò che altri bambini avrebbero costruito con quel materiale, semplici castelli o animali, dalle sue dita nascevano invece strutture sorprendenti e strane, che egli stesso chiamava “case kafkiane”; e già in quel nome si avvertiva un presentimento d’artista.

 

Queste prime forme, create con l’istinto e la libertà del gioco, raccontavano un mondo interiore ricco di fantasia e di visioni già allora lontane dal consueto. Era l’inizio di un viaggio che lo avrebbe portato, decenni dopo, a scolpire materia e simbolo nei più grandi spazi del mondo.

 

Arnaldo seguì le orme artistiche del fratello minore, Giò Pomodoro, anch’egli scultore. La loro dimensione familiare restò un legame costante, con due voci complementari nel panorama della scultura contemporanea italiana.

 

Nel 1995 Arnaldo Pomodoro realizzò per Fendi, a Milano, una straordinaria installazione sotterranea di 170 m²: un’opera immersiva, fatta di stanze scultoree, bassorilievi, porte rotanti e segni arcaici incisi nella materia, come se il tempo stesso vi avesse lasciato tracce da decifrare. Un vero e proprio viaggio simbolico nel cuore della scultura, dove spazio e pensiero si intrecciano in un racconto senza parole.

 

Emblema della sua poetica più intensa, questo spazio sospeso è tornato a vivere davanti al pubblico proprio a marzo 2025, pochi mesi prima della scomparsa del Maestro. Oggi, alla luce della sua perdita, quell’opera assume un valore ancora più intenso. Essa ci dà l’impressione di un testamento visivo, un dialogo aperto capace di restituirci la voce di un artista che ha saputo scolpire la materia inafferrabile del tempo.

 

La storia di “Sfera con Sfera” inizia nel 1966, quando Pomodoro fu incaricato di realizzare per l’Esposizione Universale di Montréal una maestosa sfera in bronzo del diametro di oltre 3,5 metri, frutto della sua tecnica di fusione a cera persa e già allora pensata per dialogare con lo spazio pubblico in modo dinamico.

 

Dietro l’apparente perfezione del guscio esterno si nasconde un nucleo complesso, quasi esploso, come spiegava lo stesso artista:

 

Una sfera è un oggetto meraviglioso, dal mondo della magia… riflette tutto ciò che la circonda, creando contrasti tali da trasformarsi, diventare invisibile, lasciando solo il suo interno, tormentato ed eroso, pieno di denti.” 

 

 

Negli anni successivi l’artista moltiplicò le versioni di questa opera in luoghi simbolici, fino al 1996, quando l’Italia ne donò una copia alle Nazioni Unite di New York. Un globo liscio che esplode dall’interno, presentato come “promessa per la rinascita di un mondo meno travagliato e distruttivo” 

Oggi, disseminata in cortili e piazze di tutto il mondo, la “Sfera con Sfera” è diventata un chiaro emblema della dialettica tra integrità e frattura, tra creazione e distruzione, riflesso delle tensioni del nostro tempo. Un’immagine potente che, in questi giorni segnati da guerre, crisi e incertezze, ci invita a una presa di coscienza sulle tensioni che turbano il nostro presente.

 

La Fondazione Arnaldo Pomodoro, istituita dal Maestro nel 1995, nasce come “luogo attivo e vivo di elaborazione culturale”, dedito a documentare, preservare e promuovere l’arte contemporanea in continuo dialogo con la sua eredità. Le sue imponenti sfere punteggiano piazze come il Cortile della Pigna nei Musei Vaticani, il cortile ONU a New York, la Farnesina a Roma, il Trinity College di Dublino, il campus di Stanford, il De Young di San Francisco e molte altre città, rendendo tangibile il suo sguardo universale.

 

Oggi, ovunque si ergano le sue sfere, che siano intatte o segnate da crepe, esse ci accompagnano come testimoni silenziosi di un’eredità che invita a guardare con una necessaria speranza oltre la forma e a cogliere la bellezza nata dall’incontro tra materia e spirito.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
©L’ArteCheMiPiace – Blog Arte e Cultura di Giuseppina Irene Groccia 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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JEAN PAUL BOURDIER – Paesaggio e corpo come tela

 

JEAN PAUL BOURDIER – Paesaggio e corpo come tela

 

di Giuseppina Irene Groccia  |01|Gennaio|2021|

 

Jean Paul Bourdier combina paesaggio e carne come tela, senza l’uso della manipolazione digitale, per creare un’unione visiva, con tutte le immagini che sono state scattate sul posto tramite la tecnica della fotografia analogica.

 

Attraverso l’uso simultaneo di performance art, pittura e fotografia analogica, mette in scena situazioni che richiamano la magia dell’essere, della natura e della Luce.

 

JEAN PAUL BOURDIER - Paesaggio e corpo come tela

 

Il suo lavoro si concentra sempre sulla bellezza e la geometria del corpo umano.

 

Le immagini che produce fungono da portale per rivendicare il nostro rapporto intimo con l’infinito. 

 

JEAN PAUL BOURDIER - Paesaggio e corpo come tela

Ogni immagine è una scena unica – creata, messa in scena e catturata – di paesaggi naturali uniti alla forma umana, che esprimono bellezza, verità e meraviglia sul piano fisico, così come ciò che è nella nostra immaginazione.



Attraverso il corpo nudo dipinto con i colori della luce, riporta l’umanità alla sua natura fondamentale, scavalcando i soliti strati di identità, spazio e tempo, e ricontestualizzandola in essere.

 

JEAN PAUL BOURDIER - Paesaggio e corpo come tela

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Jean Paul Bourdier riesce a presentare il corpo in un modo del tutto surreale su un paesaggio infinito, in un universo in continua evoluzione, facendolo interagire in vari modi con la terra. 

Questo corpus di opere è una contemplazione degli esseri umani e della loro intima interrelazione con l’ambiente.

 

Bourdier mette da parte la necessità di creare immagini in movimento per dare vita alle sue fotografie, preferisce catturare il movimento nel fantastico mondo della performance, dell’espressione e del paesaggio onirico. Le sue opere sfidano l’occhio della mente, allargando l’immaginazione per abbinare il potenziale illimitato dietro gli esseri che popolano la sua personale visione artistica.

 

Le sue pluripremiate immagini fotografiche sono state esposte negli Stati Uniti e in Francia e fanno parte della collezione permanente di diversi musei.

 

 

Jean Paul Bourdier è professore di design, disegno e fotografia nel dipartimento di architettura della UC Berkeley.

 
 
 
 
 
 
 
 

 

Scenografo di sette film e co-regista di due film diretti da Trinh T. Minh-ha, ha anche pubblicato diversi libri, tra cui Vernacular Architecture of West Africa, uscito nel 2011 e tre libri di fotografia, Bodyscapes, pubblicato nel 2007, Leap intro the Blue (2013), Body Unbound (2017) e Body Mirror il suo ultimo lavoro uscito a Novembre 2020, dove ritorna ad unire la sua arte fotografica all’editoria.

 

Body Mirror - Fine Art Photography Book by Jean Paul Bourdier

 

Fine Art Photography Book “Body Mirror” Info sul libro qui

 

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