L’arte secondo Francesco
carezza, profezia e misericordia
di Giuseppina Irene Groccia |21|Aprile|2025|
Oggi, mentre il mondo intero si raccoglie nel silenzio e nella memoria per la scomparsa di Papa Francesco, mi piace ricordarlo anche attraverso uno degli aspetti più intimi e meno istituzionali del suo pontificato, ossia il suo profondo e umanissimo legame con l’arte.
Per Papa Francesco, l’arte non è mai stata un semplice ornamento o privilegio riservato a pochi. È sempre stata, piuttosto, una carezza per l’anima, un linguaggio universale capace di parlare a tutti, anche a chi si sente lontano dalla fede. Nei suoi incontri con gli artisti, nelle sue parole e nei suoi gesti, traspariva una convinzione non comune… l’arte consola, risveglia, interroga e cura. È un varco misterioso attraverso il quale si può intravedere Dio, soprattutto quando le parole non bastano.
Come amava ripetere, “l’arte ha la capacità di aprire orizzonti, di rompere gli schemi, di raccontare la speranza anche nel dolore”. Parole che oggi risuonano con una delicatezza nuova, mentre si compone il suo ritratto più umano, più spirituale.
La sua sensibilità per l’arte nasceva dal basso, dalla sua amata Buenos Aires. Già da cardinale, aveva collaborato con l’artista argentino Alejandro Marmo, portando l’arte nei luoghi più umili, nelle fabbriche abbandonate, le periferie, le comunità dimenticate. Con Marmo nacque il progetto “Arte en las Fábricas”, un sogno condiviso per trasformare la ruggine e gli scarti in opere di bellezza, come parabola vivente del Vangelo.
Da quel sogno nacquero le imponenti sculture del Cristo Lavoratore e della Vergine di Luján, realizzate con ferro di recupero, oggi esposte nei Giardini Vaticani. Un gesto dirompente e poetico che fa entrare la spiritualità popolare nei cuori del Vaticano facendo nascere la bellezza dalle ferite.
Durante il suo pontificato, Papa Francesco ha voluto rafforzare il dialogo tra la Chiesa e l’arte contemporanea, sostenendo mostre, incontri e nuovi linguaggi visivi capaci di leggere il tempo presente. Lontano da ogni nostalgia, ha invitato gli artisti a non temere il dubbio, la crisi, la frattura, perché anche lì può germogliare una luce nuova.
Nei suoi discorsi, l’arte diventava spesso una metafora viva: la vita come scultura tra le mani di Dio, l’anima come tela in continua trasformazione, la fede come restauro silenzioso della bellezza originaria.
Nel 2017 Papa Francesco ha affidato al libro La mia idea di arte, scritto in dialogo con Barbara Jatta, direttrice dei Musei Vaticani, una delle espressioni più dirette e profonde del suo pensiero artistico. Lontano dalle elucubrazioni accademiche o da un’estetica di maniera, il testo si presenta come una piccola mappa del cuore, in cui l’arte diventa eco del Vangelo e specchio della misericordia.
Il Papa vi seleziona personalmente undici opere o progetti artistici, tutti presenti nei Musei Vaticani, che per lui incarnano una visione precisa. L’arte deve servire la persona, deve aprire, accogliere, sollevare. Bellezza, per Francesco, non è sinonimo di lusso, ma gesto di vicinanza, strumento di evangelizzazione, forma di giustizia poetica.
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Tra le opere scelte compaiono i progetti del Treno dei Bambini, le sculture di Alejandro Marmo realizzate con ferro di scarto, ma anche capolavori come la Pietà di Michelangelo, colta nella sua grandezza formale, ma soprattutto nella sua capacità di esprimere compassione, dolore, tenerezza.
Scrive Papa Francesco:
“L’arte che non mette al centro l’uomo e il suo bisogno di speranza diventa sterile. È la bellezza che ci fa respirare, che ci fa guardare oltre, che ci aiuta a vivere.”
In questo piccolo volume, si percepisce con forza la sua convinzione che l’arte debba tornare tra la gente, nei luoghi di cura, nelle periferie, nelle scuole, nei margini. Non arte da museo intoccabile, ma arte come alleata della misericordia, come via d’incontro.
“La mia idea di arte” è una riflessione mistica e una testimonianza pastorale. Un modo per ricordare che la bellezza vera è sempre solidale, inclusiva, umana. E forse, proprio per questo, anche divina.
In un mondo fratturato, Francesco ha saputo offrirci parole che scaldano, gesti che insegnano, silenzi che parlano. Anche l’arte, nelle sue mani, è diventata una forma di tenerezza pastorale, spazio di respiro, linguaggio dell’anima, tregua e profezia.
Ma al di là di tutto, ciò che resta più forte è la sua umanità disarmata, il modo in cui ha abitato il papato come un fratello tra fratelli, con le scarpe consumate del pastore e il cuore acceso di Vangelo.
Nel ricordo di questo papa gentile, che ha saputo camminare accanto al mondo senza mai imporsi sopra di esso, resta viva non solo la sete di bellezza, ma anche quella di giustizia, di compassione, di pace.
Un’eredità silenziosa e potente, che ci affida al futuro con il coraggio di chi sa che ogni gesto d’amore è già preghiera.
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